“Impugneremo e siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere nel grado di giudizio successivo”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è turbato dalle decisioni di Iolanda Apostolico, la giudice del tribunale di Catania, sezione Immigrazione, che hanno disposto l’immediato rilascio di quattro richiedenti asilo tunisini trattenuti nell’apposito centro di Pozzallo.
“E’ la democrazia”, osserva. E l’Ufficio legislativo del ministero è al lavoro – in contatto con l’Avvocatura dello Stato – per definire la procedura di impugnazione, che potrebbe avvenire con un ricorso in Cassazione. Al Governo, più in generale, filtra fiducia sull’esito ed il titolare del Viminale assicura che, comunque, gli atti del magistrato siciliano “non frenano la nostra iniziativa, neanche nel caso di specie: si tratta di persone che cercheremo di rimpatriare attraverso le procedure accelerate che sono previste dalle leggi nazionali ed europee. Il trattenimento è solo uno strumento in più per gestire questo tipo di procedure, quindi andremo avanti sicuramente”.
Già, perché nelle intenzioni del ministro, quello di Pozzallo (84 posti), è solo il primo di una serie di strutture analoghe da realizzare sul territorio nazionale e destinate ad accogliere richiedenti per un periodo massimo di 4 settimane, il tempo di valutare la richiesta ed avere il via libera del giudice. In caso di diniego scatterebbe l’espulsione. Che non potrebbe avvenire se il richiedente si trovasse in libertà e non ristretto a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza.
L’aumento dei rimpatri è infatti tra gli obiettivi chiave della strategia dell’esecutivo. E uno dei passi decisivi per conseguirlo è rappresentato proprio dalle procedure accelerate di frontiera per chi arriva da Paesi inseriti nella lista di quelli cosiddetti “sicuri” – come la Tunisia, appunto – messe in campo con il decreto Cutro ed ulteriormente rafforzate dai successivi provvedimenti del Governo: da ultimo la contestata garanzia finanziaria di quasi 5mila euro richiesta al migrante per evitare di essere trattenuto in un centri in attesa dell’esito dell’iter della domanda di asilo. Già il decreto legislativo 142 del 2015 prevedeva che durante lo svolgimento della procedura alla frontiera può essere disposto il trattenimento “qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria”. Ed è tutto regolare, è la posizione del Viminale: sono rispettate le leggi nazionali, le direttive europee ed anche la Costituzione. E’ in discussione, in particolare, la direttiva europea 33 del 2013 che reca “norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.
Secondo il giudice Apostolico essa prevede che “il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda”. La direttiva dettaglia i casi in cui il migrante può essere trattenuto: per verificarne l’identità e quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, tra gli altri. Viene precisato comunque che il richiedente può essere trattenuto “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso”, salvo “se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.
La direttiva, poi – altro punto contestato dalla magistrata catanese – indica che la procedura di frontiera non può essere svolta in una zona diversa da quella di ingresso: a Lampedusa, dove sono sbarcati i tunisini, e non a Pozzallo. E qui potrebbe esserci stato un vizio procedurale da parte del questore che ha emesso il provvedimento di trattenimento. Gli uffici legislativi stanno intanto limando l’ultimo decreto approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì scorso, prima dell’invio al Quirinale: contiene, tra le altre, misure per l’allontanamento degli stranieri pericolosi ed una stretta sull’accertamento dell’età dei minorenni soli. Anche questo si annuncia controverso.