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Biden sfida la Cina, dal G7 600 mld in infrastrutture

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Un piano da 600 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per infrastrutture, ambiente, sanita’ e tecnologie sicure in tutto il mondo. E’ la risposta del G7 alla Via della Seta cinese che Joe Biden, assieme agli altri leader, ha lanciato ufficialmente al vertice in Germania. Il presidente americano non nomina mai la Cina ma il suo messaggio a Pechino, e anche alla Russia, e’ chiaro quando invita le democrazie a rimanere unite per non lasciare il campo libero agli autocrati che opprimono i loro popoli. Da qui al 2027 i Paesi del G7 investiranno 600 miliardi in diversi “progetti rivoluzionari per colmare il divario infrastrutturale nei Paesi in via di sviluppo, rafforzare l’economia globale e le catene di approvvigionamento e far progredire la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, ha annunciato Biden dal castello bavarese di Elmau precisando che gli Usa contribuiranno alla ‘Partnership for Global Infrastructure and Investment’ con 200 miliardi. Uno stanziamento ingente che, ha sottolineato il presidente americano, non e’ carita’ ma portera’ vantaggi anche nelle tasche degli americani. Nata un anno fa al vertice in Cornovaglia, i contorni dell’iniziativa erano rimasti finora un po’ vaghi. Il presidente Usa e’ entrato piu’ nel dettaglio su quali saranno i campi d’azione e quali le zone del mondo a cui gli investimenti saranno rivolti: Corno D’Africa, Africa occidentale, ma anche Sudamerica e Asia-Pacifico, tutte aeree su cui la lunga mano della Cina e’ gia’ arrivata da tempo. Tuttavia, a differenza della mega operazione della Via della Seta che si basa interamente su massicci investimenti statali, il piano presentato da Biden prevede un ruolo significativo del settore privato. Una sorta di sfida capitalisti contro comunisti, come lo hanno descritto funzionari dell’amministrazione. “Rilanciamo la nostra partnership nelle infrastrutture e negli investimenti globali con impegni concreti”, ha dichiarato da parte sua il cancelliere tedesco Olaf Scholz citando la sanita’ e la transizione ecologica come due priorita’ del nuovo piano. “Il mondo ha bisogno di questi investimenti piu’ che in ogni altro momento. Dobbiamo lavorare gli uni accanto agli altri”, gli ha fatto eco la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Quando le democrazie si uniscono e dimostrano tutto quello che sanno fare e possono offrire possono vincere ogni competizione”, ha incalzato Biden ribadendo che solo cosi’ si possono battere le autocrazie del mondo, dalla Cina alla Russia. E sulla cybersecurity e il 5G in particolare ha spiegato che il piano punta a “rafforzare l’uso di tecnologie sicure cosi’ che i nostri dati online non possano essere sfruttati dagli autocrati per consolidare il loro potere e reprimere la loro gente”. L’operazione degli Stati Uniti per rilanciare l’isolamento di Pechino, colpevole anche di aver continuato a sostenere la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina acquistandone il petrolio, non si ferma in Germania. Nel Concetto strategico che sara’ varato al termine del vertice Nato di Madrid, nei prossimi giorni, per la prima volta la Cina e le sue sfide saranno citate come fonte di preoccupazione.

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Putin ringrazia i soldati nordcoreani, ‘sono eroi’

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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ringraziato in un messaggio i soldati nordcoreani che hanno preso parte alla “liberazione della regione di Kursk” dalle truppe d’invasione ucraine, definendoli “eroi”. Lo riferisce il servizio stampa del Cremlino.

“Il popolo russo non dimenticherà mai l’impresa delle forze speciali coreane, onoreremo sempre gli eroi coreani che hanno dato la vita per la Russia, per la nostra comune libertà, al pari dei loro compagni d’armi russi”, si legge nel messaggio di Putin. Il presidente russo sottolinea che l’intervento è avvenuto “nel pieno rispetto della legge internazionale”, in base all’articolo 4 dell’accordo di partenriato strategico firmato nel giugno dello scorso anno tra Mosca e Pyongyang, che prevede assistenza militare reciproca in caso di aggressione a uno dei due Paesi. “Gli amici coreani – ha aggiunto Putin – hanno agito in base a un senso di solidarietà, giustizia e genuina amicizia. Lo apprezziamo molto e ringraziamo con sincerità il presidente Kim Jong-un personalmente”.

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Trump: Zelensky vuole un accordo e rinuncerebbe alla Crimea. Putin smetta di sparare e firmi

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Volodymyr Zelensky è “più calmo” e “vuole un accordo”. È quanto ha riferito Donald Trump, secondo quanto riportato dai media americani, dopo il loro incontro avvenuto nella suggestiva cornice di San Pietro, a margine dei funerali di papa Francesco.

Un incontro positivo e nuove prospettive

Trump ha descritto l’incontro con il presidente ucraino come «andato bene», sottolineando che Zelensky sta «facendo un buon lavoro» e che «vuole un accordo». Secondo il tycoon, il leader ucraino avrebbe ribadito la richiesta di ulteriori armi per difendersi dall’aggressione russa, anche se Trump ha commentato con tono scettico: «Lo dice da tre anni. Vedremo cosa succede».

La questione della Crimea

Tra i temi toccati nel colloquio, anche quello della Crimea. Alla domanda se Zelensky sarebbe disposto a cedere la Crimea nell’ambito di un eventuale accordo di pace, Trump ha risposto: «Penso di sì». Secondo il presidente americano, «la Crimea è stata ceduta anni fa, senza un colpo di arma da fuoco sparato. Chiedete a Obama». Una posizione che conferma il suo approccio pragmatico alla questione ucraina.

L’appello a Putin: “Smetta di sparare”

Trump ha ribadito di essere «molto deluso» dalla Russia e ha lanciato un nuovo appello al presidente Vladimir Putin: «Deve smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo». Il tycoon ha anche rinnovato la convinzione che, se fosse stato lui presidente, la guerra tra Mosca e Kiev «non sarebbe mai iniziata».

Un contesto suggestivo

Riferendosi all’incontro tenutosi a San Pietro, Trump ha aggiunto: «È l’ufficio più bello che abbia mai visto. È stata una scena molto bella». Un commento che sottolinea anche la forza simbolica del luogo dove i due leader si sono parlati, all’ombra della basilica vaticana.

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Media, due giornalisti italiani espulsi dal Marocco

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Due giornalisti italiani sarebbero stati espulsi ieri sera dalle autorità marocchine con l’accusa di aver cercato di entrare illegalmente nella città di Laayoune (El Aaiun). Lo rivela il quotidiano marocchino online Hespress. Matteo Garavoglia, 34 anni, giornalista freelance originario di Biella e collaboratore del ‘Manifesto’, e il fotografo Giovanni Colmoni, avrebbero tentato di entrare nella città marocchina meridionale al confine con la regione contesa del Sahara Occidentale “senza l’autorizzazione richiesta dalla polizia”.

I due erano a bordo di un’auto privata e, secondo quanto riporta il quotidiano marocchino, sarebbero stati fermati dagli agenti che hanno interpretato il tentativo di ingresso come un “atto provocatorio, in violazione delle leggi del Paese che regolano gli ingressi dei visitatori stranieri”. Sempre secondo l’Hespress, i due reporter avrebbero cercato di “sfruttare il fatto di essere giornalisti per promuovere programmi separatisti. Per questo sono stati fermati e successivamente accompagnati in auto nella città di Agadir”. Non era la prima volta che i due tentavano di entrare a Laayoune, secondo il quotidiano, ma sempre “nel disprezzo per le procedure legali del Marocco”.

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