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Politica

Appello di Mattarella alle istituzioni: serve armonia e massima convergenza, democrazia a rischio

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Conflitti crescenti, il dilagare dell’odio, una polarizzazione selvaggia che divarica, dinamiche politiche incapaci di ascolto reciproco, il bianco e il nero sempre contrapposti in partigianerie senza sfumature. Il tutto condito dall’avanzare senza regole di enormi concentrazioni di ricchezze che si fanno politica: un anti-stato che mina la democrazia nelle sue basi più profonde. E’ questa l’estrema sintesi dell’allarme del presidente della repubblica che oggi ha raccolto le sue preoccupazioni in un complesso discorso alle alte cariche dello Stato. Dal salone dei corazzieri Sergio Mattarella ha voluto aprire una riflessione profonda proprio con le massime istituzioni della Repubblica salite al Quirinale per i tradizionali auguri di Natale.

Proprio a loro tutti, dalla premier Giorgia Meloni ai presidenti di Camera e Senato fino ai leader di partito, il capo dello Stato ha svolto un’analisi complessa il cui senso profondo è richiamare l’attenzione sui rischi che sta correndo lo Stato come formula moderna, aggredito dai nuovi poteri forti, in sostanza quelle aziende Over the top (Ott) che ormai concentrano ricchezze inimmaginabili anche per uno stato di medie dimensioni, che hanno la possibilità di veicolare news e contenuti difficilmente verificabili e che, come ha sottolineato Mattarella, “tengono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, a partire dagli obblighi fiscali” e costruiscono “circuiti monetari paralleli, privati”, come le criptovalute.

Roma – Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Politiche e della Società Civile , oggi 17 dicembre 2024
(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Parla di “rischio” per la democrazia Mattarella che per dare corpo al suo pensiero non esita a sottolineare come oggi sempre più “si faccia spazio la tentazione di un progressivo svuotamento del potere pubblico, fino ad intaccare la stessa idea di stato per come l’abbiamo codificata e conosciuta nei secoli”. Parliamo, aggiunge il presidente, di “pochi soggetti con immense disponibilità finanziarie, che guadagnano ben più di 500 volte la retribuzione di un operaio o di un impiegato. Grandi società che dettano le loro condizioni ai mercati al di sopra dei confini e della autorità degli Stati e delle Organizzazioni internazionali”.

“Si persegue una ricchezza come fine a sé stessa che si trasforma in uno strumento di potere molto più che in passato perché consente di essere svincolati da qualunque effettiva autorità pubblica”. Dopo aver lanciato il sasso nello stagno di una politica che in Occidente è sempre più intrecciata a questi patrimoni incontrollati, Sergio Mattarella spiega alle Alte cariche dello Stato come “l’unico argine agli usurpatori di sovranità” sia “il consolidamento delle istituzioni democratiche”.

“Bisogna amare la democrazia e bisogna prendersene cura”, premette per poi passare alla parte più politica del suo ragionamento, quella dedicata proprio “a chi ha responsabilità istituzionali”. “Vi sono interessi nazionali che richiedono la massima convergenza. Ad esempio il rispetto dei trattati e delle alleanze internazionali, la difesa e la sicurezza dei nostri concittadini e delle infrastrutture strategiche, la salvaguardia dell’ambiente e la messa in sicurezza dei nostri territori. Non possiamo dividerci – ammonisce – su questi obiettivi, che sono inevitabilmente di lungo periodo e vanno dunque perseguiti con un impegno che va oltre le maggioranze e le opposizioni di turno”. Ma c’è di più perchè il capo dello Stato aggiunge un passaggio che è indirizzato alla politica italiana, a quella parte che ha “maggiori responsabilità”.

Roma – Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Politiche e della Società Civile , oggi 17 dicembre 2024
(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

“Coloro che rivestono responsabilità istituzionali, a cominciare dal Presidente della Repubblica, sono tenuti a esercitarle sapendo che le istituzioni sono di tutti. Che il servizio che si svolge è a garanzia della dignità di ognuno, a prescindere dall’appartenenza politica. Le diverse appartenenze politiche, le legittime e preziose differenze delle identità culturali – che sono l’essenza della dialettica democratica – non impediscono di ricercare e trovare convergenze e unità su alcuni grandi temi. Nell’interesse dei cittadini”. Ecco l’ennesimo invito del presidente, l’arbitro, a giocare correttamente, ad aiutarlo a non estrarre troppi cartellini rossi, a ritrovare “quel senso del dovere che è richiesto a tutti coloro che operano in ogni istituzione, a rispettare i limiti del proprio ruolo. Senza invasioni di campo, senza sovrapposizioni, senza contrapposizioni”.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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