Felice, sereno, gioioso: Dominique Meyer apre la conferenza stampa di presentazione della prossima stagione del teatro alla Scala, l’ultima in cui sarà sovrintendente, assicurando che sta bene, ma nel suo lungo intervento si toglie qualche sassolino (o macigno) dalla scarpa. “Ho diretto l’Opéra di Parigi, Losanna, il Théâtre des Champs-Élysées, la Staatsoper di Vienna e poi ho avuto la fortuna di venire alla Scala. Qua sono stato accolto e tutta la squadra è diventata la mia famiglia. Abbiamo rivoltato la Scala da capo a piedi” una Scala “modernizzata che può andare nel futuro”, rivendica.
“Il bilancio 2023 si è chiuso con un utile di 8,7 milioni e un accantonamento di 5 che serviranno per il trasferimento dei laboratori e dei depositi al Rubattino”, elenca in una conferenza alla quale è assente il sindaco di Milano Giuseppe Sala, presidente del teatro, che domani incontrerà Fortunato Ortombina, cioè la futura guida della Scala dopo l’addio di Meyer (che ancora non ha detto se lascerà a febbraio, allo scadere naturale del suo contratto, o ad agosto 2025 come gli è stato proposto, anche se la prima ipotesi sembra la più probabile).
Nel 2018 il bilancio era di 109 milioni, ora è salito a 132,7. I ricavi da biglietteria in un anno sono passati da 27 a 34 milioni e il valore di produzione è passato da 123,5 a 133 milioni. “Abbiamo venduto più biglietti e c’è un tasso di saturazione della sala del 91% per la sinfonica, del 90% per la lirica e del 89% del ballo”. Sono aumentati gli abbonamenti e anche gli incassi medi di una serata, che da 194 mila euro sono saliti a 236mila. Ora “alla Scala i privati danno più soldi del pubblico: 44 milioni, una cifra enorme”.
Ci sono 38 milioni che arrivano dagli sponsor, le erogazioni liberali passate da 3 a quasi 6 milioni. C’è stato il lavoro sull’energia che ha permesso un taglio del 20% dei consumi, l’arrivo della nuova cassa acustica, i tablet che sostituiranno gli attuali schermi per i sottotitoli, e anche l’ideazione di nuovi sgabelli più alti che permettono di stare più comodi e vedere meglio nei palchi. “Vi faccio un appello, se qualcuno li vuole finanziare….” dice, perché Meyer è ancora il sovrintendente della Scala e ci tiene. Dal punto di vista delle produzioni, forse questa è la sua prima vera stagione dopo gli anni tumultuosi del Covid, con alcuni progetti a cui ha lavorato a lungo e di cui non vedrà la conclusione in carica, come il Ring di Wagner firmato dalla coppia eccezionale Christian Thielemann e alla regia David McVicar e la prima mondiale dell’opera Il nome della rosa, commissionata a Francesco Filidei. “La durata di un mandato da sovrintendente non è sufficiente a portare in parto un’opera contemporanea e questa è una cosa su cui bisogna riflettere” dice prima di assicurare che si guarderà bene dallo smettere di lavorare. “Un ministro ha deciso di mandarmi in pensione dalla Scala, ma la vita va avanti”, con una serie di progetti fra cui scegliere, seppure lontano da Milano.