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Cronache

Archiviata l’inchiesta sull’aggressione a Iovino: cadono le accuse contro Fedez

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Il gip ha archiviato l’indagine sull’aggressione al personal trainer Cristiano Iovino, avvenuta nell’aprile 2024, scagionando definitivamente il rapper Fedez. Lo ha reso noto la Procura di Milano, che ha chiesto l’archiviazione per assenza di prove a sostegno dell’ipotesi di una rissa.

Nessuna prova, niente rissa

Secondo quanto stabilito dal giudice, non esistono elementi sufficienti a sostenere l’accusa, e la vicenda non può essere qualificata come una rissa, né tantomeno attribuita con certezza a responsabilità personali del cantante.

Il personal trainer Cristiano Iovino non aveva presentato querela e aveva accettato una transazione economica da 10 mila euro, chiudendo così la vicenda in sede civile.

La reazione della difesa

Soddisfatti gli avvocati di Fedez, Gabriele Minniti e Andrea Pietro-lucci, che in una nota dichiarano: «Viene finalmente esclusa ogni responsabilità del nostro assistito. È la miglior risposta al pesante processo mediatico a cui è stato sottoposto da un anno».

Con questa decisione si chiude ufficialmente un capitolo controverso che ha coinvolto il nome dell’artista per mesi, oggetto di speculazioni e attenzione mediatica, senza che vi fosse mai stata una denuncia da parte della persona coinvolta.

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Cronache

Sophie Codegoni: «Ho denunciato il mio ex compagno, ma sto vivendo un inferno»

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Sophie Codegoni, 23 anni, influencer da oltre un milione di follower e volto noto del Grande Fratello Vip, racconta per la prima volta con dolore e coraggio il suo calvario. Una storia di violenza psicologica, controllo ossessivo e minacce che l’ha portata a denunciare l’ex compagno Alessandro Basciano, oggi indagato per stalking aggravato.

Un amore nato sotto i riflettori, finito nel terrore

«Tante volte ho pensato: ma chi me l’ha fatto fare di denunciare? È tostissimo. So di aver fatto la cosa giusta, ma sto vivendo un inferno», dice Sophie tra le lacrime. La relazione con Basciano era nata nel 2021 all’interno della casa del GF Vip. Lei aveva 19 anni, lui 31. Dopo il reality, la convivenza a Roma e la nascita della figlia Celine Blue sembravano coronare una storia d’amore. Ma dietro la facciata, si nascondeva un incubo.

La denuncia e il dispositivo anti-stalker

«A dicembre 2023 ho ricevuto l’orologio anti-stalker dai carabinieri. Basta un tasto e arrivano le pattuglie», racconta. Prima, Sophie aveva persino assunto una guardia del corpo per tutelarsi. Ma il vero spartiacque è arrivato con la decisione di tornare dalla sua famiglia, dopo aver scoperto numerosi tradimenti.

Da lì, minacce continue: «Ovunque andassi, lui lo sapeva. Mi scriveva: “Put***, ti tolgo la bambina”». E quando tentava di allontanarsi, le rispondeva con messaggi in cui minacciava il suicidio. Fino all’episodio culminante: «Ha aggredito i miei amici, ha spaccato la loro macchina, poi mi ha chiamata dicendo che avrebbe ammazzato anche me». È stato allora che Sophie ha sporto una seconda denuncia.

Le misure del giudice: divieto di avvicinamento e braccialetto elettronico

Il 30 aprile 2025 la Corte di Cassazione ha confermato il divieto per Basciano di avvicinarsi a meno di 500 metri da Sophie e dalla figlia, e gli ha imposto il braccialetto elettronico. L’inchiesta è ancora in fase preliminare, ma le prove raccolte — comprese tre anni di chat fornite da Sophie — hanno mostrato, secondo la Procura, un quadro «più infernale di quanto sembrava».

La solitudine dopo la denuncia

Nonostante le misure di protezione, Sophie si dice distrutta: «Mi sento svuotata, piango sempre. Devo mostrarmi forte per mia figlia e per il mio lavoro, ma ogni parola è una ferita». Dopo la scarcerazione di Basciano nel novembre scorso, Sophie ha sentito su di sé lo sguardo del sospetto: «È stato durissimo. Ma ora ho trovato la forza di parlare».

Un messaggio alle donne

«Non ero più io, non sono più io», confessa. Il percorso è ancora lungo, ma Sophie Codegoni — con il sostegno dell’avvocata Jessica Bertolina — ha deciso di non rimanere in silenzio. Una testimonianza potente, che contribuisce a rompere il muro dell’indifferenza e dell’incredulità intorno alla violenza domestica.

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Cronache

Se non rispetti l’ordinanza del giudice, paghi ogni giorno: a Verona scatta la linea dura nelle cause di separazione

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Una svolta significativa nei casi di separazione e affidamento dei figli arriva da Verona, dove la sezione Famiglia del Tribunale civile ha cominciato ad applicare una misura finora poco utilizzata, prevista dalla riforma Cartabia: sanzioni pecuniarie giornaliere, anche d’ufficio, per i genitori inadempienti.

La novità introdotta dalla riforma Cartabia

La norma, contenuta nell’articolo 473-bis.39 del Codice di procedura civile, permette al giudice di disporre, anche senza richiesta della parte lesa, una somma da versare per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di un provvedimento che riguarda il benessere dei figli, sia sul piano economico che relazionale. È uno strumento pensato per garantire l’effettività delle decisioni giudiziarie in materia familiare, contrastando inadempienze gravi.

Due i casi applicati a Verona

Nel primo caso, un padre che si rifiutava di pagare i 300 euro mensili stabiliti per il mantenimento dei figli, sostenendo di avere già sostenuto altre spese, è stato condannato a pagare 100 euro per ogni giorno di ulteriore inadempienza. La minaccia ha funzionato: dopo cinque giorni, e quindi dopo una multa complessiva di 500 euro, l’uomo ha versato quanto dovuto.

Nel secondo caso, ancora più delicato, una madre che tiene il figlio all’estero impedendo gli incontri con il padre è stata condannata a pagare 200 euro al giorno finché non rispetterà l’ordinanza di far collocare il minore anche presso il padre. A nulla sono valse finora una condanna a 3.000 euro di risarcimento e una sentenza del tribunale stranieroche le intima di rimpatriare il figlio: la donna, pur rientrando saltuariamente in Italia, continua a ignorare l’ordinanza del settembre 2024.

Un cambio di passo nei tribunali

Queste misure — spiega il giudice Massimo Vaccari, estensore di una delle ordinanze — servono a tutelare i minori e a far rispettare l’autorità giudiziaria. Non si tratta di strumenti nuovi in assoluto: già esistevano, ma erano applicabili solo su richiesta delle parti. Con la riforma, invece, il giudice può intervenire direttamente quando ravvisa danni o pregiudizi per i figli.

Il messaggio ai genitori separati è chiaro: disattendere le decisioni del giudice costa caro, giorno dopo giorno. E ora il sistema giudiziario sembra pronto a far valere davvero queste regole.

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Milano, affari e intimidazioni: parcheggi, ‘ndrangheta e ultrà dietro le quinte di San Siro

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Estorsioni, mazzette, usura con tassi fino all’803% e legami opachi tra ultrà, imprenditori, clan e persino volti noti del calcio. È lo scenario inquietante che emerge dal nuovo filone dell’inchiesta Doppia Curva condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha portato ieri a sette misure cautelari, tra cui cinque arresti in carcere e due ai domiciliari. Coinvolti esponenti di spicco dell’ambiente ultrà, imprenditori e presunti affiliati alla criminalità organizzata.

Il business dei parcheggi e le «tasse» agli ultrà

Tra i protagonisti dell’indagine spicca Mauro Russo, ex capo ultrà dell’Inter negli anni Ottanta e volto noto per i suoi trascorsi nel mondo della moda con il brand «Sweet Years» fondato insieme a Paolo Maldini e Christian Vieri. Secondo il gip Domenico Santoro, Russo è l’ideatore del business dei parcheggi intorno a San Siro, che negli anni si sarebbe esteso anche all’ippodromo, grazie anche — secondo le accuse — al pagamento di tangenti a funzionari della Snai.

Con Russo, agiva Gherardo Zaccagni, considerato il «re dei parcheggi» milanesi. I due, come ricostruito dai pm Paolo Storari e Sara Ombra, avrebbero imposto agli imprenditori «una tassa per la tranquillità», in cambio della “protezione” dai gruppi ultrà: un’estorsione sistemica per evitare sassaiole, aggressioni e problemi nel corso degli eventi sportivi.

I legami con la ‘ndrangheta e gli affari interni all’Inter

Per blindare i propri affari, Russo — secondo l’accusa — suggeriva di assumere Pino Caminiti, pregiudicato legato alla ‘ndrangheta calabrese, e garantirsi così l’appoggio del boss Giuseppe Calabrò, detto ‘*u Dutturicchiu’, figura centrale della criminalità organizzata di San Luca. L’obiettivo: garantire ordine nei parcheggi e continuità nei guadagni.

Zaccagni avrebbe consegnato denaro in buste segnate con la lettera “K”, per omaggiare il soprannome “Komandante” di Russo, suo socio occulto. Sarebbe stato lo stesso Russo a proporre un versamento mensile da 4.000 euro a favore di Vittorio Boiocchi, storico capo ultrà interista assassinato nel 2022: tra il 2018 e il 2020 sarebbero stati pagati oltre 60.000 euro.

Nelle carte dell’inchiesta spuntano anche contatti privilegiati con la dirigenza dell’Inter, come sostenuto da Zaccagni, che attribuisce a Caminiti «rapporti familiari con dirigenti come Ausilio e Marotta», nonché conoscenze dirette con diversi calciatori.

L’usura e la morte del rampollo Bellocco

Altro capitolo dell’indagine riguarda i prestiti a usura fino all’803% riconducibili ad Antonio Bellocco, rampollo della potente cosca calabrese, poi ucciso a settembre dal capo ultrà Andrea Beretta. Secondo gli inquirenti, anche Bellocco aveva agganci all’interno dell’Inter, al punto da poter sollecitare — tramite l’imprenditore Davide Scarfone — la partecipazione del vicepresidente Javier Zanetti a un evento, pur di garantire visibilità all’iniziativa e rafforzare la rete d’influenza del gruppo.

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