Collegati con noi

Guerra Ucraina

Donbas, la guerra di posizione tra russi e ucraini

Pubblicato

del

Donbass. Una casa diroccata. Le linee russe a 2-3 chilometri. L’artiglieria romba. Nello scantinato l’unità di ricognizione dell’11esimo battaglione della 59esima brigata monitora il fronte coi droni. Per terra tappeti ornati orientali, ai muri schermi al plasma da un delirio di pollici; sui tavolacci pistole sovietiche, cartine geografiche e tazze di tè. La sensazione è quella di stare in una scena di Terminator girato però a Samarcanda.

“FPV kamikaze verso le nostre postazioni”, allerta via radio un ufficiale ucraino. “Ok, attiviamo le contromisure”. E si va avanti così, in una snervante partita a scacchi sino a che non si muovono i pezzi pesanti. Vadim comanda l’unità. Nella fondina ha una TT del 1936. “Ancora molto precisa sui 100 metri”, assicura. Nonostante gli aiuti miliardari scuciti da Usa e Ue si combatte a volte con articoli da museo. “Non bastano mai”, si lamenta Vadim. “Ho perso 29 droni in un mese, fatico a rimpiazzarli”. E senza occhi nel cielo non si corregge il fuoco di obici e mortai, non si scovano le sortite nemiche, non si vedono i macchinari per intralciare le comunicazioni: è quel conflitto di attrito 2.0 di cui parliamo da mesi, il mix tra ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’ e ‘Star Wars’ che sta riscrivendo i manuali militari.

Gli ucraini hanno messo a segno un buon colpo a nei pressi di Pisk, nel quadrante di Donetsk – sugli schermi di Vadim la vedi chiaramente, coi grattacieli sullo sfondo. Una posizione strappata ai russi. Pochi metri, una bandierina cambia di posto sulla cartina, manciate di vite perse da una parte e dall’altra. Poi si ricomincia da capo. Lasciamo il covo ucraino vicino alla linea zero per tornare a distanza di sicurezza, nelle retrovie. Proprio mentre corriamo a rotta di collo esplode una gomma del pick-up. Ci nascondiamo allora in un cortile, Oleksy e Andrei la sostituiscono al volo, ripartiamo in massimo 10 minuti. “Uff, è andata bene”, sfiata Andrei, un passato nelle forze speciali, tre figli che lo aspettano a casa e cinque concussioni riportate in combattimento con altrettante riabilitazioni in ospedale.

“La più dura è la prima, poi se riesci a fare pace con te stesso e superarla il resto scorre più facilmente”, confida. Andrei invece è il suo comandante. Davvero un bel tipo. Massiccio, fortissimo a scacchi, provatissimo da oltre un anno e mezzo di servizio ininterrotto, prestato da volontario. “Mi sono arruolato, di nuovo, dopo il 24 febbraio perché così pensavo di poter dare tempo ai rinforzi di arrivare. Invece non è arrivato nessuno e sono ancora qui”, racconta. “Ti chiedi se non sono stanco? Ho militato a Nikolayev, Kherson e ora nel Donbass. Sì, direi che lo sono”. Andrei è sempre serio, lo daresti quasi sul punto di perdere il controllo da un momento all’altro invece ha i nervi saldi e, se capita, il sorriso radioso di un ragazzo al mare. Non è esattamente chiaro quali siano i suoi compiti, resta molto sul vago quando ne parliamo, poi però si prende bene e mi mostra dei video sul cellulare di un drone terrestre cingolato sgancia-mine e altre diavolerie.

“Roba mia”, afferma orgoglioso. “Sì sì, scrivi pure del cingolato, sta già su internet, il resto zitto”. I militari ucraini si fidano tanto dei giornalisti stranieri, parlano molto, con sorprendente trasparenza. “Se le cose non cambiano, se voi occidentali non ci aiutate di più e se non si trasforma il modo di operare del nostro esercito, questa guerra la perdiamo”, dice esattamente così Andrei. Ecco, degli occidentali si sa. Il ritornello è sempre lo stesso: ‘Grazie ma non basta’. Esempio banale.

“La dottrina americana prevede prima di colpire con i missili da crociera, poi con l’aviazione, poi con le truppe di terra. Bene. Noi non abbiamo i primi due”, spiega Andrei. “La controffensiva è lenta? La facciamo a mano, per così dire. E noi ci teniamo alla vita della nostra gente, non come i russi che mandano i soldati a morire a migliaia: nessuna generale Nato sano di mente lo avrebbe fatto”. Sui problemi interni invece si sa meno. Andrei non si tira indietro. “C’è troppa burocrazia, ci metto mesi per avere un drone… e non è così roseo come dicono in tv, che attacchiamo e i russi scappano”.

La tenuta del fronte è una preoccupazione viva quaggiù. ‘Cosa accadrà se i russi sfondano e ci ricacciano oltre il Dnipro?’ è la domanda che serpeggia tra gli ufficiali. Cioè, l’Occidente lo ha capito che questa è una guerra anche sua oppure no? “L’Ucraina è il primo pezzo del domino, se cadiamo noi viene giù tutto, guarda cosa succede in Azerbaigian”, dice ancora Andrei. Irina annuisce. È medico e presta volontariamente servizio al fronte per insegnare ai soldati come reagire in caso di ferite gravi. “Le potenze firmatarie del trattato di Budapest dovrebbero aiutarci e basta: abbiamo rinunciato alle atomiche e ai bombardieri per quel pezzo di carta”, accusa. È furente. “La meglio gioventù ucraina sta morendo nelle trincee o ci sta perdendo il senno”. Ma per chi, esattamente?

Advertisement

Esteri

Trump: Zelensky vuole un accordo e rinuncerebbe alla Crimea. Putin smetta di sparare e firmi

Pubblicato

del

Volodymyr Zelensky è “più calmo” e “vuole un accordo”. È quanto ha riferito Donald Trump, secondo quanto riportato dai media americani, dopo il loro incontro avvenuto nella suggestiva cornice di San Pietro, a margine dei funerali di papa Francesco.

Un incontro positivo e nuove prospettive

Trump ha descritto l’incontro con il presidente ucraino come «andato bene», sottolineando che Zelensky sta «facendo un buon lavoro» e che «vuole un accordo». Secondo il tycoon, il leader ucraino avrebbe ribadito la richiesta di ulteriori armi per difendersi dall’aggressione russa, anche se Trump ha commentato con tono scettico: «Lo dice da tre anni. Vedremo cosa succede».

La questione della Crimea

Tra i temi toccati nel colloquio, anche quello della Crimea. Alla domanda se Zelensky sarebbe disposto a cedere la Crimea nell’ambito di un eventuale accordo di pace, Trump ha risposto: «Penso di sì». Secondo il presidente americano, «la Crimea è stata ceduta anni fa, senza un colpo di arma da fuoco sparato. Chiedete a Obama». Una posizione che conferma il suo approccio pragmatico alla questione ucraina.

L’appello a Putin: “Smetta di sparare”

Trump ha ribadito di essere «molto deluso» dalla Russia e ha lanciato un nuovo appello al presidente Vladimir Putin: «Deve smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo». Il tycoon ha anche rinnovato la convinzione che, se fosse stato lui presidente, la guerra tra Mosca e Kiev «non sarebbe mai iniziata».

Un contesto suggestivo

Riferendosi all’incontro tenutosi a San Pietro, Trump ha aggiunto: «È l’ufficio più bello che abbia mai visto. È stata una scena molto bella». Un commento che sottolinea anche la forza simbolica del luogo dove i due leader si sono parlati, all’ombra della basilica vaticana.

Continua a leggere

Esteri

Mosca: abbattuti 115 droni ucraini, un morto a Bryansk

Pubblicato

del

Mosca afferma che di aver abbattuto stanotte 115 droni ucraini sul territorio russo e che un civile è rimasto ucciso in uno degli attacchi effettuati dai velivoli senza pilota delle forze di Kiev, quello sulla città occidentale di Bryansk.

Secondo un comunicato del Ministero della Difesa di Mosca citato dall’agenzia di stampa russa Tass i droni ucraini sono stati intercettati sulle regioni di Bryansk (102), Kursk (due) e Belgorod (uno), sulla Crimea (nove) e sul Mar Nero (uno). Il governatore del Bryansk, Alexander Bogomaz, ha scritto su Telegram che “il regime di Kiev ha compiuto un altro atto terroristico questa notte” sul capoluogo di regione uccidendo “un civile” e ferendo “una donna”. L’attacco ha danneggiato anche alcune infrastrutture civili, ha aggiunto Bogomaz.

Continua a leggere

Esteri

Pressing degli Usa per la tregua, Mosca attacca l’Europa

Pubblicato

del

Il faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump nella Basilica di San Pietro, fortemente sostenuto anche dalla Santa Sede, ha ridato speranza agli ucraini di ottenere una pace che non sia una resa, ma il percorso continua ad essere pieno di incognite. Kiev in questa fase rilancia gli appelli ai partner per spingere Mosca ad accettare almeno una tregua, mentre il Cremlino prova a tenersi stretti gli americani assicurando che sulla soluzione del conflitto le posizioni sono “coincidenti in molti punti”, mentre sono gli ucraini e gli europei a voler mettersi di traverso.

A Washington, tuttavia, questo stallo viene vissuto con crescente insofferenza. Ed ora la nuova richiesta alle parti in conflitto è di accettare concessioni reciproche entro la prossima settimana. I colloqui tra Zelensky, Trump e i leader dei volenterosi, a margine dei funerali del Papa, hanno in qualche modo reindirizzato la pressione diplomatica verso la Russia. Tanto che lo stesso presidente americano, nel volo di rientro da Roma, si è lasciato andare ad un’insolita sfuriata nei confronti di Putin, accusandolo di “prendere in giro” gli sforzi di pace con i suoi raid sui civili, e minacciando nuove sanzioni. Mosca ha provato a schivare questi strali rimarcando le distanze all’interno del blocco transatlantico.

Ha iniziato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, assicurando che il lavoro con gli americani continua, “in modo discreto e non in pubblico”. E ricordando le convergenze tra le due potenze, a partire dall’idea che la Crimea sia russa e che Kiev non potrà mai entrare nella Nato. A rafforzare il concetto ci ha poi pensato Serghiei Lavrov. Il ministro degli Esteri ha accusato gli europei di “voler trasformare, insieme a Zelensky, l’iniziativa di pace di Trump in uno strumento per rafforzare l’Ucraina”, a dispetto delle idee della Casa Bianca. Mosca, in particolare, conta sul fatto che le rivendicazioni territoriali di Kiev, così come le garanzie di sicurezza, non interessino più di tanto a Washington.

Gli ucraini al contrario vogliono ricompattare i loro alleati. Zelensky, pur smentendo la resa nel Kursk, ha ammesso che la situazione al fronte è difficile per gli incessanti raid russi ed ha sottolineato che il nemico insiste nell'”ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato”. Nel frattempo il leader ucraino ha continuato a tessere la sua tela diplomatica. Così, in occasione dei funerali del Papa, ha cercato la sponda dei partner, ma anche del Vaticano. Come dimostrano gli incontri con il segretario di Stato Pietro Parolin ed il presidente della Cei Matteo Zuppi, che in passato erano stati mandati da Papa Francesco in missione a Kiev e l’arcivescovo di Bologna anche a Mosca.

Al termine dei quali Zelensky si è detto “grato per il sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina e anche al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al paese vittima. In seguito, l’ambasciatore ucraino, Andrii Yurash, ha fatto sapere che anche il faccia a faccia Zelensky-Trump ha “avuto il sostegno della Santa Sede: di tutti, non di una persona in particolare”. E se una trattativa diretta tra Mosca e Kiev ancora non appare all’orizzonte, gli Stati Uniti provano a stringere i tempi. “Questa settimana – ha spiegato il segretario di Stato Marco Rubio – cercheremo di determinare se le due parti vogliono veramente la pace e quanto sono ancora vicine o lontane dopo circa 90 giorni di tentativi”. E l’avvertimento è chiaro: “L’unica soluzione è un accordo negoziato in cui entrambi dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere e dovranno dare qualcosa che non vorrebbero dare. In questo modo si mette fine a una guerra e questo è quello che stiamo cercando di fare”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto