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Cronache

Abusi a chierichetti del Papa, condannato don Martinelli

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Per la prima volta in Vaticano viene pronunciata una sentenza di condanna per abusi riguardante atti commessi nello stesso territorio del piccolo Stato. E’ quanto accaduto oggi, essendo stata ribaltata in secondo grado la sentenza che solo nell’ottobre del 2021 aveva prosciolto don Gabriele Martinelli, il sacerdote all’epoca dei fatti allievo del prestigioso Preseminario San Pio X, quello in cui studiano i chierichetti che servono la messa del Papa: Martinelli era accusato di atti sessuali su un altro allievo.

La Corte d’Appello presieduta da mons. Alejandro Arellano Cedillo ha dichiarato invece oggi Martinelli colpevole del reato di corruzione di minore, anche se “limitatamente al periodo dal 9 agosto 2008 al 19 marzo 2009”, condannandolo a due anni e mezzo di reclusione. Esulta la difesa della vittima, L.G., minorenne all’epoca dei fatti: “Si tratta di una sentenza storica”, afferma l’avvocato Laura Sgrò, “dopo tanti anni non solo sono stati riconosciuti i fatti ma anche evidentemente il patimento e il dolore del mio assistito che ha potuto avere giustizia”.

La vicenda è quella degli abusi al Preseminario San Pio X, allora collocato in Palazzo San Carlo, praticamente adiacente alla Domus Sanctae Marthae dove alloggia il Papa e successivamente trasferito fuori dal Vaticano per volontà dello stesso Pontefice: l’istituto è legato alla diocesi di Como, che lo gestisce attraverso l’Opera don Folci. La vicenda era emersa non solo per le accuse della vittima, ma anche per quelle di Kamil Jarzembowski, ex alunno polacco, testimone oculare delle violenze che aveva deciso di venire allo scoperto anche attraverso interviste televisive.

Nel corso del primo dibattimento, la difesa di Martinelli aveva cercato di sostenere che le accuse fossero infondate in quanto partite proprio dopo l’espulsione di quest’ultimo dal Preseminario, e con le quali avrebbe cercato così una “vendetta”. L’appello, invece, promosso dal promotore di giustizia aggiunto, Roberto Zannotti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, si è espresso per una condanna andando a costituire anche un importante precedente per la giustizia vaticana. Come si legge nel dispositivo, Martinelli è stato riconosciuto “non punibile limitatamente ai fatti contestati fino al 2 agosto 2008, in quanto minore di anni sedici”; ma in base alla “riqualificazione dei fatti in contestazione quali integrativi del delitto di corruzione di minore”, limitatamente al periodo dal 9 agosto 2008 al 19 marzo 2009, “colpevole del reato di corruzione di minore, previsto e punito dall’art. 335, comma 1 e 2”.

Gli è stata quindi inflitta una pena complessiva “di due anni e sei mesi di reclusione e mille euro di multa”. A conclusione del processo di primo grado, durato quasi un anno, il 6 ottobre 2021 erano stati prosciolti sia don Martinelli, allora accusato di violenza sessuale, sia don Enrico Radice, ex rettore del Preseminario, accusato di favoreggiamento. I pm vaticani avevano chiesto sei anni di reclusione per don Martinelli, oggi trentunenne ma per il periodo iniziale dei fatti minorenne, e quattro anni per don Radice, oggi settantatreenne. Entrambi i sacerdoti sono incardinati nella diocesi di Como.

Il Tribunale di primo grado, presieduto da Giuseppe Pignatone, aveva stabilito che “debbano ritenersi accertati i rapporti sessuali, di varia natura e intensità, tra l’imputato e la persona offesa” e invece “difetta la prova per affermare che la vittima sia stata costretta a detti rapporti dall’imputato con la contestata violenza o minaccia”. Per i reati commessi invece prima del 9 agosto 2008, Martinelli era stato dichiarato “non punibile”, in quanto minore di 16 anni. Era scattata poi la prescrizione per il reato di corruzione di minore. I fatti oggetto del processo sono avvenuti tra il 2007 e il 2012, ai danni di L.G., compagno di sette mesi più giovane di don Martinelli.

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Carmela Quaranta, strangolata in casa la sera di Pasqua: indagato il compagno per omicidio volontario

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È stata un’amica preoccupata, che non riusciva a contattarla da ore, a dare l’allarme: Carmela Quaranta, 42 anni, operatrice sanitaria e madre di due figlie, è stata trovata senza vita sul pavimento della sua camera da letto, la sera di Pasqua, nella sua abitazione di via Trieste a Mercato San Severino, piccolo centro in provincia di Salerno.

I primi sospetti e il cambio di accusa

Inizialmente si era ipotizzato un malore o un’overdose, ipotesi che aveva portato a una prima contestazione al compagno, un uomo di 56 anni, per morte come conseguenza di altro reato. Ma un esame più attento del medico legale ha svelato segni di strangolamento sul collo della vittima, e questo ha portato alla modifica dell’imputazione: ora l’uomo è indagato per omicidio volontario, furto (il cellulare di Carmela è scomparso) e detenzione di stupefacenti (sono stati trovati alcuni grammi di droga in casa).

Le indagini e i sospetti

L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Nocera Inferiore. I carabinieri del Ris stanno passando al setaccio l’abitazione, palmo a palmo, per raccogliere tracce, impronte, elementi biologici e ogni dettaglio utile a chiarire cosa sia accaduto nelle ultime ore di vita di Carmela. Una seconda ispezione tecnica dell’abitazione è prevista per domani.

Il cerchio degli investigatori si è stretto attorno alle persone più vicine alla donna: l’ex marito e il compagno, con cui aveva una relazione da circa un anno, sono stati entrambi interrogati. Le risposte fornite e le discrepanze negli alibihanno portato gli inquirenti ad approfondire in particolare la posizione del 56enne.

Il profilo della vittima

Carmela viene descritta da amici e conoscenti come una donna solare, legatissima alle sue figlie, piena di energia e voglia di vivere. Lavorava in più ambiti, collaborava con un’azienda del settore nutrizionale, la stessa in cui operava anche il compagno indagato.

All’inizio la relazione sembrava felice: nel giugno 2024 Carmela aveva pubblicato una foto con lui sui social. Ma col passare dei mesi, i rapporti si erano incrinati. In particolare, un post pubblicato da lui a febbraio — una frase volgare accompagnata da un teschio e tibie incrociate — oggi assume una luce inquietante.

La ricerca della verità

Carmela si era trasferita da poco a Mercato San Severino, dopo aver vissuto a lungo a Nocera Inferiore. Domani, nella sua casa, torneranno ancora una volta i carabinieri del Ris di Roma. Gli investigatori lavorano per ricostruire le ultime ore di Carmela, cercando riscontri oggettivi che possano dare una svolta al caso. Il mistero della mamma trovata senza vita nel giorno di Pasqua attende ancora risposte.

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Misterbianco, madre lancia la figlia dal terrazzo: arrestata per omicidio aggravato

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Una tragedia sconvolgente ha colpito la comunità di Misterbianco, nell’hinterland di Catania. Anna (nome di fantasia), 40 anni, ha lanciato nel vuoto la figlia di appena sette mesi, Maria Rosa, dal terzo piano della palazzina in cui viveva con la famiglia. La bimba è morta sul colpo, sotto gli occhi disperati del padre, che ha tentato il suicidio subito dopo aver visto la scena.

Una madre fragile, ma mai violenta

Secondo i familiari, Anna era affetta da una profonda depressione post-parto. Dopo la nascita di Maria Rosa, non era mai riuscita ad accettarla, a differenza del primogenito di 7 anni, verso cui nutriva un legame totalizzante. Eppure, nonostante l’evidente disagio psicologico, non era mai stata violenta con la piccola.

Una tragedia inaspettata

Al momento del gesto, in casa erano presenti il marito, la suocera e il figlio maggiore. Nessuno, raccontano, si aspettava una simile esplosione di follia. «A volte era nervosa, ma mai avremmo immaginato che potesse fare una cosa simile», ha dichiarato una cugina. Anche il sindaco di Misterbianco, Marco Corsaro, ha espresso sgomento: «Siamo senza parole. Il compagno è una persona perbene, le è sempre stato accanto».

Il tentativo di suicidio del padre e l’arresto della donna

Dopo aver assistito alla caduta della figlia, l’uomo si è lanciato dalla stessa terrazza nel tentativo di togliersi la vita. Trasportato in ospedale in stato di choc, è ora ricoverato ma fuori pericolo. La donna è stata arrestata dai carabinieridella Tenenza di Misterbianco con l’accusa di omicidio aggravato.

Le fragilità psichiche e il vuoto della prevenzione

Anna era sotto amministrazione di sostegno, decisione presa dal Tribunale di Catania, ed era seguita dai servizi di salute mentale dell’Asp etnea. In passato era stata sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio. Tre mesi fa aveva partecipato a un’udienza davanti al giudice, accompagnata da un legale amico di famiglia. Aveva risposto “in modo impeccabile”, riuscendo a nascondere lo stato di alterazione, tanto che nessun provvedimento fu adottato.

Il padre della donna, un medico molto noto che vive fuori dalla Sicilia, era stato nominato come amministratore di sostegno. Tuttavia, nessuno tra i familiari aveva percepito segnali chiari del crollo psichico in corso. Per precauzione, la suocera si era trasferita in casa per stare vicino alla nuora e ai nipotini.

Una comunità sotto choc

La morte della piccola Maria Rosa ha lasciato sgomenta un’intera comunità. Le indagini proseguono per ricostruire ogni dettaglio e chiarire le responsabilità della rete di supporto. In attesa dell’esito degli esami e delle valutazioni psichiatriche, resta il dolore immenso per una vita spezzata e il peso di domande a cui, forse, sarà difficile dare risposte.

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Oppido Mamertina, denuncia gli stupri subiti da minorenne: la zia la frusta per mesi. Arrestata

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Ha trovato il coraggio di denunciare le violenze sessuali di gruppo subite quando era ancora minorenne, indicando i suoi aggressori: giovani legati alle cosche di Seminara, in provincia di Reggio Calabria. Ma la scelta di rompere il silenzio ha scatenato contro di lei la rabbia della sua stessa famiglia.

Una giovane di Oppido Mamertina, oggi maggiorenne, è stata punita con frustate per mesi dalla zia 78enne, ora agli arresti domiciliari su disposizione del gip del Tribunale di Palmi. La donna l’ha segregata in una stanza, tappandole la bocca con un foulard per impedirle di urlare, e l’ha colpita con una corda, come forma di “punizione” per aver denunciato.

La denuncia “inimica” la ’ndrangheta

Dalle intercettazioni ambientali emerge che la zia avrebbe voluto punirla perché la sua testimonianza aveva compromesso i rapporti con le famiglie di ’ndrangheta del territorio. La Procura aveva chiesto anche l’arresto del cugino 47enne, figlio dell’anziana, ma il giudice ha disposto solo il divieto di avvicinamento.

Sei condanne e un nuovo processo

La ragazza è una delle due minorenni abusate dal branco. A marzo scorso, sei dei responsabili sono stati condannati a pene comprese tra 5 e 13 anni. Un secondo processo per altri imputati, all’epoca minorenni, inizierà il 15 maggio davanti al Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria.

I tentativi di zittirla: psichiatra compiacente e istigazione al suicidio

Dopo la denuncia, la famiglia ha fatto di tutto per farla ritrattare. Avevano persino fissato un incontro con uno psichiatra per farla dichiarare incapace. Due suoi fratelli, oggi in carcere, l’avevano addirittura spinta, insieme alla madre che la difendeva, a buttarsi dalla finestra per “lavare la vergogna” inflitta alla famiglia.

La verità emersa dalle intercettazioni

Le indagini sono partite per caso, grazie a intercettazioni telefoniche legate ad altri reati commessi dagli stessi aggressori. La prima vittima identificata aveva denunciato, dando forza e ispirazione anche alla seconda ragazza, che oggi lotta non solo contro i suoi aggressori, ma anche contro chi avrebbe dovuto proteggerla.

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