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Hamas chiama alle piazze, si teme la rivolta araba

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Israele è pronta a tutto in quella che appare la resa dei conti con Hamas. Anche a fronteggiare una “rivolta araba”. E’ questo lo scenario drammatico evocato dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, nei giorni in cui la leadership di Gaza sta lanciando appelli al mondo arabo per una mobilitazione generale e una “marcia sulla Palestina”, in occasione del prossimo venerdì di preghiera. I civili israeliani, d’ora in poi, potranno girare armati, ha annunciato il falco dell’amministrazione Netanyahu. In una Gaza sotto assedio e tra i timori di un imminente attacco di terra dell’esercito israeliano, i fondamentalisti che comandano la Striscia tentano di mettere pressione lo Stato ebraico, invocando l’unità dei musulmani.

E’ necessario “andare nelle piazze del mondo arabo e islamico venerdì”, è il proclama lanciato dall’ex capo di Hamas Khaled Meshal. Che dal suo ufficio del Qatar, dove dirige la diaspora del movimento, si è rivolto ai popoli di Giordania, Siria, Libano ed Egitto: hanno il dovere più grande di sostenere i palestinesi, perché, ha sottolineato, “i confini sono vicini a voi”. Analogo appello, meno di 24 ore prima, era stato lanciato direttamente da Gaza: una partecipazione di massa a quello che è stato definito Al-Aqsa Flood Friday, dal nome dell’offensiva senza precedenti lanciata da Hamas in territorio israeliano. Il messaggio, diffuso anche sui social, è una sorta di manifesto dell’interminabile conflitto israelo-palestinese. In cui vengono chiamati a raccolta “i cittadini palestinesi della Cisgiordania occupata e di Gerusalemme Est”, per prendere parte “alle proteste di massa contro l’occupazione israeliana e i coloni”, in un raduno nel luogo simbolo, la moschea di Al-Aqsa, “per preservarne l’identità islamica”.

Il web è il canale più battuto per la propaganda, soprattutto per intercettare le nuove generazioni. Scendere in piazza “in nome dell’orgogliosa Gaza”, con molotov e pietre, è l’invito diffuso su diverse chat in arabo pro-Palestina da ‘Arin al Aswad’, letteralmente la ‘Tana dei Leoni’. Un gruppo armato della resistenza palestinese considerato dalle forze di sicurezza e dagli analisti israeliani responsabile di diversi attacchi ad obiettivi di Tel Aviv. Il messaggio sarebbe rivolto principalmente a chi si trova in Cisgiordania e nei Territori occupati ma, sottolineano fonti qualificate, “non è possibile escludere” che l’appello possa essere raccolto dai simpatizzanti del gruppo nel resto del mondo. Anche in Italia, dove vi sarebbero una serie di soggetti tenuti sotto monitoraggio da polizia e intelligence.

Rispetto ai venti di rivolta palestinese, l’ala più dura del governo israeliano ha lanciato un allarme su quella che potrebbe essere la replica, in dimensioni decisamente più ampie, del caos scoppiato a maggio 2021, quando la Corte suprema autorizzò lo sgombero di alcuni residenti dal quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme est. Con violenze che si svilupparono in città israeliane a popolazione mista ebraica ed araba. Il ministro Ben Gvir ha ricordato quella durissima protesta nel corso di una visita a Sderot, proprio vicino alla Striscia, per dire che “la guerra dimostra che occorre distribuire armi ai cittadini”. Ed ha spiegato di aver dato istruzione al capo della polizia di prepararsi ad affrontare una nuova insurrezione. “Penso che essa sia imminente”, ha detto Ben Gvir, annunciando di aver “dato ordine che da oggi tutti qui possano girare armati”.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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