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Trump nei guai, non può pagare i 500 milioni di cauzione

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Se la giustizia negli Stati Uniti è davvero uguale per tutti, Donald Trump potrebbe presto ritrovarsi in una situazione comune a milioni di americani che non vantano un passato da magnate dell’immobiliare ed ex inquilino della Casa Bianca. Il tycoon, infatti, non riesce a trovare una compagnia assicurativa che gli faccia da garante per la sanzione da 454 milioni di dollari stabilita dalla sentenza del processo a New York per gli asset gonfiati.

Trump ha fatto appello contro la decisione del giudice Arthur Ergoron e ora ha tempo fino al 25 marzo per depositare la somma altrimenti la procuratrice di Manhattan Letitia James potrà ordinare il sequestro dei suoi beni. Una sola settimana per evitare il tracollo e racimolare una somma che i legali del tycoon hanno definito “senza precedenti” per una compagnia assicurativa. “Una cauzione di queste dimensioni costituisce un abuso della legge, contraddice principi fondamentali della nostra Repubblica e mina fondamentalmente lo stato di diritto a New York”, ha attaccato in una nota il portavoce della campagna, Steven Cheung.

“Il presidente Trump continuerà a combattere e sconfiggere tutte queste bufale orchestrate da Joe Biden e renderà l’America di nuovo grande”. Gli avvocati del tycoon hanno già contattato oltre 30 compagnie assicurative ma il punto è che l’ex presidente non dispone di liquidità sufficiente ad ottenere la garanzia ovvero oltre 550 milioni di dollari in contanti, azioni e obbligazioni. Sebbene Trump si vanti spesso della sua ricchezza, il suo patrimonio netto deriva in gran parte dal valore dei beni immobili, che le compagnie assicurative raramente accettano come garanzia. Secondo una recente inchiesta del New York Times, il tycoon possiede al momento circa 350 milioni di dollari in contanti, una cifra notevole ma molto al di sotto di ciò di cui ha bisogno. A questo punto potrebbe decidere di rivolgersi alla Corte Suprema di New York per ottenere più tempo, ma legalmente la procuratrice potrebbe comunque dare il via all’esproprio.

La scadenza imminente non potrebbe arrivare in un momento peggiore per Trump. Proprio la scorsa settimana ha finalizzato la garanzia da 91,6 milioni di dollari nella causa per diffamazione recentemente persa contro lo scrittore E. Jean Carroll impegnando con il colosso delle assicurazioni Chubb un conto di investimento presso Charles Schwab. Si tratta, molto probabilmente, di oltre 100 milioni di dollari in contanti, azioni e obbligazioni che ovviamente ora non può più usare in questo altro caso.

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Blinken in visita a sorpresa in Ucraina

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in visita a sorpresa in Ucraina. Il capo della diplomazia Usa è giunto stamattina a Kiev con un treno notturno dalla Polonia. E’ previsto un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo i giornalisti al seguito di Blinken. Si tratta del quarto viaggio in Ucraina del segretario di stato americano dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. La visita è intesa a rassicurare Kiev sul continuo sostegno degli Stati Uniti e a promettere un flusso di armi in un momento in cui Mosca sta conducendo una pesante offensiva nella regione nordorientale ucraina di Kharkiv.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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