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Ricostruzione post terremoto, è il prefetto Schilardi il commissario di Governo: amo Ischia, la farò rinascere

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Carlo Schilardi, 69 anni, origini leccesi, moglie funzionario della Direzione Investigativa antimafia di Bari, una figlia che ne segue le orme, è stato Prefetto di lungo corso e grande esperienza. Per conto dello Stato, da commissario di Governo, si è occupato del mostruoso contenzioso miliardario tra Stato e Consorzi che hanno fatto affari sulla Ricostruzione post terremoto in Campania, oltre ad aver retto prefetture importanti come Como, Ancona, Caserta, Bari. 
A quest’uomo, fine giurista e docente in legislazione locale presso l’Istituto Superiore di Polizia e la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, il premier Giuseppe Conte, pugliese come lui, ha affidato la responsabilità della ricostruzione post terremoto a Casamicciola, Lacco Ameno e in parte Forio. La decisione è stata presa nella seduta del  Consiglio dei Ministri ad un anno circa dal terremoto della sera del 21 agosto del 2017. Una scossa che uccise due persone, distrusse centinaia di case, creò 2600 sfollati, tutti ancora ospitati in strutture alberghiere o in case prese in affitto con il contributo della Protezione civile nazionale.
La scelta di Schilardi non è casuale. Dal 2006 il prefetto ha ricoperto incarichi delicati e di grande responsabilità in strutture governative, spesso create da lui, che si sono occupate di ricostruzione a seguito di eventi naturali come appunto terremoti o alluvioni. Ed è per questo che quando lo raggiungiamo al telefono, mentre studia le relazioni e gli atti già redatti sul terremoto dello scorso anno, la prima cosa che ci dice dopo che gli abbiamo fatto i complimenti e detto “in bocca al lupo” per un incarico assai difficile è stato: “Grazie mille, lo so che è un compito delicato, ma ho esperienza in emergenze”.
Con grande disponibilità ci concede un po’ di tempo per parlare appunto di ricostruzione ad Ischia. Quando diciamo di Ischia si entusiasma. “Ho lavorato per oltre dieci anni in Campania – racconta Schilardi – e non è mai terminata una stagione estiva senza aver trascorso almeno un weekend sull’isola di Ischia. Con mia moglie abbiamo visitato Ischia, Lacco Ameno, Ischia Ponte, Casamicciola, Forio. Ogni angolo dell’isola ci ha fatto innamorare sempre più di questi fantastici luoghi”.
Adesso però torna sull’isola per lavoro. Come si sta preparando Prefetto?
Sono già al lavoro. Ieri c’è stata la nomina in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a breve scriveranno il decreto. Ma sto già studiando. Ho seguito dai media il terremoto dello scorso anno. Ed ora sto approfondendo i provvedimenti adottati dal Commissario delegato della Protezione civile, le ordinanze che sono state emesse, i rapporti presentati alla Presidenza del Consiglio dove si sono le indicazioni su quelle che, a parere della Protezione civile, sono le linee guida da seguire per la ricostruzione. Questa mattina (ieri per chi legge) ho sentito i sindaci di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio per avere a disposizione tutti gli elementi utili per una visione chiara e complessiva.
Come intende procedere?
Bisogna, in primis, creare la struttura, darci delle norme comportamentali e degli obiettivi da raggiungere. Nel contempo è necessario ottenere sul piano normativo ciò che occorre per disciplinare gli interventi in emergenza. In pratica dobbiamo ottenere ciò che l’Aquila ha avuto e che per Ischia è stato rimandato.
 
La ricostruzione avverrà negli stessi luoghi dove sono crollate le case?
Questo non sono in grado di dirlo. Certe decisioni sono da prendere di concreto con le autorità locali. Non dimentichiamo che i sindaci sono i dominus del territorio. Questa risposta presuppone una presa visione dei luoghi, un colloquio con chi ha perso la casa, un confronto con i tecnici del Comune, della Regione e della Soprintendenza che al momento non c’è stato. È ancora presto per rispondere a questa domanda.
Dal punto di vista operativo, come intende muoversi? Cosa intende fare?
La settimana prossima ho appuntamento a Napoli con i Sindaci dell’isola e con i rappresentanti della Regione e della Soprintendenza per lavorare di intesa tutti insieme. Se lavoriamo d’accordo e ci aiutiamo sicuramente faremo qualcosa di buono. Dobbiamo prepararci per chiedere le dotazioni normative e finanziarie per la ricostruzione. Bisogna fare tutto con criterio. Fino ad oggi si è intervenuti per la prima sistemazione, ma non certo per la ricostruzione. Per questo sono qui. Recupereremo il tempo perduto anche avvalendoci dell’esperienza dell’Aquila. Pur con le dovute differenze, ci sono delle analogie ed una base comune dalla quale partire.
Mi permette di approfittare del giornale dell’isola, il Golfo, per fare un appello?
Saremo al suo fianco come giornale dell’isola, prego signor Prefetto, faccia lappello! 
Voglio ascoltare tutti. Conto sull’aiuto ed il sostegno affettuoso di tutti. Autorità, associazioni, cittadini, popolazione tutta. Non mi sottraggo al confronto con nessuno. Tutti i suggerimenti costruttivi per fare bene o meglio saranno accolti o comunque ascoltati. Sono qui per dare una mano alla popolazione ischitana con spirito di servizio. Amo l’Isola di Ischia. Per me non è una realtà qualsiasi. Io e mia moglie siamo innamorati di Ischia e lavorerò con ancora più passione per la gente di questa magnifica terra.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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