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Corona Virus

Al via ai test sierologici per una radiografia dell’Italia colpita dal covid, studio su un campione di 150mila persone

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Presto una nuova e piu’ realistica radiografia dell’Italia colpita dal Covid-19. E’ stata scelta l’azienda che fin dall’inizio della ‘fase 2′ effettuera’ i test sierologici per stimare la percentuale di italiani colpiti dal virus, molti dei quali potrebbero – ma non e’ scientificamente certo – anche aver sviluppato anticorpi. Partiranno il prossimo 4 maggio a livello nazionale, su un primo campione di 150mila persone, le analisi sul sangue per definire se una persona e’ stata contagiata, anche inconsapevolmente. Governo ed esperti aggiungeranno cosi’ un tassello importante nella strategia post-lockdown, che permettera’ di capire il livello di diffusione del coronavirus nel Paese e pianificare le tempistiche sul ritorno graduale alle attivita’. Ad offrire gratuitamente i kit sara’ l’azienda vincitrice del bando, selezionata con quattro giorni di anticipo tra le 72 partecipanti alla gara indetta dal governo poco piu’ di una settimana fa. Si tratta dunque della “migliore soluzione oggi esistente sul mercato”, spiega il Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri. La sperimentazione partira’ nei laboratori delle varie regioni e riguardera’ campioni specifici di popolazione in base alle categorie Istat e Inail, tenendo in considerazione profilo lavorativo, genere e sei fasce di eta’. I primi riscontri si avranno gia’ dalla prima settimana e in quelle successive e’ prevista una possibile estensione della fornitura di kit, reagenti e consumabili dello stesso tipo, con altri 150mila test per un totale di 300mila. “Non ne esiste al mondo uno che da’ il 100% del responso – aggiunge Arcuri – noi avevamo messo alla base della gara un risultato che fosse pari al 95%, per chi se lo e’ aggiudicato e’ superiore al 95% e confidiamo che sia un test assai importante”. Percentuali che hanno avuto un ruolo determinante nella scelta dell’azienda selezionata per la sperimentazione, che sulla tipologia di test ha rispettato i criteri richiesti – tutti vicini al 100% – di ‘specificita”, ovvero idoneita’, ‘sensibilita”, ‘applicabilita” su larga scala e ‘rapidita” di risposta. L’indagine sulla sieroprevalenza in alcuni territori del Nord, a cui sono stati sottoposti per primi diversi lavoratori tra il personale sanitario, era gia’ partita autonomamente qualche giorno fa: in prima fila la Lombardia, che con il governatore Fontana aveva annunciato “una ‘patente di immunita” per le persone che hanno avuto questa malattia e che hanno un numero sufficiente di anticorpi da garantire la copertura”. A frenare sull’anticipo dei tempi e’ invece stato il Comitato tecnico-scientifico nazionale per l’emergenza, aspettando che si esaurisse definitivamente la spinta dei nuovi positivi, per capire meglio l’epidemiologia dei pazienti. Una situazione, quest’ultima, che si consolidera’ ulteriormente proprio in vista dell’inizio di maggio. E i test su scala nazionale che partiranno tra una decina di giorni – almeno in questa primo step di sperimentazione – non puntano a fornire ‘patenti di immunita”. Su questo buona parte della comunita’ scientifica sembra essere d’accordo e in linea con l’Oms, secondo cui “servira’ ancora tempo”. L’Organizzazione Mondiale della Sanita’ ha ricordato che non ci sono ancora prove scientifiche che le persone guarite dal Covid-19 abbiano anticorpi che proteggono da una seconda infezione, spiegando in un documento che “a questo punto della pandemia non ci sono abbastanza evidenze sull’efficacia dell’immunita’ data dagli anticorpi per garantire l’accuratezza di un ‘passaporto di immunita” o un ‘certificato di liberta’ dal rischio'”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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