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Assist di Scholz a Meloni, “giusto l’accordo con Tirana”

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Dalla Germania arriva una sponda inaspettata a sostegno dell’accordo sui migranti siglato da Giorgia Meloni con l’Albania. Una “non bocciatura” – tradotta dal linguaggio che diplomazia impone – che il cancelliere tedesco, il socialdemocratico Olaf Scholz, associa anzi alla disponibilità a seguire quel modello “con attenzione”. “L’Albania sarà presto membro dell’Unione europea – sottolinea il premier tedesco – e stiamo quindi parlando di come risolvere insieme sfide e problemi nella famiglia europea”. Da Scholz parole misurate ma chiare che irrompono nel congresso dei socialisti europei, a Malaga, e fanno rumore. Specie per la distanza che mostrano rispetto alla sinistra italiana che quel protocollo invece l’ha respinto, ipotizzando perfino l’espulsione del premier albanese Edi Rama dal Pse. Esulta allora il centrodestra. E non solo per l’assist di Berlino alla leader italiana. Evidente, per Fdi, lo schiaffo che Scholz sembra dare alla segretaria del Pd. Da qui il commento secco del presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti: “Elly Schlein non ne azzecca mai una”.

La leader Dem, protagonista della sua prima manifestazione da segretaria in piazza del Popolo glissa. E si limita a denunciare l’intesa: “viola la Costituzione” e di fatto non esiste “perché gli accordi devono passare dal Parlamento e non abbiamo visto nulla”. Il protocollo che prevede il trasferimento fino a 36 mila persone l’anno soccorse dalle autorità italiane verso due strutture in Albania, anima da giorni il dibattito politico. Anche per gli aspetti giuridici e gli eventuali precedenti che potrebbe creare nel resto d’Europa. Scholz non entra nel merito. Prima del modello albanese, cita l’esempio turco: “C’è la migrazione irregolare che deve essere ridotta, e ci sarà una stretta collaborazione con i Paesi al di fuori dell’Unione europea, come avviene ora, ad esempio con la Turchia, e potrebbero essercene altri”. Inevitabile allora la domanda sul centro di permanenza per i rimpatri che dovrebbe nascere a Gjader, di fronte alle coste pugliesi. Scholz ne fa “una questione di competenza dei governi italiano e albanese”. Ma non lo boccia a priori, convinto che “le regole prese in considerazione lì sono possibili”.

Quindi avverte: “Lo seguiremo con attenzione. Ciò che conta è istituire un meccanismo di solidarietà” nell’Unione “e non cercare di vincere le sfide da soli”. Un’apertura che lascia il socialdemocratico pressoché da solo nella convention del Pse. Tant’è che, in chiusura, è il presidente del Pse, Stefan Loefven, a riportare il partito in carreggiata: “La migrazione va gestita usando un framework progressista” ossia attraverso percorsi inclusivi e modi per rendere la migrazione “una vittoria per le nostre società e per i migranti”. Questa è la proposta dei socialisti, rimarca Loefven. E “non il modo in cui il governo dell’estrema destra in Italia vuole esternalizzare le richieste di asilo in Albania”. Nel centrosinistra italiano cala il silenzio, lasciando sostanzialmente a Schlein l’unico commento implicito alle parole di Scholz. Più loquace, ovviamente, la maggioranza.

Per Foti, Berlino “conferma, semmai ne avessimo avuto bisogno, la lungimiranza e la concretezza delle misure del governo Meloni contro l’immigrazione clandestina”. Forza Italia si concentra sulla bacchettata al Pd: “Scholz da una lezione di stile, oltre che politica, alla sinistra che oggi sbraita in piazza”, commenta Giorgio Mulè e aggiunge: “Le parole del cancelliere dimostrano che il cammino dell’Italia non è sbagliato e che anzi è un modello a cui guardare”. Si associa Igor Iezzi, numero due della Lega alla Camera: “E’ l’ennesimo autogol di Elly Schlein. Per noi non è una novità, ora lo sentiamo dire anche in Europa”. E fa notare come la proposta di sanzionare il premier socialista albanese “non ha trovato consensi né nel Pd ne negli alleati in Europa”.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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