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Dj Fabo, la decisione della Consulta suscita lo ‘sconcerto’ della Cei: ora garantire l’obiezione di coscienza

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Una sentenza che “sconcerta e preoccupa” il mondo cattolico. Sono dure le parole con le quali la Conferenza episcopale italiana ha preso le “distanze” dalla decisione della Consulta che ritiene lecito il caso dell’aiuto al suicidio come nel caso di dj Fabo. La Chiesa italiana chiede ora per gli operatori sanitari “la liberta’ di scelta”, ovvero la garanzia dell’obiezione di coscienza. I vescovi “si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la liberta’ di scelta”, dice testualmente una nota della Presidenza che rilancia le parole piu’ volte pronunciate da Papa Francesco, per la vita e contro la cultura dello scarto. “La preoccupazione maggiore – afferma ancora la Conferenza episcopale italiana – e’ relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che puo’ derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignita’. I vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimita’ e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati”. Ma tutto il mondo cattolico ha espresso la sua forte contrarieta’ a quando deciso stasera dalla Corte Costituzionale.

“Con la decisione di non punire alcune situazioni di assistenza al suicidio, la Corte costituzionale italiana cede ad una visione utilitaristica della vita umana ribaltando la lettura dell’articolo 2 della nostra Carta che mette al centro la persona umana e non la sua mera volonta’, richiedendo a tutti i consociati doveri inderogabili di solidarieta’: da oggi non sara’ piu’ un dovere sociale impedire sempre e ovunque l’uccisione di un essere umano”, dichiara Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita. Per l’Associazione Giovanni XXIII “questa sentenza apre un varco alla cultura della morte e separa il mistero della sofferenza dal calore della relazione e del vivere in famiglia”, afferma Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunita’ Papa Giovanni XXIII, commentando la sentenza della Consulta sul suicidio assistito. Il Forum Famiglie sottolinea che “ogni vita e’ degna, se c’e’ qualcuno che la ama. E ogni malato desidera vivere, se c’e’ qualcuno che continua a gioire per il suo sorriso o per il suo respiro”, commenta il presidente Gigi De Palo. Il leader del Family Day, Massimo Gandolfini, rileva: “Cadiamo oggi dalla civilta’ basata sulla tutela della vita dei cittadini alla barbarie per cui si puo’ eliminare la vita, a partire da quella dei piu’ fragili, dei piu’ deboli, dei disabili”. “L’omicidio e’ un delitto, non e’ un diritto”, aggiunge raccontando di aver ricevuto la telefonata del padre di un bimbo disabile che gli ha chiesto: “Ora che cosa potra’ accadere di mio figlio?”.

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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Orrore in provincia di Parma: accoltella la moglie e si uccide schiantandosi contro un camion

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Erano le nove del mattino quando due bambini, di appena 7 e 10 anni, bussano disperati alla porta di una vicina, chiedendo aiuto: «La mamma è caduta, sta male». Ma non si trattava di una caduta. La scena che si è presentata alla donna era ben diversa: sangue ovunque, e la madre dei due piccoli riversa a terra, in condizioni disperate.

Sette coltellate e una corsa contro il tempo

Poco dopo, i medici del 118 conteranno sette ferite da arma da taglio, di cui una gravissima al torace, vicino al cuore. La donna, Safwa, 47 anni, è stata trasportata d’urgenza all’ospedale Maggiore di Parma, dove è stata ricoverata in rianimazione in prognosi riservata. In serata, le sue condizioni sono state definite stabili. Non è peggiorata, e questo lascia sperare.

La fuga del marito e la morte su strada

Mentre la moglie lottava per la vita, il marito – Dhahri Abdelhakim, 53 anni, tunisino con permesso di soggiorno – fuggiva a bordo della sua Opel. Dopo un chilometro e mezzo, si è schiantato a tutta velocità contro un camion. Le immagini delle telecamere mostrano la manovra: una sbandata volontaria verso il mezzo che arrivava dalla direzione opposta. Abdelhakim è morto sul colpo. I due muratori sul camion sono rimasti feriti in modo non grave.

Una famiglia da poco riunita

La famiglia era arrivata in Italia nel 2023. Lui lavorava in un’azienda della zona da due anni. A San Secondo Parmense era stato poi raggiunto dalla moglie e dai quattro figli: i due piccoli che ieri hanno dato l’allarme, e due ragazze di 14 e 17 anni, che erano a scuola al momento dell’aggressione.

Nessun precedente, nessuna segnalazione

I carabinieri del Nucleo Investigativo di Parma e della Compagnia di Fidenza stanno cercando di fare luce sulle ragioni di questa tragedia. Dai primi accertamenti non risultano precedenti, né segnalazioni alle forze dell’ordine o ai servizi sociali. Nessun campanello d’allarme.

I figli affidati a una comunità protetta

Tutti i figli della coppia, essendo minorenni, sono stati affidati a una comunità protetta, nonostante la presenza di parenti in zona. I più piccoli, secondo quanto emerso, potrebbero non aver assistito all’aggressione. Ai soccorritori hanno parlato solo di una caduta della madre, forse ripetendo ciò che lei stessa ha detto per proteggerli dalla verità.

Il dolore delle figlie maggiori

Nella caserma dei carabinieri, ieri, le due ragazze più grandi sono rimaste in silenzio, strette l’una all’altra. Piangevano, in attesa di notizie dalla rianimazione. Pregano che la madre possa farcela, nella speranza di poter ricominciare una vita segnata da una violenza inaudita.

 

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