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Poliziotti uccisi, per il gip l’assassino è stato lucido e spietato: smentite malattie psichiche

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L’autopsia sui corpi dei due agenti uccisi- Pierluigi Rotta di Pozzuoli e Matteo Demenego di Velletri – in questura a Trieste saranno effettuate a partire dalla metà della prossima settimana. Le autopsie dovranno chiarire dettagli sulla dinamica dell’aggressione ai due poliziotti: da quanti colpi sono stati raggiunti e anche chiarire la traiettoria dei proiettili, elemento utile per accertare come ha colpito Alejandro Stephan Meran. Solo dopo saranno celebrati i funerali.

Le condizioni di Alejandro Stephan Meran, l’assassino ricoverato nel reparto di Medicina D’Urgenza, e curato con terapia farmacologica, sono stazionarie. Il giovane è piantonato in ospedale dalla polizia penitenziaria. Sono buone le condizioni del poliziotto ferito durante la sparatoria. È stato operato alla mano sinistra e tra qualche giorno darà dimesso.

Agente Ferito

Il questore di Trieste, Giuseppe Petronzi, ha parlato di  rischio di una strage durante la sparatoria. L’omicida “aveva delle armi in pugno ed era all’interno della Questura, fortunatamente e tragicamente c’eravamo solo noi poliziotti, quindi fortunatamente non erano esposte altre persone. La potenzialità – ha proseguito il questore – era tale che il bilancio avrebbe potuto essere più tragico”. E le “fasi estremamente concitate e drammatiche” della sparatoria sono state già consegnate in un video alla procura di Trieste. Sono i filmati delle telecamere che hanno ripreso la scena della sparatoria all’interno della questura. Fasi che “hanno testimoniato la capacità di risposta dell’apparato che è riuscito a rendere inerte e a fermare la persona immediatamente, scongiurando la possibilità che potesse fare danni peggiori”, ha spiegato il questore.

C’è poi la questione della presunta malattia, della presunta epilessia o disagio psichico di  Alejandro Stephan Meran. Nel corso della sparatoria all’interno della Questura l’uomo ha mostrato “luciditò” portando avanti “l’azione aggressiva”. E’ quanto viene rilevato nel decreto di fermo. Il gip nell’ordinanza che dispone il carcere rileva l’assenza di riscontri oggettivi su una possibile malattia psichica dell’uomo. Secondo gli inquirenti le uniche prove in merito a un presunto disagio psichico provengono dalle testimonianze dei familiari e sono dunque di parte. Verifiche verranno fatte eventualmente in un momento successivo oppure nel caso che dalla Germania giungessero atti o documenti a comprovare che Alejandro era seguito da operatori sanitari per disagi psichici. Secondo quanto si e’ appreso, investigatori e inquirenti troverebbero conferma di una lucidita’ dell’uomo anche nel fatto che l’ambulanza del 118 giunta con le auto della Volante e della Mobile a prendere i due fratelli dopo che erano stati chiamati da questi ultimi, non ha preso in carico Alejandro, proprio perche’ non avrebbe manifestato alcun problema. La lucidita’ e la consapevolezza dell’azione compiuta da Alejandro e’ uno degli elementi che avrebbe convinto il Gip a confermare completamente la richiesta della Procura di una ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Mentre l’inchiesta procede, i triestini continuano il loro pellegrinaggio, va avanti da 48 ore oramai, in questura. Ancora fiori, disegni, biglietti e candele per “i nostri eroi”. Anche oggi, a due giorni dalla sparatoria in centinaia sono andati all’ingresso principale della Questura e lasciato un segno di ringraziamento. Si avvicinano in silenzio, alla spicciolata. Ci sono adulti ma anche bambini. Composti poi entrano nell’edificio per un minuto di raccoglimento davanti al monumento ai caduti, dove ci sono le foto dei due agenti, tra corone di fiori e candele.

Nei disegni dei bambini, lasciati all’ingresso della Questura, il ritratto dei loro “angeli” in divisa.”Voi avete fatto di tutto per noi. Voi siete degli angeli”, scrive un bimbo. “Siete i nostri eroi, i protettori dell’Italia”, si legge su un altro foglio. Sotto la rappresentazione dei due agenti sorridenti.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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