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‘Bombe al fosforo su Azovstal’, verso lo scontro finale

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L’offensiva russa nel Donbass “ha perso slancio ed è rimasta significativamente indietro rispetto ai piani”. Il ministero della difesa britannico fotografa una fase di incertezza nella guerra in Ucraina, dopo oltre 80 giorni. L’Armata, che avrebbe perso fino a “un terzo delle truppe”, tiene alta la pressione sull’est del Paese e colpisce anche in altre direzioni, come a Leopoli, ma i difensori resistono e contrattaccano da Kharkiv. A Mariupol l’acciaieria e’ sotto il fuoco costante, persino con bombe al fosforo, secondo le autorita’ locali. E i combattenti di Azovstal, ormai allo stremo, si preparano alla “battaglia finale” ma sono pronti al peggio. La fase 2 dell’invasione russa, concentrata sul Donbass, non procede come previsto, ha stimato l’intelligence britannica. Che non ha visto “nessuna sostanziale vittoria nell’ultimo mese”. Inoltre le truppe di terra si sarebbero “ridotte di un terzo”, rendendo “difficile un loro rapido rimpiazzo”. In questo scenario, Londra ritiene “improbabile un’accelerazione importante nell’avanzata nei prossimi 30 giorni”. Valutazioni condivise dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, secondo cui la Russia “si trova a un punto morto” nel Donbass. Tanto che, secondo lo stato maggiore ucraino, Mosca starebbe addestrando “2.500 riservisti al confine per colmare le perdite”. La prima linea russa, ha spiegato Kiev, per ora e’ concentrata sul Lugansk, dove sono stati effettuati una trentina di bombardamenti in 24 ore, soprattutto su Severodonetsk. Dove un raid avrebbe preso di mira anche un veicolo con 10 civili fuga, inclusi bambini, per fortuna rimasti illesi. Nel Donetsk i russi si raggruppano per riprendere l’offensiva verso Sloviansk, altro centro chiave. L’esercito ucraino ha ammesso che “nonostante le perdite, le forze russe hanno continuato ad avanzare” nel Donbass. Allo stesso tempo, Kiev ha rivendicato ulteriori successi nella controffensiva a Kharkiv e sta spingendo verso Izium. A Mariupol intanto prosegue l’agonia del bastione di Azovstal. Mentre un maxi-convoglio di civili in fuga e’ riuscito a entrare a Zaporizhzhia dopo tre giorni di attesa, nell’acciaieria i russi continuano a colpire l’ultima sacca di resistenza. Anche in modo brutale, ricorrendo a “bombe incendiarie o al fosforo”, ha denunciato il consigliere del sindaco Petro Andryushchenko. Secondo cui, tra l’altro, su alcune bombe sono state scritte le parole pronunciate dalla band ucraina Kalush dopo la vittoria all’Eurovision, proprio per salvare l’acciaieria sotto assedio. I militari ucraini, bloccati sotto i tunnel insieme ai feriti, “ormai hanno perso le speranze e si preparano alla battaglia finale”, ha detto Kateryna, moglie di un soldato di Azov. “Salviamo la loro vita, non diamo premi postumi”, e’ l’appello di Yuliia. Altre mogli dei combattenti sono volate in Turchia per ringraziare Erdogan, che ha offerto una nave per l’evacuazione. Da Mosca tuttavia non sono arrivati segnali incoraggianti. Il consigliere di Putin, Vladimir Medinsky, ha chiarito che i “criminali di guerra” di Azov non possono essere oggetto di “negoziati politici”. La guerra in Ucraina viene combattuta anche oltre il sud-est. Raid russi sono stati segnalati nelle regioni settentrionali di Chernihiv e Sumy ed anche a ovest, nell’area di Leopoli al confine con la Polonia, dove e’ stata colpita un’infrastruttura militare. Il governatore russo di Belgorod invece ha denunciato un nuovo bombardamento ucraino su un villaggio. L’ultimo di una lunga serie, che gli ucraini non hanno mai rivendicato. Probabilmente, per non scatenare una rappresaglia piu’ dura. Con queste premesse e’ plausibile che per arrivare ad una fase decisiva del conflitto bisognera’ attendere dei mesi, come ha previsto il capo dell’intelligence ucraina. E l’atmosfera a Berlino, tra i ministri degli Esteri impegnati in una riunione della Nato, e’ descritta cosi’ da Luigi Di Maio: “C’e’ il rischio che questa guerra possa durare anche piu’ di un anno, tutti ne siamo consapevoli”.

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Ucraina: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti… per cosa?

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Dunque, facciamo un riassunto. Tre anni fa, il 24 febbraio 2022, la Russia invadeva l’Ucraina. L’idea di Putin era chiara: una blitzkrieg, due giorni per arrivare a Kiev, eliminare il governo e sostituirlo con una marionetta del Cremlino. Facile, no? Peccato che la storia non abbia seguito il copione scritto a Mosca.

La “non-guerra” russa e l’ecatombe in corso

In Russia, guai a chiamarla guerra. È una “operazione speciale militare”, un po’ come definire il Titanic “un incidente nautico di lieve entità”. Eppure, questa non-guerra ha prodotto una ecatombe: centinaia di migliaia di soldati russi morti, oltre 80mila ucraini caduti. E queste sono solo le stime ufficiali, perché il numero reale di vittime potrebbe essere ancora più tragico.

Ma non parliamo di numeri. Parliamo di morti, di una carneficina che ha lasciato città distrutte, milioni di sfollati e un’Europa che per tre anni ha investito miliardi per difendere l’integrità territoriale ucraina, la democrazia e i principi cardine del diritto internazionale.

L’Occidente che armava Kiev (fino a ieri)

Per tre anni, l’Europa e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno riversato in Ucraina decine di miliardi di euro e dollari, inviando armi, addestrando soldati, costruendo difese, imponendo sanzioni alla Russia e isolando il Cremlino. La NATO ha fatto il possibile per tenere l’Ucraina in vita, ma soprattutto per tenere i russi fuori dai confini europei.

E nonostante tutto, la grande Armata Rossa non ha mai sfondato. Putin ha mandato in battaglia galeotti, ha chiesto aiuto ai nordcoreani, ha arruolato mercenari, ha schierato la famigerata Wagner. Eppure, gli ucraini non hanno ceduto. Hanno preferito morire piuttosto che tornare sotto la sferza russa.

L’Unione Europea accelerava per accogliere Kiev nell’UE. La NATO era pronta a fare dell’Ucraina un suo membro. Ma poi…

Trump entra alla Casa Bianca, Putin sorride

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump torna presidente degli Stati Uniti d’America. In meno di un mese, qualcosa cambia. Washington e Mosca riprendono a parlarsi, Trump e Putin si sentono al telefono come vecchi amici. E soprattutto, decidono che la guerra deve finire.

Come? Semplice. L’America di Trump smette di inviare armi e suggerisce che gli ucraini devono rassegnarsi a perdere pezzi del loro Paese. Niente NATO per Kiev, niente resistenza fino alla fine. E soprattutto, gli Stati Uniti vogliono le terre rare ucraine, quelle risorse minerarie fondamentali per l’industria tecnologica.

Dunque, riepiloghiamo: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di euro investiti per difendere l’Ucraina… e ora tutto si risolve così? Trump e Putin spartiscono il Paese, gli ucraini devono ingoiare il rospo, e il mondo guarda in silenzio.

La spartizione dell’Ucraina e il nuovo ordine mondiale

Il nuovo accordo sembra scritto con un righello:

  • Un pezzo all’Ucraina (giusto per non cancellarla del tutto).
  • Un pezzo alla Russia, che si tiene le terre occupate.
  • Un pezzo agli Stati Uniti, che si prendono le risorse minerarie strategiche.
  • Un pezzo ai caschi blu dell’ONU, o a qualche “forza internazionale” che piaccia a Putin.

Nel frattempo, Trump pensa in grande: riannettere il Canale di Panama, erigere nuovi muri con il Messico, ribattezzare il Golfo del Messico in “Golfo d’America”, comprare la Groenlandia, annettere il Canada. Sì, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di espandersi, non solo in Ucraina, ma ovunque Trump voglia lasciare il segno.

Tre anni di guerra… per cosa?

Alla fine, quello che per tre anni era stato un punto fermo – la difesa dell’Ucraina, della democrazia, dei confini europei – non conta più nulla. Si fa come decidono Trump e Putin. L’Ucraina viene smembrata. I morti? Un dettaglio di cui nessuno parlerà più.

E noi, in Europa, guardiamo in silenzio. Perché, alla fine, sembra che la storia sia scritta sempre dai più forti. E gli ideali? Quei principi che hanno giustificato tre anni di guerra, le parole sulle libertà, la sovranità, la democrazia? Tutto inutile. Basta una stretta di mano tra due uomini e il destino di una nazione cambia per sempre.

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Cremlino, è Kiev che non vuole colloqui di pace

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“Mosca è pronta a risolvere il conflitto ucraino attraverso colloqui di pace, ma Kiev rifiuta di impegnarsi in questo processo”: così il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (foto in evidenza) commentado le parole del premier ungherese Viktor Orban, secondo cui il conflitto armato in Ucraina finirà nel 2025, “o attraverso un trattato di pace o dopo il crollo di uno dei belligeranti”. “Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato che siamo aperti a risolvere le nostre divergenze attraverso colloqui di pace. Tuttavia, poiché l’Ucraina attualmente si rifiuta di impegnarsi nei colloqui, continuiamo la nostra operazione”, ha detto il responsabile alla Tass. “Per noi è importante raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo di fronte per garantire la sicurezza del nostro Paese”, ha ribadito.

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La spia che venne dagli Usa, l’uomo di Mosca nel Donbass

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Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.

Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.

Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.

La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.

Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.

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