I curdi sono stati protagonisti di una delle battaglie più significative della nostra epoca, combattendo contro lo Stato Islamico nel cuore del Medio Oriente. Tra il 2014 e il 2015, mentre il mondo assisteva tremante all’avanzata del cosiddetto califfato, i curdi si opponevano con tenacia. Case dopo casa, trincea dopo trincea, hanno sfidato i fanatici del califfo Ibrahim, sacrificando vite per fermare un regime totalitario che minacciava di radicarsi.
Ma oggi, a quasi un decennio da quella storica resistenza, la loro lotta è relegata a una nota a margine nelle agende geopolitiche delle grandi potenze. La memoria di Kobane, simbolo della resistenza curda, non si è tradotta in un impegno duraturo da parte della comunità internazionale.
La lotta continua: i curdi contro il risorgere del califfato
Anche se lo Stato Islamico è stato ridotto a un’ombra del suo passato, i curdi continuano a combattere per contenere una sua possibile rinascita. In Siria, sulle rive dell’Eufrate, circa 3 milioni di curdi mantengono il controllo di una regione fragile, con l’appoggio simbolico di un migliaio di soldati americani.
In campi come Al-Hol, i curdi custodiscono da otto anni 6.000 miliziani dello Stato Islamico e le loro famiglie. Tuttavia, questi campi sono diventati focolai di disperazione, violenza e nuove ideologie jihadiste. Le rivolte scoppiate recentemente ne sono un chiaro segnale: donne jihadiste chiedono di essere liberate, mentre i campi alimentano il reclutamento di nuove generazioni furibonde di vendetta.
La caccia ai curdi: un vecchio nemico e nuove ambizioni
A minacciare i curdi non sono solo i resti dello Stato Islamico. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan continua a perseguitarli, sia sul proprio territorio che al di là del confine siriano. Erdogan, sfruttando il caos della guerra civile in Siria, ha dispiegato la sua “Armata nazionale siriana” – un conglomerato di bande islamiste, compresi ex miliziani del califfato – per erodere il territorio curdo nell’Est della Siria.
Con il pretesto di creare una “zona di sicurezza” di 30 chilometri oltre il confine, Erdogan mira a distruggere l’autonomismo curdo e, al contempo, a risolvere un problema interno: ricollocare una parte dei 4 milioni di rifugiati siriani ospitati in Turchia, trasferendoli nelle case e nei campi dei curdi. Un’operazione che maschera un disegno etnico e geopolitico: ridisegnare il tessuto sociale della Siria settentrionale per indebolire la presenza curda e consolidare il proprio potere.
Un sacrificio ignorato
Dalla storica resistenza di Kobane alla lotta quotidiana contro le rinascenti milizie jihadiste, i curdi sono stati una trincea avanzata per il mondo libero contro il totalitarismo islamico. Tuttavia, il loro sacrificio non ha trovato un riconoscimento adeguato.
Gli equilibri geopolitici, le ambizioni di leader come Erdogan e l’apatia della comunità internazionale continuano a relegare i curdi in una posizione di isolamento, nonostante abbiano combattuto guerre che avremmo dovuto affrontare noi stessi.
La domanda rimane: quanto ancora potrà resistere questa “trincea dimenticata” prima che il peso del tradimento internazionale e delle ambizioni regionali la spinga definitivamente nell’oblio?