Collegati con noi

Esteri

A Kramatorsk i missili russi hanno fatto una strage, almeno 11 morti e decine di feriti

Pubblicato

del

Col passare delle ore, dalle macerie della pizzeria di Kramatorsk colpita dai missili russi emerge la brutta immagine di una carneficina. Ci sono una ragazzina di 15 anni e due gemelle di 14 anni fra gli 11 morti finora conteggiati, mentre fra gli oltre 60 feriti c’è un neonato, che in un’immagine video appare ricoperto di sangue mentre viene portato in braccio da una donna sbigottita, e anche 3 stranieri. “Noi non colpiamo i civili”, si difende Mosca; “la Russia continua a violare il diritto internazionale e a commettere crimini di guerra”, ribatte invece l’Unione europea, per voce del responsabile della politica estera, Josep Borrell.

Il ristorante Ria Pizza, con la sua ampia terrazza all’aperto sul marciapiede, era in pieno centro di Kramatorsk, città di circa 150 mila abitanti a una trentina di chilometri dal fronte del Donbass, nell’oblast di Donetsk, ed era già stata duramente colpita oltre un anno fa da un missile che davanti alla stazione dei treni lasciò in terra 63 morti, centrati da bombe a grappolo piovuti dal missile esploso. Ma se in quell’occasione la stazione poteva essere sede di movimenti di militari, la pizzeria ieri sera è stata colpita alla 19.30, quando era affollata solo di famiglie con bambini: famiglie di civili, famiglie anche di soldati che cercavano un po’ di relax dai combattimenti sul fronte, e anche addetti alle organizzazioni internazionali e giornalisti. Fra i feriti, anche un cronista e il suo fixer, oltre a una famosa scrittrice ucraina, Victoria Amelina, fondatrice di un festival letterario a Donetsk e ora dedita alla ricerca sui crimini di guerra russi.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky subito dopo l’attacco aveva parlato dell’ennesima “manifestazione del terrorismo” di Mosca, che prova sempre più al mondo come sia meritevole di essere sconfitta. La Russia – ha invece obiettato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, “non colpisce infrastrutture civili”, e i bombardamenti sono diretti a siti collegati in un modo o nell’altro a infrastrutture militari”. Il bersaglio, aggiunge il ministero della Difesa moscovita, era “punto di dispiegamento temporaneo del personale di comando della 56/a Brigata di fanteria motorizzata delle forze armate ucraine”. I due razzi piombati su Kramatorsk, centrando in pieno la pizzeria, erano due Iskander: missili ipersonici a raggio corto – hanno una gittata massima di 400 chilometri – lanciati da mezzi mobili terrestri. Si tratta di armi di alta precisione. Intanto l’Sbu, il servizio segreto di Kiev, ha arrestato un residente di Kramatorsk, accusandolo di aver fatto la talpa, girando alle forze di Mosca immagini della pizzeria e dei dintorni. Sul fronte dei combattimenti, intanto, Kiev continua ad avanzare e rivendica “successi parziali” sul fronte sud, dove sarebbero state “distrutte quasi tre compagnie” del nemico.

Ma il ministro della Difesa, Oleksyi Reznikov, avverte che i recenti e modesti successi ucraini sono solo “un’anteprima” di una controffensiva molto più grande, nella quale saranno impiegate le principali riserve di truppe, tra cui il grosso di quelle addestrate in Occidente ed equipaggiate con moderni carri armati e veicoli corazzati. “L’evento principale” dell’attacco deve ancora arrivare, spiega Reznikov e “quando accadrà, lo vedrete tutti…Tutti vedranno”. Sul piano diplomatico, mentre continua il pressing per ottenere garanzie di sicurezza all’attesissimo vertice Nato di Vilnius, Zelensky estrae dal suo cilindro nuove potenziali credenziali di fronte al suo Paese e ai suoi alleati, abbozzando i primi tratti dell’Ucraina che verrà: “Ne faremo un assioma ucraino: la libertà porta al successo.

Ma per ottenere questo successo, lo Stato ucraino deve essere trasformato. E noi faremo in modo che la trasformazione sognata dagli ucraini diventi realtà!”. Sarà uno stato in cui tutti i funzionari dovranno conoscere l’inglese e in cui la cannabis a scopo terapeutico dovrà essere legalizzata, abbozza Zelensky, che intanto continua a riscuotere segni di vicinanza da alleati e amici. Come con le visite a sorpresa del presidente della Polonia, Andrzej Duda, e di quello della Lituania, Gitanas Nauseda, che al summit euroatlantico di luglio farà gli onori di casa. Varsavia e Vilnius – ha promesso Duda nella conferenza stampa con Zelensky – stanno cercando “di garantire che le decisioni prese al vertice indichino chiaramente la prospettiva dell’adesione”.

Advertisement

Esteri

Pressing degli Usa per la tregua, Mosca attacca l’Europa

Pubblicato

del

Il faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump nella Basilica di San Pietro, fortemente sostenuto anche dalla Santa Sede, ha ridato speranza agli ucraini di ottenere una pace che non sia una resa, ma il percorso continua ad essere pieno di incognite. Kiev in questa fase rilancia gli appelli ai partner per spingere Mosca ad accettare almeno una tregua, mentre il Cremlino prova a tenersi stretti gli americani assicurando che sulla soluzione del conflitto le posizioni sono “coincidenti in molti punti”, mentre sono gli ucraini e gli europei a voler mettersi di traverso.

A Washington, tuttavia, questo stallo viene vissuto con crescente insofferenza. Ed ora la nuova richiesta alle parti in conflitto è di accettare concessioni reciproche entro la prossima settimana. I colloqui tra Zelensky, Trump e i leader dei volenterosi, a margine dei funerali del Papa, hanno in qualche modo reindirizzato la pressione diplomatica verso la Russia. Tanto che lo stesso presidente americano, nel volo di rientro da Roma, si è lasciato andare ad un’insolita sfuriata nei confronti di Putin, accusandolo di “prendere in giro” gli sforzi di pace con i suoi raid sui civili, e minacciando nuove sanzioni. Mosca ha provato a schivare questi strali rimarcando le distanze all’interno del blocco transatlantico.

Ha iniziato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, assicurando che il lavoro con gli americani continua, “in modo discreto e non in pubblico”. E ricordando le convergenze tra le due potenze, a partire dall’idea che la Crimea sia russa e che Kiev non potrà mai entrare nella Nato. A rafforzare il concetto ci ha poi pensato Serghiei Lavrov. Il ministro degli Esteri ha accusato gli europei di “voler trasformare, insieme a Zelensky, l’iniziativa di pace di Trump in uno strumento per rafforzare l’Ucraina”, a dispetto delle idee della Casa Bianca. Mosca, in particolare, conta sul fatto che le rivendicazioni territoriali di Kiev, così come le garanzie di sicurezza, non interessino più di tanto a Washington.

Gli ucraini al contrario vogliono ricompattare i loro alleati. Zelensky, pur smentendo la resa nel Kursk, ha ammesso che la situazione al fronte è difficile per gli incessanti raid russi ed ha sottolineato che il nemico insiste nell'”ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato”. Nel frattempo il leader ucraino ha continuato a tessere la sua tela diplomatica. Così, in occasione dei funerali del Papa, ha cercato la sponda dei partner, ma anche del Vaticano. Come dimostrano gli incontri con il segretario di Stato Pietro Parolin ed il presidente della Cei Matteo Zuppi, che in passato erano stati mandati da Papa Francesco in missione a Kiev e l’arcivescovo di Bologna anche a Mosca.

Al termine dei quali Zelensky si è detto “grato per il sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina e anche al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al paese vittima. In seguito, l’ambasciatore ucraino, Andrii Yurash, ha fatto sapere che anche il faccia a faccia Zelensky-Trump ha “avuto il sostegno della Santa Sede: di tutti, non di una persona in particolare”. E se una trattativa diretta tra Mosca e Kiev ancora non appare all’orizzonte, gli Stati Uniti provano a stringere i tempi. “Questa settimana – ha spiegato il segretario di Stato Marco Rubio – cercheremo di determinare se le due parti vogliono veramente la pace e quanto sono ancora vicine o lontane dopo circa 90 giorni di tentativi”. E l’avvertimento è chiaro: “L’unica soluzione è un accordo negoziato in cui entrambi dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere e dovranno dare qualcosa che non vorrebbero dare. In questo modo si mette fine a una guerra e questo è quello che stiamo cercando di fare”.

Continua a leggere

Esteri

Verso summit con Trump, von der Leyen sente Meloni

Pubblicato

del

Le poche parole scambiate sul sagrato di San Pietro sono bastate a riaprire un canale che sembrava chiuso. Dalla stretta di mano fra Ursula von der Leyen e Donald Trump, a margine dei funerali del papa, a Bruxelles si è cominciato a lavorare per trasformare una promessa informale in un incontro ufficiale. Appena rientrata da Roma, la presidente della Commissione europea ha sentito la premier Giorgia Meloni per fare il punto su “tutte le questioni di interesse comune attuale” e coordinarsi sui dossier più urgenti del sostegno all’Ucraina e dei dazi. E, dietro le quinte, i pontieri Ue lavorano per definire i tempi e le condizioni migliori di un appuntamento che potrebbe riannodare i fili dei rapporti transatlantici. Il calendario offre a von der Leyen due occasioni certe per incrociare Trump, entrambe a giugno: il G7 di Calgary e il vertice Nato all’Aja. Ma a Palazzo Berlaymont si punta ad accorciare i tempi.

Se il negoziato su Kiev e le garanzie di sicurezza dovesse accelerare, i giorni successivi al 16 maggio – quando Trump concluderà la visita in Arabia Saudita e potrebbe incontrare Vladimir Putin (si è parlato anche di Istanbul come sede del loro confronto) – potrebbero rappresentare la finestra giusta per una tappa continentale del presidente statunitense e il primo vero faccia a faccia con von der Leyen, magari a Bruxelles. Roma, la cornice immaginata al rientro da Washington di Meloni, sarebbe sostanzialmente sorpassata come ipotesi ma “poco cambia, l’importante non è dove si farà ma il risultato”, dicono dal suo entourage, ricordando che dalla missione alla Casa Bianca la premier era riuscita a ottenere la disponibilità del tycoon a valutare un incontro Ue-Usa. Nei corridoi delle istituzioni comunitarie si sottolinea che non c’è alcuna intenzione di escludere la premier italiana, anzi: se creerà uno spazio di dialogo, sarà valorizzato.

Ma se l’occasione dovesse maturare in altro modo, l’Ue è pronta a coglierla, consapevole della necessità di chiudere sui dazi entro giugno. A Bruxelles si ragiona comunque con realismo, sapendo che quando Trump attraversa l’Atlantico lo fa seguendo logiche e priorità sue. Anche per questo non è esclusa l’ipotesi di una missione di von der Leyen a Washington per guidare in prima persona una trattativa commerciale che – per competenza – spetta esclusivamente alla Commissione. Uno scenario che avrebbe i contorni del déjà-vu: nel luglio 2018, Jean-Claude Juncker volò alla Casa Bianca per fermare la tempesta commerciale in corso e bloccare la minaccia di dazi sulle auto europee dopo che Washington aveva già colpito acciaio e alluminio. Un confronto teso, ma alla fine produttivo.

Nello Studio Ovale, l’ex presidente Ue riuscì a strappare un accordo che portò al congelamento di nuovi dazi, alla cooperazione sui regolamenti tecnici e a spalancare le porte del mercato europeo al gnl americano. Tutti temi che, a distanza di sette anni, sono di nuovo sul tavolo Ue-Usa accanto all’impegno europeo di acquistare più armi americane, al pressing per far salire la spesa militare continentale e alla sfida sul terreno strategico della Big Tech. La Casa Bianca, dal canto suo, ha pronta una roadmap per velocizzare le trattative con i governi di tutto il mondo sui dazi reciproci annunciati nel Liberation day. L’amministrazione Trump, stando alle indiscrezioni del Wall Street Journal, punta a trattare con i 18 principali interlocutori muovendosi lungo quattro direttrici: dazi, barriere non tariffarie, commercio digitale, sicurezza economica. E i colloqui proseguiranno a rotazione con ciascun partner fino alla scadenza della tregua, l’8 luglio. Senza accordi – e salvo nuovi capovolgimenti -, le sovrattasse scatteranno.

Anche in questo quadro potrebbe aprirsi lo spazio per un incontro fra l’Europa e gli Stati Uniti. Per ora il negoziato resta nelle mani degli esperti, impegnati a preparare il terreno per la ripresa “quando opportuno” dei contatti politici e abbozzare un’intesa di principio. Il lavoro, è l’ammissione di Bruxelles, “è ancora molto”. L’esito resta incerto. Per questo il piano B è già predisposto: i contro-dazi Ue sui prodotti iconici Usa sono pronti a partire il 14 luglio. E il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, lavora a un possibile vertice straordinario a 27 nell’ultima settimana di maggio, quando anche Berlino avrà il suo nuovo cancelliere, Friedrich Merz.

Continua a leggere

Esteri

Zelensky: situazione difficile ma resistiamo nel Kursk

Pubblicato

del

“Il Comandante in Capo Oleksandr Syrskyi ha fornito un aggiornamento sulla situazione in prima linea. In molte direzioni la situazione rimane difficile”. Lo scrive Volodymyr Zelensky su X. “Solo a mezzogiorno, si sono già verificati quasi 70 attacchi russi. Gli scontri si concentrano nelle direzioni di Pokrovsk, Kramatorsk, Lyman e Kursk”. E “le nostre forze continuano le operazioni difensive in aree specifiche delle regioni di Kursk e Belgorod”, ha assicurato, dopo che ieri Mosca aveva annunciato la completa riconquista del Kursk. Zelensky ha chiesto una rinnovata pressione sulla Russia ad accettare la tregua proposta dagli Usa.

Secondo Zelensky “la situazione in prima linea e l’azione dell’esercito russo dimostrano che l’attuale pressione globale sulla Russia non è sufficiente a porre fine a questa guerra. Presto saranno passati cinquanta giorni da quando la Russia ha iniziato a ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato, una proposta che l’Ucraina aveva accettato l’11 marzo”. Per questo motivo, “è necessaria una pressione più tangibile sulla Russia per creare maggiori opportunità per una vera diplomazia”, ha avvertito, ringraziando “tutti coloro che sono al fianco dell’Ucraina”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto