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Calcio italiano, presidenti di società mangiatecnici: siamo primatista in Europa

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I presidenti italiani, quei ‘mangiallenatori’. Il calcio scatena nel paese 4 volte campione del mondo passioni infinite, un po’ come le discussioni da bar del lunedi’ che sembrano non finire mai, e non ne sono certo immuni coloro che decidono le sorti di un club e quindi anche di chi lo allena. Cosi’ la Serie A e’ primatista di esoneri in Europa, con otto cambi di panchina allo scoccare della 17/a giornata (e potrebbe arrivare il nono, vista la traballante posizione di Thiago Motta al Genoa), uno in piu’ rispetto alla scorsa stagione quando dopo 17 turni di campionato gli esoneri erano stati sette, l’ultimo dei quali, il 21 dicembre del 2018, quello di Moreno Longo al Frosinone. Preziosi, Cellino, Zamparini, Gaucci e prima ancora Rozzi e Anconetani sono diventati popolari a forza di cacciare allenatori e non e’ facile trovare loro emuli nei campionati dei paesi calcisticamente piu’ progrediti. A meno di varcare gli orizzonti continentali e spingersi fino in Brasile, dove il valzer delle panchine e’ frenetico, e complicato dal fatto che, nel corso della stessa stagione, un tecnico puo’ passare da una panchina all’altra, come in Germania e Inghilterra. Ma in Brasile per la ‘febbre’ del calcio non ci sono vaccini, ed ecco allora che gli esoneri si susseguono per tutto l’anno solare, perche’ passione e rabbia sono tali che basta non azzeccare un campionato ‘estadual’, ovvero regionale (che sono molto considerati) per essere cacciati senza attendere l’inizio del ‘Brasilerao’. Non a caso, accanto ai cinque esoneri del torneo nazionale va collocata la raffica di quelli avvenuti a causa delle delusioni nei tornei locali (Atletico Mineiro, Corinthians, Chapecoense, Bahia, Botafogo, San Paolo, Goias, solo per citarne alcuni) che portano i numeri a cifre record, in una terra dove il campanilismo la fa da padrone e si trasferisce sui campi di calcio. A fare concorrenza alla Serie A in Europa e’ la Premier League, dove non e’ piu’ di tempo di legami ultradecennali come quelli che hanno unito Sir Alex Ferguson al Manchester Utd per un quarto di secolo o Arsene Wenger all’Arsenal per un ventennio. Forse perche’ a possedere i club sono arrivati molti imprenditori stranieri, con meno pazienza e self control dei loro omologhi british e quindi le vecchie abitudini stanno andando perse. Cosi’ ci sono stati a oggi otto cambi di panchina, come in Italia, con la differenza che in due casi si tratta di avvicendamenti con tecnici ‘ad interim’ che erano stati messi li’ in attesa della scelta del nuovo allenatore. Insomma, ‘bandiere’ come Duncan Ferguson per l’Everton e Fredrik Ljungberg per l’Arsenal sapevano fin dall’inizio di essere li’ a tempo e infatti da domani faranno ufficialmente spazio a Carlo Ancelotti ai Toffees e Mikel Arteta ai Gunners. Il sangue ‘caliente’ spagnolo non si riflette, almeno per ora, a livello di presidenti della Liga. Infatti gli esoneri sono stati cinque, due dei quali nello stesso club, quel Leganes in lotta per la salvezza. Ad aprire le danze, in settembre, e’ stato Marcelino al Valencia, e il cambio ha portato bene, visto che con Celades alla guida e’ arrivato il primo posto in un difficile girone di Champions. Sei gli avvicendamenti in Bundesliga (compreso il Bayern, societa’ che cambia spesso tecnico pur vincendo molto), anche se i tecnici cacciati sono stati sette: infatti a lasciare la panchina del Colonia a Markus Gisdol e’ stata una coppia, quella formata da Manfred Schmid e AndrePawlak. Invece a Berlino, a fine novembre, per guidare l’Hertha Berlino e’ tornato in patria un nome illustre come Jurgen Klinsmann: per pochi mesi non allenera’ suo figlio Jonathan, portiere che a luglio ha lasciato il club della capitale per andare in Svizzera al San Gallo. Piu’ tempo per lavorare ai tecnici viene concesso in Francia, visto che in Ligue 1 sono stati solo tre gli ‘head coach’ cacciati (fra loro l’ex assistente interista Sylvinho, che a Lione ha fatto posto a Rudi Garcia), piu’ uno, Halilhodzic a Nantes, andato via prima dell’inizio del campionato.

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Marino: campionato squilibrato da anni, troppa disparità fatturati e ricavi

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“Il nostro campionato non è equilibrato da diversi anni, ci sono disparità di fatturati e ricavi, non è una questione di oggi. Però è stato un bel campionato per quanto riguarda lo spettacolo offerto dalle squadre e anche per certe novità tecnico-tattiche. L’Inter ha ripercorso il campionato del Napoli dell’anno scorso. A volte ci sono anche i demeriti che determinano certi divari in classifica. Demeriti di alcune squadre che dovevano fare e non hanno fatto”. Così ai microfoni di Radio Anch’io Sport su Rai Radio 1 Pierpaolo Marino, decano dei dirigenti sportivi italiani, sul campionato di Serie A ormai alle ultime curve, a quattro giornate dalla fine. Si dovrebbe tornare a un campionato a 18 squadre? “Ho fatto tanti anni con l’Avellino e con il Napoli con campionati a 16 squadre. Sia a 16 che a 18 squadre sono campionati che nella loro brevità non fanno emergere i reali valori tecnici. Una sconfitta determinava una classifica in maniera inappellabile. Sono contrario alla riduzione delle squadre. I format migliori sono la Premier e la Liga, tutti campionati a 20 squadre che non vanno a ridurre l’organico. A mio avviso, quello attuale è il format giusto”.

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Napoli bello, Roma fortunata: è pari al Maradona

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– Napoli e Roma si annullano nella sfida valevole per la 34 giornata di Serie A. Al Maradona finisce 2-2 una bella sfida, accesa ed emozionante soprattutto nella ripresa: apre Dybala su rigore, Olivera e Osimhen (altro rigore) la ribaltano, poi nel finale il prezioso ritorno al gol di Abraham permette ai giallorossi di tornare a casa con un punto abbastanza importante per la corsa alla Champions League. La squadra di De Rossi sale a 59 punti restando a -4 dal Bologna, ma vede accorciare l’Atalanta che ora e’ dietro di sole due lunghezze e con una gara da recuperare. Amaro in bocca invece per gli uomini di Calzona, che scivolano a -5 dal settimo posto della Lazio.

La prima nitida occasione del match capita al 6′ in favore dei giallorossi (sara’ l’unica del primo tempo), quando da corner del solito Dybala arriva una sponda area di Mancini che pesca Pellegrini, il cui colpo di testa termina di poco alto sopra la traversa. Dopo una prima parte di gara giocata a ritmi bassi da ambo le squadre, i partenopei provano a crescere dalla mezz’ora: Osimhen tenta da posizione defilata trovando la respinta di Svilar, graziato invece poco piu’ tardi da Anguissa che sbaglia tutto a tu per tu.

Al 40′ si fa vedere Kvaratskhelia con il suo classico destro a giro, deviato in tuffo ancora da un attento Svilar, mentre a pochi istanti dal riposo un colpo di testa di Di Lorenzo sfila di poco a lato. Nella ripresa il Napoli continua nella propria produzione offensiva, ma al 56′ e’ ancora decisivo un intervento di Svilar ad evitare il possibile vantaggio di Lobotka. Passano un paio di minuti e, dall’altra parte, e’ invece la Roma a trovare l’episodio per sbloccare: Azmoun va giu’ in area a contatto con Jesus, l’arbitro fischia il penalty e Dybala lo trasforma alla perfezione nell’1-0 ospite.

Gli azzurri non ci stanno e al 64′, grazie ad un pizzico di fortuna, la pareggiano con Olivera: l’esterno calcia di mancino da fuori area, Kristensen devia e di fatto mette fuori causa Svilar che stavolta non puo’ nulla. Il match prende ritmo e i partenopei in particolare ritrovano morale, sfiorando il vantaggio al 73′ con Osimhen, che svernicia Mancini in velocita’ ma trova un miracoloso Svilar davanti a se’. Nel finale succede di tutto: Osimhen porta avanti il Napoli grazie ad un calcio di rigore fischiato dopo un contatto tra Renato Sanches e Kvaratskhelia (decisivo intervento del Var), poi all’88’ la Roma trova il nuovo pari con un colpo di testa di Abraham, che segna dopo una sponda aerea da corner di Ndicka ed esulta dopo un altro intervento del Var (gol inizialmente annullato per offside).

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30 anni senza Ayrton Senna, nel mondo saudade senza fine per un mito dell’automobilismo

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“Un giorno che non sarà mai dimenticato dai brasiliani” titolava ‘O Globo’. E non era per celebrare la vittoria in uno dei cinque mondiali conquistati dalla nazionale del paese dove il futebol’ è un’autentica religione. No, era riferito al prossimo 1 maggio, quando saranno 30 anni dalla scomparsa, quel tragico giorno del 1994 a Imola, di Ayrton Senna. Un idolo nel suo paese, ma una icona mondiale il cui mito vive anche nelle generazioni che i prodigi del pilota non hanno potuto ammirare. Per capire cosa significhi tuttora per i suoi connazionali il ‘tricampeao’ del mondo della formula uno, morto a soli 34 anni, basta andare al cimitero di Morumbi (il quartiere dell’alta borghesia di San Paolo, di cui Senna faceva parte) dove è sepolto.

Caro Ayrton, un libro di Anna Maria Chiariello a 25 anni dalla scomparsa del grande Senna

Lì, vicino alla lapide coperta dai fiori, c’è un albero che ‘custodisce’ le testimonianze lasciate dai visitatori in onore del loro idolo scomparso tragicamente e troppo presto, ci sono anche pezzi di carta con preghiere e invocazioni, quasi degli ex voto con scritto “proteggimi” o “fammi trovare un lavoro”. Proprio così, perché Senna per tanti è una divinità, e non è certo un’esagerazione il detto secondo cui non esiste brasiliano dai 40 anni in poi che non si ricordi cosa stesse facendo in quel momento, quando da Imola arrivò la terribile notizia. Ayrton Senna è un sentimento, non solo saudade ma fede, amore, qualcosa, anzi qualcuno, che non potrà mai essere dimenticato, e in Brasile ancora oggi le sue 161 gare disputate vengono analizzate una per una, per capire quale fosse il suo segreto, oltre al talento che Dio, nel quale Ayrton credeva fortemente, gli aveva donato.

Sono giorni che a Rio, San Paolo, Porto Alegre e in ogni altro angolo del Brasile si parla e si scrive di Senna, non solo dei 30 anni dalla sua morte, ma anche, è successo a marzo, dei 40 anni dal suo esordio in F1 con la Toleman, e subito “fu l’inizio di un amore – hanno scritto i giornali locali – e della sua consacrazione”. I grandi network nazionali hanno ricordato che Senna è stato il modello di Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo, che non ha mai nascosto l’amore per il Brasile e per quel fenomenale campione di cui possiede un casco, mentre il fenomeno di oggi, Max Verstappen ha ricordato che “le vetture di allora erano molto differenti, e sono certo che se Senna corresse oggi guiderebbe in modo diverso. Ma vincerebbe ugualmente”.

Al Corinthians, squadra del cuore del pilota è stato chiesto, in vista del trentennale di Imola, per onorare le memoria del suo tifoso così speciale di riutilizzare la maglia di qualche stagione fa, quando al posto della scritta dello sponsor sul petto dei giocatori del ‘Timao’ era stato stampato l’autografo di Senna. Intanto alcuni facoltosi appassionati stanno partecipando all’asta per acquistare la Honda NSX che Ayrton utilizzava per spostarsi nei periodi che trascorreva in Portogallo.

Apparteneva ad una persona di nazionalità britannica, di cui non si è fatto il nome, che ora l’ha messa in vendita, al prezzo base di 500mila sterline, circa 580mila euro. In Brasile non se la vogliono far sfuggire, e sarà una sfida all’ultimo real. Intanto, e soprattutto, rimane quel volto che è anche su tanti murales, amato da tutti e sinonimo di 41 gran premi vinti e tre titoli mondiali. Una striscia che avrebbe potuto continuare chissà fino a quando, ma il destino ha deciso diversamente. Di sicuro Ayrton Senna continua a vincere nei cuori della gente.

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