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Politica

Cala l’affluenza al voto in Umbria e in Emilia-Romagna

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A eleggere i prossimi presidenti di Emilia-Romagna e Umbria sarà un elettore su due. Dopo una partenza piuttosto lenta, l’affluenza alle urne si è attestata poco sopra il 31%. Si può supporre che l’affluenza finale (si voterà domani fino alle 15) non sarà molto lontana dal 50%, come già avvenuto tre settimane fa per la Liguria e a giugno per le Europee. Alla rilevazione delle 19, l’Umbria (31,22%), che era indietro di un paio di punti in quella delle 12, ha superato di un’incollatura l’Emilia-Romagna (31,03%). Il confronto con le precedenti elezioni (che però si svolgevano in un solo giorno e quindi il raffronto non può essere lineare) è tuttavia impietoso: -21% in Umbria, -27% in Emilia-Romagna che si confronta peraltro con un’elezione che fu per mesi al centro della scena mediatica nazionale.

La soglia non solo psicologica del 50% è tuttavia a rischio, anche se un’altra mezza giornata di seggi aperti potrebbe consentire di superarla, sia in Emilia-Romagna, sia in Umbria. I timori per una scarsa affluenza sono stati uno dei leit motiv della campagna elettorale, soprattutto in Emilia-Romagna, evocata anche come segnale di malcontento delle zone alluvionate che però, in realtà, hanno risposto, in termini di partecipazione, meglio di altri territori: a Traversara, paese del comune di Bagnacavallo (Ravenna) che ha subito ripetute inondazioni, alle 19 aveva già votato il 42,42%, oltre dieci punti percentuali in più rispetto alla media regionale.

Ma dati più alti si sono registrati in quasi tutti i territori che hanno avuto i danni principali. Affluenza più alta delle altre zone anche nel Comune di Bologna (35,93%), al centro di una delle pagine di maggiore tensione delle ultime settimane, con i cortei contrapposti che hanno innescato un duro scontro fra il sindaco Matteo Lepore e la premier Giorgia Meloni. L’attesa della politica per domani riguarda le due sfide e la definizione del risultato finale di questa partita di regionali, dopo il primo tempo che si è chiuso in vantaggio per il centrodestra con la vittoria in Liguria. Il centrosinistra difende la propria roccaforte, l’Emilia-Romagna, con il sindaco di Ravenna Michele de Pascale, sfidato da Elena Ugolini. La presidente uscente dell’Umbria Donatella Tesei cerca una riconferma (e il gol della vittoria per il centrodestra) contro la sindaca di Assisi Stefania Proietti scelta dal centrosinistra per il tentativo di riconquista.

Sono però anche un’occasione per ridefinire i rapporti di forza interni alle coalizioni, con il M5S che il prossimo fine settimana dovrà fare i conti con l’assemblea costituente convocata da Giuseppe Conte e per valutare la sopravvivenza o meno del ‘campo largo’, così come è stato immaginato dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Ma sono importanti anche per gli equilibri del governo. Ne è un sintomo la risposta del vicepremier Antonio Tajani alle parole del ministro Calderoli, sulle opposizioni che “taceranno per sempre” a proposito dell’autonomia. P

arole che hanno suscitato le ire del Pd. Il linguaggio usato da Calderoli, ha detto Tajani, “non mi appartiene, non è il mio linguaggio, ma comunque mi sembrava più un messaggio politico e non di odio personale. Abbiamo detto sull’autonomia cosa pensiamo, dobbiamo essere sempre prudenti. Calderoli difende la sua riforma, è stato anche attaccato in maniera anche abbastanza pesante, ma io uso un altro linguaggio”.

In una giornata elettorale scivolata via abbastanza tranquilla, Maurizio Gasparri ha rotto il silenzio elettorale, invitando ad andare a votare per FI, come atto di protesta nei confronti della replica di Report, trasmessa ieri da RaiTre, in cui si parlava dei candidati in Umbria. “Esisteva, un tempo – ha detto Gasparri – il silenzio elettorale. Mentre le urne erano aperte, nell’immediata vigilia, non si poteva fare propaganda elettorale. E, invece, il servizio pubblico radiotelevisivo ha rotto questo principio”.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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