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Politica

Alta tensione in Rai, l’Ad Sergio: provvedimenti drastici

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Una relazione per ricostruire i fatti, che dovrà essere pronta per domani, e poi “provvedimenti drastici”: nelle parole dell’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, in un colloquio con La Stampa, emerge in modo netto l’atmosfera di tensione che si respira a Viale Mazzini dopo lo stop al monologo dello scrittore Antonio Scurati sul 25 aprile. Un caso finito al centro del dibattito politico, tra le accuse di censura lanciate dall’opposizione e le richieste di chiarimento sul presunto compenso da 1800 euro chiesto dall’autore premio Strega. Del monologo bloccato “nessuno mi ha informato”, si sfoga l’Ad, che ha saputo della vicenda dal post della conduttrice di CheSarà, Serena Bortone, sui social.

“Possiamo anche discutere sulla richiesta di mille e 800 euro per un minuto in trasmissione”, ma “certamente non lo avrei censurato”. Piuttosto avrebbe chiesto “un riequilibrio” ai sensi della par condicio. “Chi ha sbagliato paga”, avverte Sergio, sottolineando come “da settimane” la Rai sia “vittima di una guerra politica quotidiana con l’obiettivo di distruggerla”. Sullo sfondo, le frizioni con il direttore generale Giampaolo Rossi, con il quale – stando alle ricostruzioni del Corriere della Sera – quindici telefonate non sarebbero bastate a trovare una linea comune sulla vicenda dopo la denuncia dello stop. La replica è stata così affidata al direttore Approfondimento, Paolo Corsini, che ha negato veti sul nome di Scurati, chiamando in causa le questioni economiche. Ma una nota interna all’azienda fa riferimento a “motivi editoriali”.

È prematuro ipotizzare quali provvedimenti siano allo studio. Ma è certo che la vicenda è diventata un boomerang: mentre si è riaccesa la polemica su democrazia e libertà di espressione, neofascismo e 25 aprile, il monologo è diventato virale, condiviso anche dalla premier Giorgia Meloni, che si è smarcata dai vertici Rai. “Chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno”, ha scritto su Facebook. Affermazioni che rilanciano l’ipotesi di un eccesso di zelo da parte dei dirigenti di Viale Mazzini. A Sergio chiede chiarezza l’Usigrai: fuori i nomi di chi vuole fare a pezzi l’azienda. Il sindacato punta il dito contro la direzione Approfondimento e rincara la dose con una nuova nota, letta in tutti i tg e gr, dopo quella del 17 aprile: “Il controllo dei vertici della Rai sull’informazione del servizio pubblico si fa ogni giorno più asfissiante”, si sottolinea, ricordando che l’assemblea dei Cdr ha proclamato lo stato di agitazione il 24 aprile e approvato un pacchetto di cinque giorni di sciopero.

“Nessun controllo sull’informazione e nessuna censura”, insiste la Rai nella nota di replica. “Il tentativo di strumentalizzare con polemiche sterili un caso montato sul nulla, rischia di vanificare il grande impegno che in questi mesi l’azienda ha profuso per migliorare il proprio assetto industriale ed economico e tutelare e valorizzare la grande tradizione del servizio pubblico”. Si fa sentire anche l’Unirai: “Chi grida oggi alla censura ieri cercava di imporre una visione unica”.

Con lo scrittore si schierano Francesca Fagnani (“Tutta ma proprio tutta la mia solidarietà a Serena Bortone e Antonio Scurati”, scrive su X) e Monica Maggioni, che avrebbe voluto Scurati oggi a In mezz’ora per parlare “di antifascismo, una parola chiave alla vigilia del 25 aprile, una parola alla base della nostra Costituzione”. Netta anche la presa di posizione dell’Associazione Italiana Editori: “Un Paese forte della sua democrazia non dovrebbe mai temere le opinioni degli scrittori, qualunque esse siano”, dice il presidente Innocenzo Cipolletta. E la rivista #Lucysullacultura pubblica il video in cui 53 scrittrici e scrittori italiani – da Chiara Valerio a Nicola Lagiia – leggono il monologo. Scurati intanto ha dato forfait alla Buchmesse di Francoforte, dove l’Italia sarà ospite d’onore: “Si è autoescluso, è una scelta che rispetto”, commenta il commissario straordinario del governo, Mauro Mazza.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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