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Cronache

Il modello Albania piace a Ursula, ma è scontro in Ue

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“Il vento è cambiato, e soffia verso destra”. La sintesi di quello che a Bruxelles sta accadendo sulla migrazione arriva da un alto funzionario Ue che, sbottonandosi un po’ alla vigilia del summit Ue, ha fotografato così uno scenario ben visibile sin dalle Europee. Ed in questo contesto Giorgia Meloni ha ampia libertà di azione. Di più. Il modello Albania, che prevede il trasferimento dei migranti in hotspot con bandiera italiana ma fuori dai nostri confini, sembra convincere Ursula von der Leyen, che si prepara ad una stretta securitaria, con una corposa modifica della direttiva rimpatri.

Nella lettera che la presidente della Commissione, lunedì in tarda serata, ha inviato ai leader Ue c’è una sorta di vademecum dei prossimi passi di Bruxelles sulla migrazione. E c’è soprattutto, l’endorsement all’iniziativa italo-albanese. “Abbiamo dato il buon esempio”, il protocollo firmato con Tirana apre “una strada nuova, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo”, ha spiegato Meloni nelle comunicazioni in Parlamento. E al Pd che la contestava ha risposto ricordando che “la quasi totalità dei Paesi membri concordano con queste politiche, siete voi ad essere isolati”. Quasi contemporaneamente la Commissione spiegava che con le attuali norme comunitarie il modello Albania non è legalmente percorribile, ma l’esecutivo Ue “sta esaminando come regolamentare i rimpatri in Paesi terzi”.

Non sarà un esame facile. E l’endorsement di von der Leyen, seppur messo nero su bianco, per ora è più teorico che pratico. Alla Commissione, infatti, vogliono prima valutare con attenzione l’operatività del protocollo con Tirana che, come spiegato dallo stesso premier Edi Rama (“ho declinato altre richieste”), ha una sua specificità italiana. C’è inoltre un’altra faccia della medaglia in questa corsa alla Fortezza Europa. Ed è il volto di un’Ue ancora divisa, stretta tra la spinta dei falchi sulla migrazione, i dubbi di Berlino e Parigi, la resistenza della Spagna. Il dibattito rischia di sfociare in uno scontro aperto. Le conclusioni rischiano di ridursi a poche righe solo per evitare che saltino completamente. Lo stesso riferimento all’attuazione del Patto sulla migrazione e asilo non trova d’accordo tutti. E a complicare le cose c’è il fatto che, a presiedere la riunione, sarà Viktor Orban.

“La discussione sulla migrazione sarà il più delicato”, hanno ammesso fonti europee in vista di un vertice che, sul tavolo, avrà altri temi caldissimi, dall’Ucraina – con la presenza di Volodymyr Zelensky – alla guerra tra Israele e Hezbollah. Ma sulla migrazione il dato politico è dirimente. E dirimente è l’avanzare delle destre in quasi tutti i Paesi europei, che sta indurendo tutte le posizioni in campo. Non a caso, tra i 27, l’unica voce apertamente contraria al modello Albania è quella di Pedro Sanchez. “Siamo contrari ai centri di deportazione di migranti in Paesi terzi alla Ue”, ha scandito il premier spagnolo rivendicando il successo della politica migratoria di Madrid. Le parole di Sanchez coincidono perfettamente con la posizione dei socialisti, sempre più preoccupati dall’idea che la migrazione sia uno dei dossier sui quali il Ppe possa fare asse con i gruppi sovranisti. Ma anche all’interno del Consiglio europeo i Popolari sono numericamente in netto vantaggio e la sponda dei governi di destra, come quello italiano, appare sempre più salda.

Anzi, Meloni giovedì passerà all’offensiva. Con Danimarca e Olanda, l’Italia ha convocato una riunione a margine del summit Ue con i cosiddetti Paesi like-minded, ovvero con le cancellerie con le quali si può creare un fronte comune sulla migrazione. Alla riunione ci saranno una socialista, Mette Frederiksen, e un premier tecnico, Dick Schoof, che si regge però sui sovranisti capitanati da Geert Wilders. La riunione è in via di definizione, come i suoi partecipanti. Sicura è la partecipazione della Polonia, probabile quella di Austria e Grecia. La Germania è stata invitata ma difficilmente ci sarà. A Parigi, al momento, non risultano inviti. E senza l’ok franco-tedesco qualsiasi ipotesi di hotspot nei Paesi terzi non può avere vita facile.

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Cronache

Muore a 38 anni dopo intervento estetico in una clinica privata di Caserta

Sabrina Nardella, 38 anni di Gaeta, è morta durante un intervento estetico alla clinica Iatropolis di Caserta. Disposta l’autopsia per chiarire le cause del decesso.

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Sarà l’autopsia a stabilire con precisione che cosa ha provocato la morte di Sabrina Nardella (nella foto), 38 anni, madre di due figli piccoli, deceduta giovedì scorso nella clinica privata Iatropolis di Caserta durante un intervento di chirurgia estetica. La donna, residente a Gaeta, si era recata in Campania per sottoporsi a quello che le era stato prospettato come un intervento di routine, in anestesia locale e in day hospital.

Il malore improvviso e le indagini in corso

Durante l’operazione, però, Sabrina ha avuto un improvviso malore che l’ha portata a perdere conoscenza. I medici hanno tentato la rianimazione, ma ogni tentativo è stato vano. I vertici della clinica hanno subito avvertito i carabinieri, che su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno sequestrato la cartella clinica e identificato l’équipe medica. I componenti saranno presto iscritti nel registro degli indagati in vista dell’autopsia, che servirà a chiarire cause e responsabilità.

Una comunità sconvolta dal dolore

La città di Gaeta è sotto shock. Il sindaco Cristian Leccese ha ricordato Sabrina con parole di grande commozione: «Era una persona dolce, un’ottima madre, conosciuta e stimata da tutti. La sua improvvisa scomparsa ha lasciato un profondo vuoto nella nostra comunità».

I precedenti inquietanti della clinica

La clinica Iatropolis non è nuova a casi simili. Un anno fa, la pianista Annabella Benincasa è morta dopo 14 anni di stato vegetativo, conseguenza di uno shock anafilattico subito nel 2010 proprio in questa struttura. In quell’occasione, i medici furono condannati per lesioni gravissime. Altri episodi di reazioni avverse all’anestesia si sono verificati negli anni, alimentando polemiche sulla sicurezza degli interventi praticati nella clinica.

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Cronache

La Chiesa alla ricerca di un pacificatore: si apre il pre-Conclave

Nel pre-Conclave dopo la morte di Papa Francesco, i cardinali cercano un candidato pacificatore per superare le divisioni interne. Il nuovo Papa dovrà unire e guidare una Chiesa divisa.

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C’è un cartello immaginario, ma chiarissimo, all’ingresso delle Congregazioni pre-Conclave e della Cappella Sistina: «Cercasi un pacificatore». Dopo la grande partecipazione popolare ai funerali di Papa Francesco, la Chiesa si ritrova ora a dover voltare pagina, raccogliendo l’eredità di Jorge Mario Bergoglio e affrontando divisioni dottrinali e geopolitiche mai sopite.

Il bisogno di superare le contrapposizioni

Tra le fila dei cardinali c’è consapevolezza che riproporre schemi vecchi, come il conflitto tra “bergogliani” e “ratzingeriani”, sarebbe miope. Il nuovo Conclave si svolgerà in un contesto mondiale mutato, segnato dalle tensioni internazionali e dalla crisi dello schema pacifista di Francesco dopo la guerra in Ucraina. Il rischio è che ogni divisione interna colpisca ora direttamente il Collegio cardinalizio, senza più la figura del Papa a fungere da parafulmine.

Verso un candidato di compromesso

I 133 cardinali chiamati al voto, riuniti nelle Congregazioni generali, sembrano ormai consapevoli che difficilmente emergerà un candidato “forte” espressione di una sola corrente. Per evitare uno scontro estenuante, sarà necessario convergere su una figura di equilibrio, capace di pacificare e non di dividere ulteriormente. Anche la vicenda del cardinale Giovanni Angelo Becciu, condannato in primo grado ma il cui diritto al voto non è ancora chiarito, rappresenta un’ulteriore incognita.

L’immagine simbolo della riconciliazione

Emblematica è stata ieri, dentro la Basilica di San Pietro, l’immagine di Donald Trump e Volodymyr Zelensky che hanno parlato seduti uno di fronte all’altro. Un gesto di distensione tra due protagonisti di scontri aspri. Segno che, forse, anche nella Chiesa si può sperare in un Conclave capace di indicare al mondo una strada di unità e di riconciliazione. Papa Francesco, tanto amato quanto criticato, con la sua morte sembra aver lasciato non solo un’eredità da gestire, ma anche una lezione di pace.

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Cronache

Napoli omaggia Papa Francesco: murale, statua e una piazza a suo nome

Napoli rende omaggio a Papa Francesco con un murale a Largo Maradona, una statua dello scultore Domenico Sepe e la proposta di intitolare uno slargo a Capodimonte. Un legame profondo tra il Papa argentino e la città partenopea.

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Da Sud a Sud. Napoli si mobilita per onorare la memoria di Papa Francesco, il “Papa del Sud del mondo”, con una serie di iniziative che uniscono istituzioni, artisti e cittadini in un abbraccio simbolico alla figura del pontefice argentino. Una celebrazione che sottolinea il legame speciale tra la città partenopea e il Papa venuto dalla fine del mondo.

Il murale a Largo Maradona: Francesco e Maradona uniti in un abbraccio

Nel cuore dei Quartieri Spagnoli, a Largo Maradona, sta per nascere un murale che ritrae Papa Francesco e Diego Armando Maradona abbracciati, ispirato a una celebre fotografia. L’iniziativa è promossa da La Bodega de Dios, associazione che cura il sito simbolo del culto popolare dedicato al Pibe de Oro.
A realizzare l’opera sarà lo street artist argentino Juan Pablo Gimenez, già autore di numerosi ritratti di Diego. «Sarà un omaggio al Papa argentino nella città di Maradona – racconta Gimenez –. Conto di completarlo entro due settimane». Un segno tangibile dell’unione tra il sacro e il profano, tra la fede e la passione popolare che animano Napoli.

Una statua in bronzo per raccontare la speranza

Anche l’arte scultorea si mobilita. L’artista Domenico Sepe sta lavorando a una statua a grandezza naturale dedicata a Papa Francesco. «Sarà un’opera in bronzo che racconterà il tema della speranza – spiega Sepe –. Mi piacerebbe che fosse ospitata nel Duomo di Napoli o in un’altra chiesa cittadina». La scultura, nata da un’idea personale dell’artista, sarà completata subito dopo l’estate e rappresenterà un ulteriore ponte tra Napoli e il suo Papa.

In consiglio comunale la proposta di intitolare uno slargo

Anche il Consiglio comunale di Napoli si muove per rendere omaggio a Bergoglio. È pronta infatti una proposta per intitolare a Papa Francesco lo slargo davanti alla Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio a Capodimonte, nota anche come la “piccola San Pietro” per la sua somiglianza con la basilica vaticana.
Il documento, firmato dal consigliere Gennaro Demetrio Paipais del gruppo “Manfredi sindaco”, impegna il sindaco e la giunta ad avviare subito l’iter per la deroga alla norma che richiederebbe dieci anni dalla scomparsa per un’intitolazione. «Il rapporto tra Papa Francesco e Napoli è stato profondo e ricco di significati», si legge nella proposta, che potrebbe essere votata già nelle prossime ore con il consenso unanime dell’assemblea.

Un legame profondo tra Napoli e Papa Francesco

Le due visite pastorali di Francesco a Napoli hanno lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva, soprattutto tra i più fragili. Ora, in una città dove il sacro e il popolare si intrecciano senza confini, l’omaggio al Papa argentino assume un significato ancora più intenso, rendendo visibile la gratitudine di Napoli a chi ha incarnato la speranza dei popoli del Sud.

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