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‘L’aborto un delitto’, vicedirettrice Tg1 riapre scontro

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A poche ore dal caso Scurati si accende una nuova polemica politica che lambisce la Rai. E che riapre scontri, dubbi e malumori, anche nella maggioranza, che erano andati in scena dopo l’approvazione dell’emendamento al dl Pnrr sui consultori e lo stop ai successivi ordini del giorno di opposizione. A scatenare di nuovo il dibattito sono le parole pronunciate da Incoronata Boccia, vice direttrice del Tg1, alla trasmissione di Serena Bortone ‘Che sarà’.

Boccia – premettendo di rendersi conto di dire “parole forti” sostiene che “lungi dal giudicare le storie e le persone”, il suo giudizio è che sull’aborto “stiamo scambiando un delitto per un diritto”, si ha paura “di dire che è un omicidio” ma è quanto sostenuto anche da madre Teresa di Calcutta. Parole che scatenano l’immediata reazione delle opposizioni a partire dal Pd che le giudica, con la senatrice ed ex presidente delle donne democratiche, Cecilia D’Elia, “inaccettabili”. Ma c’è un problema che “riguarda i vertici Rai”, va giù ancora più dura la collega di partito e capogruppo alla Camera Chiara Braga: “può ancora ricoprire quel ruolo – chi offende le donne e le leggi?”.

Quelle di Boccia sono parole “inammissibili” e contro “l’autodeterminazione della donna”, anche per Alessandra Maiorino di M5s. Frasi che “sviliscono le conquiste delle donne disconoscendo una legge dello Stato”, dice senza mezzi termini Luna Zanella di Avs. A questo punto “vogliono censurare anche il Papa?”, è la replica ironica del sindacato Unirai. Mentre dal centrodestra si sottolinea – citando il caso Scurati – che l’opposizione si batte per la libertà di opinione ma a intermittenza. “La sinistra – accusano in una nota i componenti di FdI in commissione di Vigilanza Rai – a parole si schiera a difesa della libertà di pensiero e di espressione, ma nei fatti quando questa non incontra i suoi favori diventa il più zelante dei censori”. Su Incoronata Boccia – accusano – “è andato in scena un linciaggio mediatico”.

“E’ l’ennesimo episodio di intolleranza stalinista della sinistra”, attacca anche l’azzurro Maurizio Gasparri. Intanto dal governo e da Fratelli d’Italia si rivendicano le politiche sul fronte della natalità e della famiglia, a partire dai fondi che la ministra Eugenia Roccella ha annunciato di aver messo in campo per gli asili nido. “Decontribuzione, asili gratis dal secondo figlio – elenca il capogruppo di FdI Tommaso Foti – aumento dell’assegno unico, potenziamento del congedo parentale, sono alcune delle misure concrete sulle quali il governo di Giorgia Meloni ha deciso di investire”. Ma in ogni caso la riapertura del tema della legge 194 – alla vigilia della settimana che vedrà l’ok blindato al dl Pnrr in Senato – fa riemergere anche qualche distinguo nel centrodestra. Con FI e Lega da un lato e il partito della premier dall’altro.

“La legge 194 non si tocca”, puntualizza il leader azzurro Antonio Tajani. Una posizione ribadita anche dalla vice presidente del partito Debora Bergamini secondo la quale “la 194 è una delle leggi forse migliori che ci siano nei Paesi europei rispetto alla libertà di aborto delle donne”. Durante il voto sugli odg al decreto Pnrr – ricorda il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari – il partito di Salvini ha dato libertà di coscienza e alcuni si sono astenuti (così come Bergamini e Russo di FI). Questo – spiega Molinari – perchè il riferimento nel testo all’attuazione della legge ‘in tutte le sue parti’ poteva essere letto come il tentativo di dire “surrettiziamente” che si è contro la 194, una posizione che non è quella della Lega”. Per il partito la 194 non si tocca, “ci mancherebbe!” e, aggiunge Molinari, “dobbiamo sperare che anche il governo la pensi così”. Il testo del dl Pnrr passerà senza modifiche a Palazzo Madama. Ma è chiaro che il tema aborto potrebbe presto tornare al centro del dibattito.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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