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Plichi bomba: pacco inviato ad ex militante Casapound

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Dieci buste bomba destinate a dieci persone che non hanno alcun collegamento di conoscenza tra di loro. Tra questi anche Francesco Chiricozzi, l’ex militante di Casapound condannato in primo grado a 3 anni di carcere per lo stupro avvenuto nell’aprile dell’anno scorso in in pub a Viterbo. Il plico che era destinato a lui e’ stato intercettato nei giorni scorsi nel centro di smistamento delle poste di Ronciglio, centro della Tuscia. Sul pacco, anche in questo caso, un mittente “conosciuto” al destinatario: il nome dell’avvocato difensore di Riccardo Licci, l’altra persona condannata a 2 anni e 10 mesi per la violenza sessuale ai danni di una donna di 36 anni. Secondo gli inquirenti il destinatario del plico, del tutto identico a quelli inviati a Roma e in provincia di Rieti, avvalora la pista della galassia anarchica dietro questa iniziativa. L’attivita’ di indagine di Ros e Digos, coordinati dai pm di piazzale Clodio, ha accertato che tra tutte le persone a cui la busta gialla formato A4 e’ stata spedita non c’e’ alcun tipo di rapporto, alcun tipo di legame sia dal punto di vista professionale che personale. Il minimo comune denominatore di questa iniziativa, che chi indaga definisce “dimostrativa” ma non per questo non pericolosa, e’ il tipo di fabbricazione utilizzata per plichi. In tutte le buste era presente una scatoletta di legno con all’interno Il congegno di innesco e l’esplosivo. Una quantita’ tale atta ad offendere ma non ad uccidere. Tra i destinatari anche un avvocato che in passato ha difeso l’ex gerarca nazista Erich Priebke. Nei giorni scorsi era stato recapitato, via posta, un plico ad un uomo di 54 anni a Palombara Sabina, un comune nell’area a nord della Capitale. La busta e’ giunta all’abitazione dell’uomo che lavora come portiere in un condominio in zona Ponte Milvio, a Roma. Insospettito dal mittente fittizio e dalla busta imbottita all’interno, il destinatario ha portato la busta nella vicina caserma dei carabinieri. Il 5 marzo a ricevere il pacco era stato il penalista che si e’ recapitare dal postino il plico nella sua abitazione di via Ubaldo degli Ubaldi nella zona di Boccea. La sera del primo marzo, invece, un plico era esploso al Centro di smistamento di Fiumicino ferendo una impiegata. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il gruppo eversivo avrebbe preso di mira una ex dipendete dell’Ateneo di Tor Vergata in relazione ad un accordo siglato nell’ottobre scorso con l’Aeronautica Militare. Dietro il ferimento di una donna di 68 anni, esperta in biotecnologie, che lavorava presso l’universita’ cattolica del Sacro Cuore-Gemelli, ci sarebbe, secondo gli inquirenti, l’intesa di cooperazione siglata nel dicembre del 2017 con una struttura della Nato: il Corpo d’armata di reazione rapida in Italia (Nrdc-Ita). In questi giorni gli inquirenti hanno visionato le telecamere a circuito chiuso di negozi gestiti da cinesi nella zona nord di Roma. Per chi indaga, l’autore (o gli autori) dei pacchi potrebbe avere acquistato qui le “materie prime” utilizzate per fabbricare gli ordigni rudimentali.

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Esteri

‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Un video per raccontare la lotta al tumore ovarico

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Le donne colpite dal tumore ovarico raccontano, condividono le loro paure, le loro speranza e allo stesso tempo chiedono maggiore attenzione verso questa grave patologia. L’iniziativa è realizzata dalle donne dell’associazione ALTo attraverso un video che da oggi, in occasione della Giornata mondiale contro il tumore ovarico, è disponibile su You Tube.

Il tumore ovarico è il settimo tumore più comune tra le donne a livello mondiale e costituisce l’ottava causa di morte per cancro femminile. Solo in Italia sono circa 6mila le donne che ogni anno ricevono una diagnosi di tumore ovarico. “Ogni donna che combatte contro il cancro ovarico ha una storia unica da raccontare e attraverso questo video vogliamo dare loro voce – spiega Maria Teresa Cafasso, presidente dell’Associazione ALTo – vogliamo mostrare al mondo intero la loro forza e determinazione e allo stesso tempo sensibilizzare sull’importanza della conoscenza precoce, dell’accesso ai trattamenti e della necessità di approvare nuovi farmaci per la cura delle frequenti recidive che spesso colpiscono le donne affette da questa malattia”.

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Nell’inchiesta su Toti l’ombra di una talpa

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Nell’inchiesta sul presunto comitato d’affari e corruzione che ha portato all’arresto (ai domiciliari) del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti spunta l’ombra di una talpa. E’ un aspetto su cui lavorano gli investigatori della guardia di finanza, coordinati dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde, alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali.

E’ il 30 settembre 2020. I fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, iscritti a Forza Italia in Lombardia e da ieri sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina. A quell’incontro si avvicina un uomo con la felpa e il cappellino.

“Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano). Che dice a Italo Testa: “Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando”. In tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: “si lo so, non ti preoccupare …. L’ho stutato (“spento” in dialetto siciliano, ndr)”. Questa condotta, scrive il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni, “appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto – avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini (“stanno indagando”) – fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico”.

Ma chi ha avvisato Lo Grasso? Una ipotesi è che vi sia appunto una talpa visto che Stefano Anzalone, totiano anche lui e indagato nell’inchiesta, è un ex poliziotto che ha dunque agganci tra le forze dell’ordine. L’altra ipotesi è che si possa trattare di una sorta di millanteria dello stesso Anzalone che dopo le elezioni voleva togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le promesse fatte in cambio dei voti.

Tutti gli indagati citati in questo articolo sono da considerare presunti innocenti.

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