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Cronache

Abusi su tre bimbe in un centro di riabilitazione, scoperta la “cassaforte” sul web con foto pedopornografiche del terapista arrestato

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Dentro lo smartphone, in una cartella riservata, nascosta, nome in codice “cassaforte”, c’erano foto e video a sfondo pedopornografico. L’inchiesta a carico del terapista di un centro di riabilitazione pediatrico di Posillipo, sembra essere giunta ad una svolta decisiva. La Procura di Napoli ha chiuso l’inchiesta e ora il terapista (già arrestato) risponde di casi di pedofilia, oltre che di produzione di materiale fotografico a sfondo pedopornografico. Ciò significa che i magistrati inquirenti potrebbero a breve richiedere il rinvio a giudizio. Sono tre le bambine in cura presso il centro clinico di Posillipo che sarebbero state molestate dallo specialista. Una delle bambine, sulla base delle indagini effettuate,  sarebbe stata convinta a posare per foto ingiustificate, che non hanno alcuna attinenza con i protocolli medici seguiti per le esigenze cliniche delle bambine in cura presso il centro. Queste sono le acquisizioni e i convincimenti della pm titolare delle indagini Cristina Ribera.

Le indagini sono concluse, nei prossimi venti giorni dovrebbero essere pronte anche le memorie difensive del terapista, quindi la decisione di mandare a giudizio o meno l’indagato. Agli atti c’è, come dicevamo, questa cartella di fotografie e di indirizzi telematici di siti internet da visitare, che non dice nulla di buono sulla psiche e sui costumi del terapista nel mondo virtuale. Nella cartella “cassaforte” c’è materiale pedopornografico che un terapista non dovrebbe avere: bambine, teenager, ragazzine under 14, tutte seminude. O meglio: tutte in mutandine. Sembra questo il chiodo fisso del terapsita che immortalava le sue pazienti sempre nelle stesse pose e in mutandine. Il legale del terapista, Domenico Buonincontro, respinge le accuse, nega che il suo assistito possa essere un pedofilo e si dice pronto a dimostrare la correttezza del lavoro e del comportamento tenuto al lavoro. Nel corso di un interrogatorio reso prima di essere stato arrestato, per giustificare dei palpeggiamenti ad una bambina il terapista fece riferimento ad una presunta “terapia del solletico”. Che però, a parere del magistrato, non giustificherebbe  atteggiamenti morbosi e molesti verso le piccole pazienti. 

Dallo scorso agosto, il terapista è agli arresti domiciliari. Fu arrestato dopo la denuncia della mamma di una delle tre bambine vittime delle molestie. Le prime indagini sono consistite nel piazzare un sistema di videosorveglianza nell’area in cui il terapista trattava le piccole pazienti. Dai video, secondo l’accusa, sarebbero emersi episodi di molestie consumate ai danni di una delle tre parti offese individuate. In un altro caso di violenza, invece, resta centrale il racconto di un’altra bambina, che ha confermato di essere stata indotta a subire palpeggiamenti. Ovviamente la bambina è stata sentita con le cautele imposte dalla legge. Poi ci sono le foto ad una terza bambina. Foto scattate qualche mese fa, inizio agosto 2018.

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L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero. La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati. Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

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Il rosso e il nero, a San Pietro geografia del potere

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Il rosso porpora dei cardinali e il nero degli abiti in lutto, il bianco delle rose e il marmo bianco del colonnato. Tra cerimoniale e protocollo sul sagrato di San Pietro si è dispiegata la geografia del potere spirituale e temporale racchiusa nella regia sapiente del rito. Le spettacolari immagini dall’alto, realizzate grazie anche all’inedito utilizzo di droni, hanno trasformato piazza San Pietro in una gigantesca scacchiera dell’equilibrio mondiale: da un lato il rosso degli abiti cardinalizi, dall’altro il nero degli abiti dei capi di Stato e consorti sapientemente distribuiti in base a ruolo e peso internazionale. A seguire, in una sorta di sfumatura cromatica, il bianco dei concelebranti e i variopinti completi delle decine di migliaia di fedeli. In prima fila la delegazione italiana e quella argentina alle quali si sono affiancate, con un piccolo strappo al cerimoniale che voleva una disposizione in ordine alfabetico francese, quelle dei principali governi europei e mondiali, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Spagna e l’Ucraina. L’unico outfit blu, invece del tradizionale nero, è stato quello del presidente americano, Donald Trump che, in prima fila, si trovava tra Filippo di Spagna ed Emmanuel Macron. Zelensky per un giorno ha dismesso maglietta e pantaloni tecnici in verde militare per vestire di nero. Poi le first ladies di ieri e di oggi e nobili col capo coperto da un velo nero, da Melania Trump a Jill Biden, da Silvia di Svezia a Letizia di Spagna. Victoria Starmer ha preferito però un cappello con veletta. Capo coperto anche per la figlia del presidente Mattarella, Laura. Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Brigitte Macron non hanno rinunciato allo stile rigoroso ma senza veletta. L’austerità della celebrazione a piazza San Pietro ha lasciato poi spazio alle rose bianche con cui i poveri e i migranti hanno accolto il feretro di Francesco a Santa Maria Maggiore, proprio come lui avrebbe voluto. Gli zuccotti rossi dei cardinali si confondevano con le giacche beige dei fedeli o le magliette dell’Argentina, ai jeans strappati e gli smanicati rossi. Ad accompagnare il feretro verso la cappella dove poi Bergoglio è stato tumulato prima i domenicani, con il loro tradizionale – ed umile – abito nero e bianco, e poi quattro bambini. Nelle loro mani due cesti di rose bianche offerte dai poveri davanti all’altare della Basilica tanto cara a Francesco. Lo stesso altare sul quale, dopo le dimissioni dal Gemelli, il Pontefice decise di far deporre a sorpresa i fiori gialli della signora Carmela. Che, anche oggi, immancabile, ha deciso di prender parte alle esequie, tra i Grandi della Terra e gli “ultimi del mondo”.

(Foto in evidenza di Imagoeconomica)

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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