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Cinema

Agli Oscar trionfa “Nomadland” di Chloe Zhao, delusione Italia con Pausini e Garrone

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Nell’anno delle donne, l’Italia incassa delusioni agli Oscar: ne’ Laura Pausini per “Io Si”, ne’ “Pinocchio” di Matteo Garrone per trucco e costumi hanno portato a casa le statuette sperate. Con ululato della sua protagonista e per la terza volta miglior attrice, Frances McDormand, la piu’ antidiva di Hollywood, ha vinto, mentre il suo film di cui e’ anche produttrice, “Nomadland”, gia’ Leone d’oro a Venezia, ha dominato con tre Oscar vincendo come miglior film e la regista Chloe Zhao, nata a Pechino, e’ entrata nella storia del cinema, prima non bianca e seconda donna a vincere per la regia dopo Katheryn Bigelow di “The Hurt Locker” (2010). Oltre tre ore di cerimonia e un finale a sorpresa: davanti a una platea di star in gran maggioranza afroamericane, Anthony Hopkins ha vinto.

Il favorito della vigilia era Chadwick Boseman per la sua ultima interpretazione in “Ma Rainey’s Black Bottom” prima della prematura scomparsa, ma a vincere il massimo riconoscimento per la recitazione e’ stato invece l’83enne star inglese di “The Father” che aveva gia’ vinto nel 1994 per “Silenzio degli Innocenti”. Hopkins non ha ritirato di persona il premio mentre l’atteso discorso a suo nome di Olivia Colman, la sua costar in “The Father Nulla e’ come sembra”, da Londra non si e’ mai materializzato. Piccolo giallo mentre sulla serata in diretta dalla Union Station di Los Angeles calava bruscamente il sipario. Migliori attori non protagonisti sono risultati Daniel Kaluuya di Judas and the Black Messiah e la tostissima quanto elegante veterana sud coreana Yuh-jung Youn di “Minari” che, dopo averlo fatto ai Bafta, e’ tornata a bacchettare gli occidentali che non sanno come si chiama. Miglior film internazionale e’ stato “Un altro giro” di Thomas Vinterberg: il regista danese non e’ riuscito a trattenere le lacrime pensando alla figlia Ida, morta in un incidente stradale mentre cominciava la lavorazione. Miglior film d’animazione dell’anno e’ “Soul”. Confermando le attese della vigilia, miglior documentario e’ stato il tenerissimo “Il mio amico in fondo al mare”. Il mondo nuovo del Covid ha dettato le regole di una cerimonia inconsueta, con le mascherine indossate non appena le telecamere si allontanavano dalle star e svariate location (oltre a Los Angeles, Londra, Parigi, Sydney e Roma) ma niente Zoom. A nulla e’ valsa la bacchetta magica portata con se’ dalla Pausini che con Io Si’/Seen per La vita davanti a se’ di Edoardo Ponti correva per la migliore canzone originale con la musicista Diane Warren, l’americana al dodicesimo Oscar mancato. Tra le grandi sconfitte della 93esima notte delle stelle c’e’ stata anche Glenn Close, elegantissima in un Giorgio Armani disegnato per lei, ma che ha eguagliato il primato negativo di Peter O’Toole con otto candidature nessuna delle quali diventata vittoria. Piccolo premio di consolazione: in un bizzarro “musichiere”, la Mamaw di “Elegia Americana” ha correttamente azzeccato “Da Butt” e, risvegliandosi dal torpore della tarda serata, si e’ esibita in un paio di mosse di twerking. Rapida dissolvenza sul segmento “In Memoriam”, quest’anno affollato di nomi inclusi Ennio Morricone e Giuseppe Rotunno, oltre a Sean Connery, Michel Piccoli, Kim Ki Duk tra gli altri e che si e’ concluso con un fugace omaggio a Boseman. Nell’anno del Covid non ha stupito che 15 delle 23 statuette siano andate a film distribuiti quanto meno simultaneamente su servizi in streaming tra cui “Nomadland”, dal 30 aprile su Disney+ (e anche nelle sale italiane riaperte proprio dal 26 aprile): “Guardatelo sullo schermo piu’ grande possibile e poi tornate al cinema” ha esortato la McDormand salita sul palco assieme a Swankie e Linda May, due delle “vere nomadi” ritratte nel film della Zhao. Sullo sfondo di tutto, oltre alla pandemia, le ingiustizie sociali e razziali. Regina King, nel monologo di apertura, ha alluso alla condanna del poliziotto di Minneapolis Derek Chauvin per l’uccisione dell’afro-americano George Floyd, mentre “Two Distant Strangers” su un agente bianco che uccide un nero ha vinto l’Oscar nella categoria degli short.

Oscar del cinema, ecco tutti i premi della 93/ma edizione

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Cinema

Francesco e Mario Di Leva e l’ossessione di Nottefonda

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Al centro di ‘Nottefonda,’ film cupo e senza speranza, in sala dall’8 maggio con Luce Cinecittà, c’è un’ossessione che non finisce mai: quella di Ciro (Francesco Di Leva), elettricista napoletano cinquantenne, che ogni notte esce con il figlio di tredici anni, Luigi (Mario Di Leva), alla ricerca di quell’auto rossa che ha investito e ucciso l’amata moglie. Per dimenticare non gli basta il crack che fuma sulla terrazza condominiale (come si vede nella prima scena del film), né il tempo che passa, il suo lutto sembra proprio non finire mai.

A consolare Ciro c’è solo la pistola che ha nel cassetto della sua auto, chiaro segno della sua voglia dì vendicarsi o forse di farla finita. Liberamente tratto dal romanzo, ‘La strada degli Americani’ (Frassinelli) a firma dello stesso regista Miale Di Mauro, il film racconta appunto di quest’uomo silenzioso e disperato che ha dalla sua solo il figlio, qualche amico e l’affidabile madre che ogni sera lo aspetta a casa.

“Il mio personaggio di Ciro – dice Francesco Di Leva- è un uomo che sprofonda in un abisso e, dopo aver raggiunto il punto più profondo e oscuro della sua esistenza, prova in tutti i modi a risalire a galla, sperando di vedere presto la luce. Non è un vero tossicodipendente, ma ha trovato nell’uso e nell’abuso del crack uno sfogo per uscire dalla traversata del lutto che lo ha colpito dopo la morte improvvisa di sua moglie in un incidente stradale. Per restituire al personaggio il dolore, la fatica, ma anche la tenerezza che si porta dietro come un macigno – continua l’attore – ho lavorato molto sul silenzio. Ciro evita di confrontarsi con le persone e anche di incontrare gli sguardi degli altri, sfugge a qualsiasi contatto umano perché questa circostanza implicherebbe un confronto. Lui sa che è il momento di essere invaso dalla sofferenza, vuole percepirla come ultima e grande esperienza di amore verso sua moglie mentre tutto il resto, gli altri, la vita di ogni giorno, vengono dopo”.

“Ho capito che volevo raccontare Napoli come una città universale dove collocare il mio protagonista e la sua storia umana – dice il regista-scrittore -. Farlo vagare in una città notturna, piena di gru del porto, di rumori di muletti in azione, di container pronti a partire, di sabbia nera del vulcano e mare grigio d’inverno, di cavalcavia isolati e di strade periferiche e buie. E poi un’auto, quella di Ciro, che le percorre. Sullo sfondo il Natale che illumina le case degli altri e mette tristezza a chi non ha niente da festeggiare”.

E ancora Miale Di Mauro: “M’interessava solo guardare da molto vicino lo sforzo di quest’uomo che combatte contro sé stesso per attraversare la sua bizzarra elaborazione del lutto. Stare con lui, sempre con lui, sulla sua faccia livida e i suoi capelli radi, segni evidenti di dolore e disperazione. Fino all’alba che – finalmente – lo libererà dal supplizio con un sorriso di pianto”. Scritto dallo stesso regista con Bruno Oliviero e Francesco Di Leva, ”Nottefonda’ è prodotto da Mad Entertainment con Rai Cinema in collaborazione con Leocadia. Nel cast anche Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Valeria Colombo, Dora Romano e l’amichevole partecipazione di Chiara Celotto.

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Cinema

Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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