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Bouteflika si è dimesso, in Algeria finisce un’era

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Cedendo alla pressione di oceanici cortei succedutisi per sei settimane, e con la spallata finale data poche ore prima dai militari, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika si e’ dimesso dopo essere stato al potere per un ventennio ma per gli ultimi sei anni su una sedia a rotelle e con difficolta’ anche a parlare. “Il presidente della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, ha notificato ufficialmente al presidente del Consiglio costituzionale la propria decisione di mettere fine al suo mandato”, ha scritto l’agenzia ufficiale Aps dando l’annuncio che parte del Paese nordafricano reclamava a gran voce dal 22 febbraio, quando iniziarono le grandi manifestazioni del venerdi’ contro un suo quinto mandato reso surreale dalle pessime condizioni di salute create dall’ictus che lo ha colpito nel 2013. Una rielezione peraltro cui l’82enne Bouteflika, o almeno chi scrive gli annunci a suo nome, aveva rinunciato annunciando anzi dimissioni entro il 28 aprile appena lunedi’, ma riservandosi il diritto di varare “importanti misure” con cui impostare “la transizione”. Uno schema che evidentemente non e’ piaciuto ai militari: l’annuncio di Bouteflica e’ arrivato poche ore dopo che il ministero della Difesa, guidato dal Capo di Stato maggiore delle Forze armate Ahmed Gaid Salah, ha insistito perche’ il presidente venisse rimosso “immediatamente” (“non c’e’ altro tempo da perdere”) attraverso la complessa procedura indicata dall’articolo 102 della Costituzione, invocato dalla piazza e scandito dal potentissimo militare una settimana fa, il 26 marzo. Un altro comunicato del dicastero che ne smentiva uno attribuito alla Presidenza su presunte dimissioni di Salah e sull’apertura di un’inchiesta militare a suo carico lascia intendere la drammaticita’ delle ore vissute nei palazzi di Algeri.

A Salah i media hanno attribuito la parola “banda” per definire il gruppo di uomini che redigono i comunicati a nome del capo dello Stato: un altro segno dello scontro ormai senza esclusione di colpi. La procedura dell’articolo 102 attribuisce l’interim istituzionale in attesa di elezioni al presidente del Senato, Abdelkader Bensalah, peraltro un altro gerontocrate (76 anni) molto legato all’ormai ex-presidente. Nelle ultime settimane il sostegno a Bouteflika, alla guida del piu’ vasto Paese africano dal 1999, si era sfaldato con dimissioni eccellenti e prese di distanza del suo stesso partito, il Fln.

A vacillare ha cominciato l’intero ‘systeme’, il sistema di potere algerino accusato di corruzione e mala gestione delle ingenti risorse del primo esportatore di gas dell’Africa. Oltre a Bensalah, anche il generale Salah ne e’ pero’ un’espressione e bisognera’ vedere ora come si sviluppera’ il confronto fra la contestazione fatta soprattutto da giovani, uno su tre afflitti dalla disoccupazione, e i resti del “systeme”. E’ chiaro pero’ che e’ finita l’era Bouteflika, il presidente che oltre ad essere stato artefice e arbitro del “sistema” ha condotto una meritoria opera di ricomposizione di un Paese sanguinosamente lacerato da un decennio nero di guerra civile di matrice religiosa con 200mila morti negli anni Novanta.

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Caos Israele, Netanyahu rinvia la riforma della giustizia

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Benyamin Netanyahu posticipa la riforma della giustizia fino alla prossima sessione della Knesset dopo la Pasqua ebraica in nome della “responsabilità nazionale” e per evitare “una guerra civile”. Al tempo stesso lascia la legge sul tavolo, invitando al dialogo l’opposizione per “gli aggiustamenti” necessari. Al termine delle 24 ore più convulse della storia recente di Israele, il premier – dopo aver rinviato per tutto il giorno il suo intervento – si è deciso infine a parlare in serata ad un Paese paralizzato da uno sciopero generale che ha fermato tutto il possibile, compresi i voli in partenza al Ben Gurion e gli uffici delle ambasciate israeliane in giro per il mondo. La miccia alle proteste, dopo settimane di tensione, era stata accesa domenica sera dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, reo di aver chiesto un pausa nell’iter della riforma pur condividendone i contenuti. Una mossa che ha scatenato, a partire dalla notte, le maggiori manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, culminate nel pomeriggio con circa centomila persone davanti la Knesset a Gerusalemme.

Una prova di forza a cui la destra ha risposto convocando una contromanifestazione sempre davanti al Parlamento. Il rischio che la situazione precipitasse nell’irreparabile è stato palpabile tutto il giorno e per questo si sono infittiti i colloqui all’interno della maggioranza di governo, visto che il premier ha dovuto innanzitutto convincere i riottosi alleati di ultradestra della necessità di far sbollire gli animi. Dopo il discorso di Netanyahu in tv il sindacato ha subito revocato lo sciopero mentre l’opposizione si è detta disponibile ad accettare la mano tesa del premier. Netanyahu ha dovuto mediare prima con il suo ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir (Potenza ebraica), pronto ad aprire la crisi di governo. Con lui – secondo quanto annunciato dallo stesso leader di estrema destra – ha concordato la pausa della riforma in cambio dell’esame, nella prossima seduta di governo, della creazione di una Guardia nazionale civile di volontari alle dirette dipendenze del ministro. Un pallino fisso di Ben Gvir, da lui avanzato al momento della formazione del governo e rispolverato per l’occasione. “Ho accettato di rimuovere il mio veto – ha scritto Ben Gvir – in cambio di questo impegno”.

Una concessione giudicata dagli analisti quantomeno problematica vista la presenza già di polizia, della guardia di frontiera, dello Shin Bet (Sicurezza interna) e dello stesso esercito. Ancora più complicato il rapporto con il ministro delle Finanze e leader di Sionismo Religioso Bezalel Smotrich, che non intende mollare. “Non dobbiamo fermare per alcun motivo la riforma. Siamo la maggioranza – ha affermato annunciando la sua presenza alla manifestazione della destra alla Knesset -, non dobbiamo arrenderci alla violenza, all’anarchia, agli scioperi selvaggi, alla disobbedienza. Non consentiremo che ci rubino i nostri voti e il nostro Stato”. Del resto lo stesso Netanyahu nel suo intervento ha detto di aver convinto “la maggior parte dei suoi alleati di governo”, non tutti. Resta dunque un disallineamento nelle posizioni, anche se la scelta sembra fatta. Dalla parte opposta, il leader centrista Benny Gantz – evocato dallo stesso Netanyahu nel discorso – ha detto che si presenterà al dialogo, nella residenza del capo dello Stato Isaac Herzog, “con cuore aperto e anima sincera”. “Dobbiamo opporci ad una guerra civile”, ha aggiunto, “dire no alla violenza e sì agli accordi e al dialogo”. Un richiamo contro la violenza su cui ha insistito lo stesso Netanyahu, denunciando “una minoranza di estremisti” e invitando i capi dell’esercito ad usare la mano pesante contro i riservisti contrari a presentarsi in nome della disobbedienza civile contro la riforma. “Sosterrò ogni iniziativa giusta di dialogo ma – ha sottolineato Gantz – non faremo compromessi sui principi della democrazia”. E lo stesso ha fatto Yair Lapid, dichiarandosi disposto ad intavolare un dialogo sotto l’egida di Herzog, tra i primi a salutare l’apertura di Netanyahu.

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Ucraina: attacco droni russi su Kiev, esplosioni e incendi

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Esplosioni e incendi si sono verificati ieri sera a Kiev, causati da un attacco di droni russi. Lo hanno reso noto le autorità locali, citate dal Kyiv Independent. L’amministrazione militare dell’oblast della capitale ucraina ha comunicato di aver abbattuto tutti i velivoli senza pilota usati dalle forze di Mosca per l’attacco, avvenuto poco dopo le 22 ora locale (le 21 in Italia) I vigili del fuoco sono intervenuti nei distretti di Sviatoshynskyi e Obolonskyi, a Kiev. Non si segnalano vittime o feriti, secondo il sindaco Vitalii Klitschko.

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Argentina: ex presidente Macri non si candiderà nel 2023

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L’ex presidente argentino Mauricio Macri (2015-2019) ha annunciato di avere deciso di non candidarsi per l’opposizione nelle prossime elezioni presidenziali previste in Argentina il 22 ottobre 2023. “Lo faccio – ha sostenuto in un video postato ieri nel suo account Twitter – convinto che dobbiamo allargare lo spazio politico che abbiamo costruito”, e in questo ambito “confido che l’area in cui mi riconosco (la coalizione Pro, ndr.) saprà scegliere la persona che meglio possa rappresentarci”.

Abbandonando l’ambiguità di dichiarazioni dei giorni scorsi che potevano far pensare ad una nuova partecipazione alla contesa elettorale, Macri, 64 anni, ha ora chiarito il suoi pensiero, non senza criticare duramente la coalizione governativa peronista Frente de Todos (FdT) che sostiene il presidente Alberto Fernández. Sottolineando che per colpa del FdT “siamo alla deriva, senza guida, isolati dal mondo, soli”, Macri ha però messo in guardia dal pericolo che esiste “nelle situazioni difficili da cui molti credono di uscire guardando a una personalità messianica che dia sicurezza”, come potrebbe essere il leader dell’estrema destra Javier Milei con ambizioni presidenziali.

Gli analisti locali sottolineano che l’annuncio di Macri, che peraltro non appariva in buona posizione nei sondaggi, lascia spazio ad altri candidati del Pro che ambiscono a candidarsi alla Casa Rosada: l’attuale governatore di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta, l’ex ministra della Sicurezza del precedente governo, Patricia Bullrich, e la ex governatrice della provincia di Buenos Aires, María Eugenia Vidal.

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