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Assange vince un round, può fare appello contro gli Usa

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Si riapre la partita per la libertà di Julian Assange, che guadagna se non altro tempo rispetto alla prospettiva d’essere consegnato hic et nunc nelle mani degli Usa. Ad offrirgli una nuova chance è un collegio di seconda istanza dell’Alta Corte di Londra, che ha dato oggi via libera a un nuovo processo d’appello contro l’estradizione oltre oceano, dove il cofondatore di WikiLeaks – inseguito senza tregua da quasi 20 anni per aver diffuso montagne di documenti sottratti al Pentagono o al Dipartimento di Stato, contenenti fra l’altro rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq – rischia sulla carta una sentenza monstre.

Ammesso di sopravvivere. Il verdetto dei giudici Victoria Sharp e Jeremy Johnson è arrivato dopo un primo spiraglio socchiuso a marzo, quando gli stessi magistrati avevano accettato di ridiscutere l’istanza difensiva – rigettata in primo grado – ammettendo la possibilità di concedere un ulteriore appello laddove i rappresentati del governo americano non avessero fornito rassicurazioni “soddisfacenti” sul pieno rispetto del diritto dell’ex primula rossa australiana a “un giusto processo”.

Cosa che evidentemente non è successa, nell’interpretazione del breve dispositivo con cui Sharp e Johnson – ascoltate ancora una volta le parti – hanno rimesso tutto in gioco: evitando di decretare come chiusa la vicenda di fronte alla giustizia britannica e di dare quindi l’ok a un’estradizione immediata o quasi. Decisone accolta con sollievo dagli avvocati di Assange, che si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni analoghe contagiavano l’irriducibile compagna dell’ex primula rossa australiana, Stella Morris, e il padre, usciti a dare l’annuncio a decine di sostenitori, politici e attivisti dei diritti umani radunati fuori dal palazzo di giustizia. Julian ha invece ricevuto la notizia in cella, nel soffocante carcere di massima sicurezza di Belmarsh dove è rinchiuso da oltre cinque anni e da dove non è potuto uscire nemmeno per l’udienza odierna, prostrato – a quanto è stato riferito – da una condizione di salute psico-fisica sempre più precaria, dopo aver trascorso ormai quasi tre lustri dei suoi 53 anni di vita scarsi da preda in gabbia o da detenuto.

Ora l’artefice di WikiLeaks avrà “alcuni mesi” per preparare il nuovo procedimento, precisa Bbc. Anche se, almeno per il momento, è destinato a rimanere in custodia cautelare – senza condanne alle spalle – dietro le mura di una prigione affollata di assassini, terroristi, criminali conclamati della peggiore risma. Le argomentazioni sollevate dalla difesa per invocare l’ulteriore appello riguardavano due punti cruciali per un processo equo (secondo gli standard minimi europei): il rischio di una condanna a morte (prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange negli Usa di violazione dell’Espionage Act del 1917, inedito per un giornalista); e il timore di non poter invocare, in quanto cittadino australiano, il Primo Emendamento della Costituzione, baluardo della libertà d’espressione e informazione.

Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito che la pena capitale non sarebbe stata “chiesta dalla pubblica accusa” statunitense; ma è sul secondo che non sono riusciti a far breccia, limitandosi a rinviare vagamente alla futura pronuncia di una Corte d’oltre oceano il possibile riconoscimento (o meno) della tutela del “First Amendment”. Una “non rassicurazione”, tanto nelle parole dell’arringa finale dell’avvocato Edward Fitzgerald quanto nelle valutazioni dei giudici. Valutazioni che allontanano lo spettro dell’estradizione, ma che soprattutto offrono margini di tempo agli auspici di una vittoria giudiziaria conclusiva; o magari di una soluzione politica dell’odissea, se Joe Biden vorrà darvi seguito concreto prima delle elezioni di novembre.

E dietro le quali Kristinn Hrafnsson, giornalista d’inchiesta islandese succeduto ad Assange in veste di direttore di WikiLeaks, intravvede “finalmente un primo barlume di speranza” in fondo al tunnel. Una speranza di cui Stella, moglie e madre dei due figli di Julian, si dice “grata” sia ai sostenitori tornati oggi in strada a Londra al grido di “Free Assange”, sia ai “milioni di persone” che nel mondo – accanto a leader progressisti come il premier australiano Anthony Albanese o il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva – continuano a protestare contro “la sua persecuzione”.

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Trump: la Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo sa

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Donald Trump torna a parlare della guerra in Ucraina e lo fa con dichiarazioni destinate a far discutere. In un’intervista rilasciata a Time, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che “la Crimea resterà con la Russia”, aggiungendo che anche il presidente ucraino Zelensky ne sarebbe consapevole.

“La Crimea è andata ai russi, fu colpa di Obama”

«La Crimea è stata consegnata alla Russia da Barack Hussein Obama, non da me», ha ribadito Trump, sottolineando come la penisola fosse “con i russi” ben prima del suo arrivo alla Casa Bianca. «Lì ci sono sempre stati i russi, ci sono stati i loro sottomarini per molti anni, la popolazione parla in gran parte russo», ha aggiunto. Secondo l’ex presidente, se lui fosse stato alla guida del Paese, “la Crimea non sarebbe mai stata presa”.

“Questa guerra non doveva accadere”

Trump ha definito il conflitto in Ucraina “la guerra che non sarebbe mai dovuta accadere”, lanciando un messaggio implicito al presidente Joe Biden e alla gestione democratica della politica estera. A suo avviso, con lui alla presidenza, la situazione in Ucraina si sarebbe sviluppata in modo del tutto diverso, senza l’invasione da parte delle truppe russe.

Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto internazionale già molto teso, mentre si continua a discutere del futuro della Crimea e dei territori occupati.

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Esteri

Mosca: generale ucciso in attacco terroristico

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La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha condannato come “un attacco terroristico” l’attentato in cui è morto oggi vicino a Mosca il generale Yaroslav Moskalik, ucciso dall’esplosione di un ordigno posto sulla sua auto. “La questione principale – ha detto Zakharova, citata dall’agenzia Tass – è come fermare la guerra nel cuore dell’Europa e del mondo. Vediamo così tante vittime ogni giorno. Anche oggi, un militare russo è stato ucciso in un attacco terroristico a Mosca”. (

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‘Usa offriranno pacchetto di armi da 100 miliardi a Riad’

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Gli Stati Uniti sono pronti a offrire all’Arabia Saudita un pacchetto di armi del valore di ben oltre 100 miliardi di dollari: lo riferisce la Reuters sul proprio sito citando sei fonti a conoscenza diretta della questione e aggiungendo che la proposta dovrebbe essere annunciata durante la visita di Donald Trump nel regno a maggio. Il pacchetto offerto arriva dopo che l’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden ha tentato senza successo di finalizzare un patto di difesa con Riad nell’ambito di un accordo più ampio che prevedeva la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.

La proposta di Biden offriva l’accesso ad armamenti statunitensi più avanzati in cambio del blocco degli acquisti di armi cinesi e della limitazione degli investimenti di Pechino nel Paese. La Reuters non è riuscita a stabilire se la proposta dell’amministrazione Trump includa requisiti simili.

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