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Ucraini colpiscono Sebastopoli occupata dai russi, 5 morti e 151 feriti

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Le immagini trasmesse dalla Tv russa mostrano lo sconcerto e la paura dei bagnanti in spiaggia di domenica d’estate a Sebastopoli, citta della Crimea presa di mira con droni e missili da Kiev. Si sente il boato che scatena la fuga, poi i primi dettagli diffusi via Telegram che segnalano già morti e feriti mentre il ponte di Kerch che collega la Crimea alla Russia risulta bloccato. E Mosca tuona: è di Washington la responsabilità dell’attacco mortale a Sebastopoli con l’uso di missili americani Atacms, e tali azioni – afferma il ministero russo della Difesa – “non rimarranno impunite”.

Il bilancio dell’attacco si assesta poco dopo su 5 morti, tra cui tre bambini, con altri cinque bambini in terapia intensiva mentre in totale si contano 151 feriti, stando al governatore della città Mikhail Razvozzhayev. Tra le vittime ci sarebbe anche la figlia di Oleg Averyanov, il vicesindaco della città portuale di Magadan, rende noto l’agenzia Interfax citando il sindaco di Magadan, Yury Grishan. “Ci sono bambini tra le vittime, tra cui Sofia, 9 anni, la figlia del vicesindaco di Magadan. La bambina era in vacanza a Sebastopoli con i genitori”, scrive Grishan su Telegram.

Intanto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov fa sapere che il presidente russo Vladimir Putin è in contatto con il governo e i militari della Crimea: “L’obiettivo principale adesso è di offrire tutta l’assistenza necessaria ai feriti”, dice, mentre il ministero della Difesa russo incalza Kiev, che ha lanciato un “attacco terroristico” alle infrastrutture civili di Sebastopoli con l’uso di missili tattici Atacms che trasportavano munizioni a grappolo, afferma, spiegando che quattro missili sono stati abbattuti dai sistemi di difesa aerea russi, mentre un altro è esploso sopra la città.

Il senso poi delle responsabilità americane secondo Mosca sono presto spiegate: “Tutte le specifiche di volo per l’uso degli Atacms sono inserite dagli specialisti Usa sulla base dei propri dati di ricognizione satellitare. Per questo motivo la responsabilità dell’attacco missilistico deliberato contro i civili a Sebastopoli ricade innanzitutto su Washington che ha fornito queste armi all’Ucraina, e sul regime di Kiev, dal cui territorio è stato effettuato l’attacco”, sottolinea il ministero, conferendo chiaramente un senso tutto politico alle dinamiche militari, evocando e tornando così a stigmatizzare la recente decisione del presidente americano Joe Biden di dare il via libera all’utilizzo da parte di Kiev di armi americane per colpire in territorio russo.

Che la potenza di fuoco ucraina sia in parte migliorata o di sicuro potenziata da quando lo scorso aprile il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un pacchetto di aiuti militari cruciali per Kiev, lo dicono gli sviluppi sul terreno, tra cui il fatto che Ucraina sia riuscita a espugnare alcune posizioni russe riconquistando di recente aree a sud-ovest di Vovchansk che era stato a lungo un obiettivo primario dell’avanzata russa nei pressi di Kharkiv.

Le decisioni poi prese da diversi paesi occidentali di consentire a Kiev di colpire il territorio russo con le proprie armi hanno contribuito a fermare l’avanzata delle forze di Mosca lungo il fronte nord-orientale, sempre vicino a Kharkiv. Mentre sembra crescere anche la capacità degli ucraini di colpire su territorio russo: le forze armate ucraine hanno affermato di aver distrutto un magazzino russo, nella regione di Krasnodar a est della Crimea, utilizzato per il lancio di droni kamikaze di fabbricazione iraniana e per addestrare i soldati, uccidendo diverse persone nell’attacco. L’episodio risale a venerdì e nelle scorse ore Kiev ha portato immagini satellitari come prova della ‘missione compiuta’.

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Siria, decine di esecuzioni sommarie di fedeli di Assad

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E’ l’ora della resa dei conti in Siria. Il regime di Assad si è dissolto ma la guerra civile continua più violenta che mai, con la furia che si è scatenata contro gli aguzzini del deposto rais. Li sono andati a prendere nelle loro case, tirati giù dai nascondigli improvvisati. Trascinati in strada, a Latakia, porto nord-occidentale siriano per decenni descritto come la roccaforte dei clan alawiti associati al potere degli Assad. Membri di quelle che fino a pochi giorni fa erano le temibili mukhabarat, i servizi di controllo e repressione governativi, sono stati giustiziati con colpi di pistola alla tempia o raffiche di mitra su tutto il corpo.

Sorte analoga ma più cruenta è toccata ad altri esponenti degli apparati di sicurezza del regime: uccisi e i loro cadaveri trascinati a lungo per le strade di Idlib, roccaforte dei jihadisti ora al governo a Damasco, mentre la folla inferocita li prendeva a calci. Sono state decine le esecuzioni sommarie condotte oggi in varie regioni della Siria, in particolare nelle zone di Idlib, Latakia, Hama, Homs e Damasco. Una violenza che viene da lontano e che sta riemergendo con tutti i suoi veleni in queste frenetiche ore di vendetta, seguite all’euforia della “liberazione” delle ultime 48 ore.

Almeno 40 cadaveri accatastati con evidenti segni di tortura e con fresche tracce di sangue sono stati rinvenuti a Damasco nell’ospedale militare di Harasta. “Ho aperto la porta dell’obitorio con le mie mani ed è stato uno spettacolo orribile: una quarantina di corpi erano ammucchiati, con segni di terribili torture”, ha raccontato uno dei primi miliziani di Hayat Tahrir ash Sham giunto nel tristemente noto ospedale-mattatoio di Harasta. E’ anche il giorno in cui continuano a riemergere testimonianze scioccanti delle sevizie compiute per decenni dagli aguzzini del regime nei confronti dei detenuti politici nella prigione di Saydnaya.

Nel carcere-inferno è stata trovata una delle sale di tortura: una serie di corde da impiccagione rosse di sangue rappreso, una pressa meccanica per “schiacciare i corpi” senza vita, che venivano poi spostati nella “sala dell’acido e del sale”, dove “venivano sciolti”. Sull’onda di una rabbia antica e incistata nelle pieghe di una società violentata da troppo tempo, il leader dei miliziani jihadisti Ahmad Sharaa (Jolani) in mattinata aveva annunciato l’intenzione di pubblicare una lista dei “nomi degli ufficiali più anziani coinvolti nella tortura del popolo siriano”.

“Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni su alti ufficiali dell’esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra”, si leggeva nell’annuncio di Sharaa. Mentre il premier incaricato, Muhammad Bashir, ha promesso che il suo nuovo governo “scioglierà i servizi di sicurezza” del dissolto regime. Ma se gli ufficiali più anziani delle mukhabarat sono quelli che hanno maggiori risorse per fuggire all’estero o per nascondersi meglio, la furia si è abbattuta sui quadri medio bassi del sistema di repressione. “Lui è complice dei massacratori di Tadamon”, afferma un miliziano in uno dei video  indicando un presunto militare governativo, fermato dagli insorti. Il quartiere damasceno di Tadamon aveva visto nell’aprile 2013 l’uccisione di 41 civili da parte di soldati di Assad.

Come era emerso allora da una serie di video, confermati dagli inquirenti internazionali, le vittime erano state invitate a correre verso una fossa e in corsa venivano falcidiate da raffiche di mitra, cadendo morti nella fossa. In un altro filmato, girato nella località di Rabia, a ovest di Hama, due uomini, accusati di aver commesso crimini “contro i siriani”, sono circondati da uomini armati e in divisa. Urlano addosso ai due l’accusa di essere “maiali alawiti”. Seguono gli spari. Altre raffiche di fucili automatiche sono esplosi insistenti contro un camion aperto sul retro con a bordo miliziani filo-curdi catturati sul fronte orientale di Dayr az Zor.

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Corea Sud, arrestati capi della polizia nazionale e di Seul

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Il capo della polizia nazionale della Corea del Sud e quello di Seul sono arrestati per il loro ruolo nell’applicazione del decreto di breve durata sulla legge marziale del presidente Yoon Suk-yeol del 3 dicembre, dichiarata in serata e ritirata sei ore dopo per la bocciatura decisa dal Parlamento. E’ quanto riportano i media locali, ricordando che lo sviluppo è maturato a sole poche ore dalla presentazione della nuova mozione di impeachment contro Yoon da parte delle opposizioni guidate dal partito Democratico che dovrebbe essere votata sabato dall’Assemblea nazionale. In precedenza, l’ex ministro della Difesa e strettissimo collaboratore di Yoon, Kim Yong Hyun, è stato arrestato formalmente dopo che un tribunale di Seul ha approvato la misura cautelare nei suoi confronti per le accuse sul ruolo chiave ricoperto nell’imposizione della legge marziale e per abuso di potere. Kim è la prima figura di alto livello arrestata nella vicenda.

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Netanyahu alla sbarra, testimonianza fiume in tribunale

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Lo Stato di Israele contro Benyamin Netanyahu: per la prima volta un premier in carica si è seduto martedì al banco degli imputati per testimoniare in un processo, con numerosi capi d’imputazione, e rispondere ad accuse gravi che vanno dalla frode alla corruzione. Entrato alle dieci del mattino in una gremita e superprotetta aula del tribunale distrettuale di Tel Aviv, il primo ministro ha parlato per cinque ore difilato. Secondo round mercoledì dal primo pomeriggio fino a sera, e così via per tre giorni a settimana almeno per i prossimi 15 giorni. Come hanno stabilito i giudici respingendo tutti i ricorsi per rinviare (l’ultimo presentato da 12 ministri domenica) in cui si chiedeva di tener conto del delicato momento politico con la crisi in Siria e la guerra a Gaza in corso, che già gli è valsa una lunga dilazione.

Ad accogliere Netanyahu in aula, una folla di ministri e politici a sostegno. Presente anche Avner Netanyahu, il figlio più giovane del primo ministro, mentre la moglie Sara e il maggiore Yair sono a Miami. Fuori, davanti al tribunale, manifestanti divisi tra pro e contro: da una parte i familiari degli ostaggi con le foto dei loro cari ancora prigionieri a Gaza, dall’altra i pro-premier. Polizia a cavallo e sicurezza dappertutto.

Completo blu, spilletta degli ostaggi su un revers e bandierina israeliana sull’altro, parlando con la sua voce da oratore il primo ministro ha tentato di minimizzare le pesanti accuse ricordando a tutti che Israele sta affrontando problemi molto più grandi e ha già cambiato il volto del Medio Oriente: “Ora è la politica che conta, non la copertura mediatica positiva (per la quale è accusato di aver scambiato favori)”, ha detto perentorio.

Respingendo con veemenza l’immagine di uomo potente dedito a godersi i lussi, e descrivendosi come uno spartano servitore dello Stato, dedito alla lettura di libri di storia e biografie, uno che lavora 24 ore su 24, rinunciando al tempo con la sua famiglia: “Se ogni tanto fumo un sigaro, non ho tempo di finirlo. E per quanto riguarda lo champagne, non sopporto quella roba”, ha ironizzato riferendosi al capo d’imputazione secondo cui avrebbe ricevuto sigari e champagne dal magnate di Hollywood Arnon Milchan e dal miliardario James Packer.

Nel più grave dei tre casi a suo carico, il primo ministro è accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia perché avrebbe firmato un provvedimento favorevole al magnate dei media Shaul Elovitch, azionista di controllo di Bezeq, la più grande compagnia di telecomunicazioni israeliana, in cambio di una copertura positiva su Walla News, sito web di proprietà di Elovitch nel 2012. Secondo i pubblici ministeri, l’accordo sarebbe stato siglato durante una cena di 12 anni fa in cui Netanyahu e sua moglie Sara lo hanno ospitato. “Non c’è stato alcun accordo, niente di niente”, si è difeso Netanyahu, “con Elovitch e sua moglie Iris si è instaurato un legame, ma non la relazione stretta che è stata descritta.

All’epoca Walla si mostrò straordinariamente ostile. C’è un motivo per cui è stato chiamato ‘Walla Akbar'”, gioco di parole sulla frase in arabo Allahu akbar (Dio è il più grande). Poi ha voluto chiarire sulla moglie Sara (la quale, si racconta nei salotti di Tel Aviv, avrebbe un documento segreto che metterebbe nei guai Bibi se la tradisse): “Lei non interferisce nella politica né nei colloqui”. Lasciato il tribunale, Netanyahu ha ripreso le funzioni di capo del governo rilasciando dichiarazioni di fuoco e avvertimenti al nuovo regime siriano.

Nessuna parola invece sulle trattative in corso per liberare gli ostaggi, che i Paesi mediatori così come funzionari israeliani di alto livello danno a un buon punto, tanto da indicare una data per il rilascio: tra un mese (prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, insomma). Anche un’importante fonte egiziana ha riferito a Ynet che l’annuncio di un’intesa che porterà ad un cessate il fuoco a Gaza e al rilascio degli ostaggi è “molto vicina”.

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