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Berlusconi dimesso dal San Raffaele, “ho vinto ancora”

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Il cancello di via Olgettina 60 si è aperto intorno alle 12:10 ed esattamente un’ora più tardi è uscito Silvio Berlusconi. Dopo 45 giorni di ricovero, 7 bollettini medici e due videomessaggi registrati da dentro la struttura, l’ex premier è stato dimesso oggi dal San Raffaele di Milano. Con indosso una camicia bianca e una giacca blu, ha sorriso mentre con la mano salutava giornalisti e curiosi che erano fuori ad attenderlo. Alla sua sinistra, sui sedili posteriori dell’auto, c’era la compagna Marta Fascina, che gli è rimasta accanto per tutto il periodo di degenza.

“Una emozione incredibile, un grande sollievo”, commenta il leader di Forza Italia. Che aggiunge: “è stato un periodo angoscioso e difficile ma dopo il buio ho vinto ancora”. Entrato in ospedale lo scorso 5 aprile – dopo un breve ricovero di tre giorni la settimana precedente – per curare una infezione polmonare insorta nel quadro di una leucemia mielomonicitica cronica, Berlusconi ha trascorso i primi 12 giorni in terapia intensiva al piano -1 del settore Q della struttura. Quando “lo stato clinico e la risposta alle cure” lo hanno consentito, è stato poi trasferito in un reparto di degenza ordinaria, sempre all’interno dello stesso padiglione.

I successivi bollettini medici, da quel momento in poi, hanno cominciato a parlare di una stabilizzazione del quadro clinico, mantenuta per giorni fino a una “ottimale e convincente ripresa delle funzionalità d’organo” già oltre tre settimane fa. L’ultima nota diffusa dal San Raffaele a firma dei professori Alberto Zangrillo e Fabio Ciceri risale allo scorso 3 maggio. Anche fuori dall’ospedale, il presidente di Forza Italia proseguirà le terapie, venendo costantemente monitorato a Villa San Martino, la sua residenza ad Arcore. I familiari e gli amici più stretti gli sono rimasti accanto per tutto il mese e mezzo trascorso nella struttura. I cinque figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi gli hanno fatto visita, alternandosi, quasi quotidianamente.

Così come il fratello Paolo e lo storico amico Fedele Confalonieri. Sono poi passati per un saluto, anche l’ad del Monza Adriano Galliani, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e Gianni Letta. Soltanto nell’ultima settimana l’ospedale ha aperto le porte al mondo della politica, con le visite della premier Giorgia Meloni e di Matteo Salvini domenica scorsa, seguite da quella del ministro degli Esteri Antonio Tajani due giorni dopo. Il presidente di FI non ha mancato di far sentire la sua vicinanza al partito nemmeno durante la degenza, registrando due video. Il primo, della durata di 20 minuti, ha concluso la Convention degli azzurri il 6 maggio, mentre il secondo, più breve, è stato diffuso in occasione della chiusura della campagna elettorale in vista delle amministrative. Tanti i messaggi di affetto e di entusiasmo, arrivati soprattutto da parte Forza Italia e degli alleati, alla notizia delle dimissioni. “Ti aspettiamo sul campo per combattere insieme tante battaglie”, scrive su Twitter Giorgia Meloni. Il presidente del Senato Ignazio La Russa gli augura di “vederlo prestissimo a Palazzo Madama”, mentre i ministri azzurri Paolo Zangrillo, Maria Elisabetta Casellati, Antonio Tajani gli danno il “bentornato a casa”. Anche il presidente dei deputati di Fi Claudio Barrelli ha espresso la sua gioia come la presidente dei senatori di FI Licia Ronzulli: “ci sono notizie che scaldano il cuore”.

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Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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Mercoledì Consiglio dei ministri, si pensa a un decreto su post alluvione e Campi Flegrei

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Potrebbe approdare mercoledì in Consiglio dei ministri un decreto con ulteriori disposizioni urgenti per affrontare gli straordinari eventi alluvionali verificatisi nei territori di Emilia Romagna, Toscana e Marche, nonché gli effetti del fenomeno bradisismico nell’area dei Campi Flegrei. Il provvedimento, a quanto si apprende, è all’ordine del giorno della riunione tecnica preparatoria convocata per domani. Il governatore dell’Emilia Romagna, Michele de Pascale, in questi giorni ha scritto alla premier Giorgia Meloni, al ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, e al capo Dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano (nella foto in evidenza), per chiedere la proroga di un anno dello stato di emergenza nazionale, in scadenza il 4 maggio, per le ondate di maltempo di settembre e ottobre 2024.

In esame anche un disegno di legge in materia di tutela del personale scolastico, e l’esame preliminare di due schemi di decreto del presidente della Repubblica, uno con modifiche in materia di valutazione degli studenti del secondo ciclo di istruzione, e l’altro che modifica e integra lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. All’ordine del giorno, poi, un altro disegno di legge proposto dal ministero dell’Istruzione, in materia di consenso informato. In esame preliminare, inoltre, un decreto legislativo sulle politiche in favore degli anziani, in attuazione della delega. All’ordine del giorno c’è anche un disegno di legge di ratifica dell’accordo sulle misure di solidarietà volte a garantire la sicurezza approvvigionamento di gas tra Germania, Svizzera e Italia, fatto a Berlino il 19 marzo 2024.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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