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Roberto Carlino, 30 anni, napoletano, ingegnere aerospaziale genio della Nasa: in Italia ero precario e mi han fatto capire che…

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Da Napoli alla Silicon Valley sognando lo spazio. E´ la parabola ascendente di un ragazzo napoletano che ha coronato il suo sogno. Ma è anche la storia, sentita ormai troppe volte, di uno Stato incapace di valorizzare i suoi talenti migliori. Oggi Roberto Carlino, ingegnere aerospaziale di trentanni, lavora alla Nasa Ames, in Silicon Valley. I robot che ha contribuito a costruire e testare sono stati lanciati di recente nello spazio. Saranno di supporto agli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale e consentiranno di condurre esperimenti in microgravità e tenere sotto monitoraggio la stazione orbitale.  Carlino ha studiato in Italia, a Napoli, nel più antico ateneo statale d’Italia e del mondo, anno di Fondazione 1224. Cominciamo da qui la nostra chiacchierata con l’ingegnere napoletano che ha conquistato la NASA e che contribuisce al successo dell’industria aerospaziale Usa.

La prima domanda che le poniamo è proprio questa: come reputa il nostro sistema universitario?

“Ho studiato ingegneria aerospaziale alla Federico II. Poi un master a Roma. La formazione nelle nostre università non è inferiore a quella di altri paesi, parlo soprattutto della formazione teorica. Il problema principale è la pratica: manca proprio la cultura di fare esperienza pratica, tirocinii in aziende. Anche i laboratori e i centri di ricerca dell’Università non sono molto sviluppati. Questa è una grandissima pecca”.

Durante il master a Roma la prima visita alla NASA. Ci può raccontare quellesperienza, quelle emozioni?

“Uno dei professori del master insegnava anche qui negli Stati Uniti e grazie a lui siamo riusciti ad organizzare un viaggio in California, dove abbiamo visitato alcune aziende, prima a Los Angeles, poi nella Silicon Valley. Presentammo anche un progetto di gruppo a cui avevamo lavorato durante il master. Fu loccasione per fare una buona impressione e scambiare contatti”.

Da precario in Italia alla NASA.

“Durante il master ho fatto un tirocinio di sei mesi presso lazienda Telespazio a Roma, dopo il quale mi hanno fatto comprendere che non cerano i margini per unassunzione o per un rinnovo dello stage. Ho fatto domanda presso altre aziende, fra cui Thales Alenia. In Italia spesso non ottenevo neanche un colloquio. Alla Nasa ho fatto un tirocinio di sei mesi, in seguito rinnovato per altri sei. Dopo il tirocinio, mi hanno assunto come dipendente a tempo pieno”.

Un sogno dopo le esperienze “complicate” in Italia…

“Un sogno diventato realtà. I primi mesi faticavo a crederci. Limpatto iniziale è stato forte, una cultura e un modo di fare completamente diversi. Qui sono più aperti mentalmente, non esistono ranghi e gerarchie. Le relazioni sono abbastanza informali”.

Che aria si respira nella Silicon Valley? Come funziona la NASA?

“Si lavora ogni giorno con la mentalità di perseguire una costante innovazione. La Silicon Valley è uno dei fulcri principali dellinnovazione nel mondo, soprattutto nei campi dellinformatica e dellelettronica. I centri Nasa sono dieci in tutti gli Stati Uniti. Ognuno è specializzato in un campo: il Kennedy Space Center in Florida, ad esempio, si occupa principalmente di razzi e della preparazione degli astronauti. Houston è il centro di controllo per i voli spaziali e di addestramento per gli astronauti. Il Nasa Ames Research Center, dove lavoro, è un misto; da una parte è un centro di ricerca, dallaltra è coinvolto anche in missioni spaziali”.

Ci parli del suo lavoro, del suo ruolo di giovane ingegnere alla NASA.

“Io ho lavorato soprattutto a missioni spaziali. Di recente ho contribuito al programma Astrobee: una serie di piccoli robot spaziali che sono stati lanciati nella Stazione Spaziale Internazionale. Da una parte, sono assistenti robotici al servizio degli astronauti, di supporto nelleffettuare misurazioni e nel monitoraggio della Stazione. Dallaltra, consentono di fare esperimenti in microgravità. In questo modo, anche aziende ed università potranno sviluppare degli strumenti da attaccare al robot, servendosi di questo per condurre il loro esperimento in condizioni di microgravità. Sono un misto fra assistenti robotici e una piattaforma scientifica orbitante”.

Perché lItalia non è in grado di valorizzare i propri talenti?

“Leducazione dovrebbe rappresentare linvestimento più grande di un paese e forse questo lItalia ancora non lha capito. Spendendo tanto per la formazione, il punto principale dovrebbe essere quello di favorire la transizione nel mondo del lavoro. Se tu formi benissimo dei ragazzi, e poi non dai loro alcuna opportunità per mettere in campo le conoscenze acquisite, non serve a niente, è tutto inutile”.

Cosa si sente di consigliare ai colleghi che coltivano il suo stesso sogno?

“So di essere stato fortunato; ho avuto molti tasselli che si sono incastrati al posto giusto al momento giusto. Col tempo però ho capito una cosa: se possiedi la giusta determinazione, prima o poi troverai un modo per realizzare il tuo sogno. Sarà difficile, magari dovrai provare cento strade diverse, ma se sei determinato, è possibile realizzare i propri sogni. Molte strade differenti possono portare allo stesso risultato”.

Pensa di tornare in Italia, prima o poi?

“Sicuramente tornerò per andare in pensione; lItalia è un paese straordinario se sei turista o pensionato: ti godi il cibo, il clima, la cultura, che è sicuramente più vivace di quella americana. Per lavorare, però, non credo ritornerei. Il mio poi è pure un parere condizionato, perché nel settore aerospaziale non esiste un posto al mondo più avanzato degli Stati Uniti. Per il momento resto concentrato sul mio lavoro qui in California”.

Le manca Napoli?

”Sono napoletano. Napoli è nella mia testa e nel mio cuore. Come si dice: puoi togliere un napoletano da Napoli ma non Napoli da un napoletano”.

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