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Politica

Allarme Meloni su Pnrr: mancano 12 miliardi su target 2022

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Sul Pnrr l’Italia non può e non deve perder tempo. Il governo di Giorgia Meloni spinge sull’acceleratore per attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza rispettando i tempi e incalza i suoi ministri a spenderli bene e farne una “priorità”. Anche perché – e lancia l’allerta – proprio sulla spesa c’è un ‘buco’ di 12 miliardi di fondi europei che non sono stati usati. La premier traccia la rotta rispetto al Pnrr nella prima cabina di regia ad hoc che convoca nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Ed è su quella che introduce la prima novità: annuncia che dovrà riunirsi periodicamente, e non “solo due volte” come il precedente esecutivo.

Nessuna rinuncia però alla volontà di aggiustamenti al Piano, nella convinzione che nel frattempo sono cambiate le condizioni iniziali per cui erano stati stanziati quei fondi (dalla guerra alla crisi energetica). E che l'”implementazione” che rivendica con forza, serve a dirottare le risorse sul caro energia, prossimo scoglio per il suo governo che su questo dovrebbe riunirsi giovedì. Di ritorno dal suo primo tour all’estero (prima con la tappa a Bruxelles e poi al summit sul clima a Sharm el-Sheikh) e nello stesso giorno in cui dalla Commissione europea arriva l’ok alla seconda tranche da 21 miliardi del Pnrr italiano, la premier affronta di petto la questione. Lo fa già nell”incipit’ della riunione (che è quasi un Consiglio dei ministri, visto il numero dei presenti, oltre ai rappresentanti di Regioni ed enti locali). “Il Pnrr è la sfida più grande del governo e dell’Italia”, esordisce.

Subito dopo avverte: “Non possiamo permetterci di non spendere quelle risorse nei tempi previsti e dobbiamo farlo nel miglior modo possibile”. Da qui l’urgenza di scandire, entro la fine dell’anno, una road map con le priorità da mettere in cantiere entro il 2023. Entro il 31 dicembre “siamo chiamati a realizzare circa 55 obiettivi per poter richiedere alla Commissione europea la terza rata”, rammenta. Un pressing che, a prima vista, sembra voler segnare anche la discontinuità dal governo dell’ex presidente della Bce. In primis per la tabella di marcia che la leader impone alla sua squadra attraverso confronti bilaterali che da martedì il ministro Raffaele Fitto (che sul Piano ha la delega) avvierà singolarmente con ognuno dei ministeri coinvolti e con le Regioni.

Successivamente, ci sarà una nuova cabina di regia con l’obiettivo di riaggiornarsi più o meno ogni 10 giorni per verificare lo stato delle opere. Il messaggio sottotraccia – secondo l’interpretazione di alcune fonti ministeriali – è che si voglia costantemente monitorare l’operato dei ministri. Probabilmente alla luce dei fondi non spesi finora. La premier infatti non nasconde che “dalla Nota di aggiornamento al Def di settembre si evince che il livello della spesa al 31 dicembre 2022 è di 21 miliardi di euro a fronte di 33 miliardi di euro previsti dal Def di aprile 2022”.

Insomma, a differenza di quanto preventivato dal governo Draghi, non tutti i 33 miliardi previsti sono stati usati. Da qui l’sos lanciato ai ‘suoi’: “È un’ occasione per l’Italia e non va sprecata – ribadisce – Ogni euro va speso bene e deve essere utile per sostenere la crescita economica, lo sviluppo e l’ammodernamento della nazione”. Non a caso, da quanto è trapelato da alcuni dei presenti, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti avrebbe fatto notare che prima di chiedere risorse dalla legge di bilancio, meglio usare quello che non è stato speso ed è ancora ‘in cassa’, considerando che se non si rispetta la programmazione entro il 2026, Bruxelles chiederà indietro quei soldi.

In linea, il ministro della Difesa Guido Crosetto che lancia “un percorso di verità”, ricordando che ora tocca “accelerare, perché stiamo giocando con il futuro dell’Italia”. La premier ricorda ai suoi pure l’impegno alla presenza, a esserci sempre nelle riunioni che contano. Un monito che probabilmente ripeterà domattina ai parlamentari che riunisce per la seconda volta. Un’assemblea congiunta voluta per fare il punto in vista dell’attività parlamentare che di fatto comincerà con la definizione delle ultime caselle – la presidenze delle commissioni parlamentari che si voteranno tra domani e giovedì. E per ricordare che è fondamentale non mancare mai in Aula, specie al Senato dove i numeri sono più ballerini e dove abbondano sottosegretari e ministri.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Politica

Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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