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Economia

Tunisia, l’Algeria potrebbe aumentare la tariffa per il gasdotto Transmed

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L’Algeria potrebbe aumentare la tariffa per il gasdotto Transmed. Almeno questo è ciò che pensano molti osservatori delle relazioni tunisino-algerine. Questi ultimi spiegano il gesto di Algeri con le forti concessioni fatte dalla Tunisia per aiutare la potenza algerina ad uscire dal suo isolamento diplomatico. L’Algeria è in contrasto con i paesi vicini: Marocco, Mali, Niger… Queste concessioni tunisine sono state fatte a margine del 7° Forum dei Paesi Esportatori di Gas (GECF), al quale ha partecipato come ospite d’onore il Capo di Stato tunisino Kaïes Saïed. Nel complesso, riteniamo che tre indicatori oggettivi supportino la realizzazione dello scenario di aumento di tariffe. Tra Kais Saied e Tebboune regna una grande fiducia. Il primo indizio riguarda i rapporti di grande fiducia che esistono da diversi anni tra Algeri e Tunisi, in particolare tra i presidenti dei due Paesi, Kaies Saied e Abdelmajid Tebboune. Segno della forza di questi legami, il capo di Stato algerino, ricevendo Saied all’aeroporto, in occasione del GECF, ha tenuto a tenere la mano del suo ospite, appena sceso dall’aereo.

Questa insolita immagine illustra la profonda fraternità, amicizia e complicità tra i due capi di Stato. Alcuni lo hanno visto come un messaggio destinato ai detrattori di entrambi i paesi. L’Algeria un produttore di gas con una forte domanda da parte degli europei. A titolo indicativo, nell’aprile 2022, Algeria e Italia hanno concluso un accordo per aumentare del 40% il volume di gas trasportato da Transmed con il corollario per la Tunisia, il quadruplicamento della royalty applicata dalla Tunisia sul trasporto. In valore, questa royalty è aumentata da 500 MTD nel 2020 a circa 2 miliardi di dinari nel 2023. La Tunisia, che importa il 65% del suo fabbisogno di gas naturale dall’Algeria a prezzi preferenziali, potrebbe sfruttare l’eventuale aumento di questa royalty per ridurre il suo deficit commerciale, il 50% del quale proviene dalle importazioni di energia in valuta estera. L’Algeria, produttrice di gas naturale, è qualificata dai suoi clienti europei come un paese sicuro. Perché in questo settore gli esperti sono unanimi nel dire che non è possibile lo sviluppo delle esportazioni di gas senza la garanzia della sicurezza dell’approvvigionamento per gli acquirenti. È necessario ricordare qui che gli incidenti, soprattutto geopolitici, avvenuti negli ultimi anni, come la guerra russo-ucraina, hanno causato interruzioni delle consegne.

Il terzo indicatore riguarda l’adesione della Tunisia, a margine del 7° Forum del GECF, alla proposta algerina di riflettere su una possibile alternativa all’Unione del Maghreb Arabo (UMA) e di organizzare, a monte, periodici incontri tripartiti che raggruppino Algeri, Tunisi e Tripoli, ed escluso il Marocco. Ma la Mauritania, paese fondatore dell’AMU, ha espresso il desiderio di non partecipare a tali riunioni. L’adesione della Tunisia a questo progetto costituisce un punto di svolta importante nella diplomazia tunisina. E per una buona ragione.

Il Paese fin dalla sua indipendenza ha sempre potuto adottare una politica estera indipendente da Algeri. Ma alla luce della situazione catastrofica attualmente prevalente nel paese e del suo abbandono da parte dei suoi tradizionali alleati classici (il mondo occidentale), la Tunisia è obbligata a dimostrare pragmatismo e unire i suoi sforzi con quelli di Algeri e Tripoli per uscire a sua volta dall’isolamento diplomatico. Per tutti questi motivi, l’Algeria, un paese ricco, preoccupato anche per la stabilità multiforme del suo vicino orientale, deve, logicamente, compiere un gesto e contribuire indirettamente al rafforzamento delle sue finanze pubbliche. Lo ha già fatto in passato fornendo, al momento opportuno nel 2021, un prezioso aiuto finanziario (un prestito di 600 milioni di dollari di cui 100 milioni sotto forma di donazione), può ancora farlo aumentando le royalties sulla trasporto del suo gas in Europa attraverso il territorio tunisino.

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Economia

Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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