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Corona Virus

Allerta focolai di ritorno, piccole zone rosse ovunque in Italia e Zaia minaccia i veneti: da lunedì regole più severe

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Obiettivo numero uno: evitare il ritorno dell’emergenza Coronavirus. Il richiamo a tenere “alta l’attenzione” arriva dall’Oms che ha invitato i governi a “svegliarsi” e a “impegnarsi nella lotta” e dal report settimanale del monitoraggio ministro della Salute-Iss che mostra come l’infezione sia sotto controllo anche se continuano i contagi: “In alcune regioni il numero dei focolai e’ ancora rilevante”, ha sottolineato l’esperto Gianni Rezza. E proprio per scongiurare il pericolo di un aumento dei casi il presidente del Veneto Luca Zaia ha annunciato che lunedi’ presentera’ un’ordinanza con regole piu’ severe. Se potesse farebbe di piu’, ma, ha spiegato, ha “le armi spuntate” contro positivi che non restano in isolamento, come l’imprenditore del Vicentino che tornato dai Balcani ha rifiutato il ricovero e provocato un focolaio nella provincia. “Se fosse per me – e’ sbottato in diretta Facebook – prevederei la carcerazione. Non esiste che un positivo vada in giro a prescindere. E’ fondamentale che al livello nazionale si prenda in mano questo dossier. E’ fondamentale che ci sia un ricovero coatto, un tso, un trattamento sanitario obbligatorio perche’ non possiamo star li’ a discutere con una persona che rifiuta di farsi ricoverare” e a questo si aggiunge “la necessita’ di essere severissimi con gli isolamenti fiduciari”. Per questo ha dato “disposizione ai sist di tolleranza zero” e “se ci sono elementi per far denunce – ha aggiunto Zaia – ho detto ai direttori di provvedere a farle. Non possiamo permettere che ci sia la diffusione del virus a causa della irresponsabilita’ di qualcuno”.

La dimostrazione dei danni che fa questa “categoria di irresponsabili” e’ il l’innalzamento nel Veneto dell’indice di contagio da 0,43 a 1,63, quindi da rischio basso a rischio elevato. Ma non succede solo in Veneto: in Trentino e’ stato un cittadino rientrato dal Kosovo a provocare un focolaio con otto contagiati. Il rischio e’ che, ridotta la diffusione in Italia, il virus ora rientri dall’estero, da Paesi dove ancora l’emergenza e’ alta come quelli dell’ex Jugoslavia – nella capitale serba Belgrado e’ stato dichiarato lo stato di Emergenza – o come la Bulgaria, da dove arrivavano alcuni degli abitanti dei caseggiati di Mondragone dove si e’ verificato un altro focolaio ora risolto. Per questo motivo, a Roma da lunedi’ – ha annunciato l’assessore alla sanita’ del Lazio Alessio D’Amato- saranno eseguiti tamponi a tappeto sui componenti della comunita’ del Bangladesh, fra cui si sono registrati alcuni positivi . E la Regione ha anche chiesto all’ad degli Aeroporti di Roma Marco Troncone, di “stringere i controlli” su chi arriva dal Paese asiatico. La situazione pero’ non e’ uguale dovunque. A livello nazionale, secondo i dati del Ministero della Salute, sono stato 15 i decessi in un giorno (la meta’ di ieri, per un totale di 34.833) e 223 i nuovi positivi, in aumento rispetto a ieri quando erano stati 201, di questi 115 registrati in Lombardia. E cosi’ se in Lombardia, piu’ precisamente a Pavia, il prefetto Rosalba Scialla sta mettendo a punto un disciplinare antiassembramento che prevede piazze a numero chiuso, con ingressi regolamentati, la presenza di steward come allo stadio e limitazioni nell’orario di vendita degli alcolici, in Valle d’Aosta possono festeggiare l’indice di contagio zero e la Calabria ha dato il via libera al calcetto e a tutti gli sport da contatto a partire dal 6 luglio e dal 10 in Piemonte ci la ripresa del trasporto a pieno carico, il che significa che su bus e treni ci si potra’ sedere in tutti i posti disponibile. “La partita non e’ vinta – ha commentato il ministro della Salute Roberto Speranza – , ma i numeri ci segnalano che la curva e’ stata significativamente piegata”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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