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Economia

Primo documento Cnel sul salario minimo, no da Cgil

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I 60 giorni fissati dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per arrivare a “una proposta condivisa” sul salario minimo stanno per scadere e c’è il primo documento tecnico del Cnel. Seguiranno le linee d’azione che il 12 ottobre, in linea con la scadenza, saranno discusse dalla assemblea del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Le proposte quindi – salvo imprevisti – ci saranno, è sul “condivise” che ancora bisogna lavorare. Il primo documento ha visto il voto contrario della Cgil e l’astensione della Uil. “Non ho votato perché ritenevo non fosse opportuno approvare un documento che sanciva una spaccatura del mondo sindacale”, spiega il rappresentante della Uil al Cnel, Paolo Carcassi.

Il documento, approvato dalla Commissione per l’informazione, afferma “l’urgenza e l’utilità di un piano di azione nazionale, nei termini fatti propri della direttiva europea in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva” quale risposta tanto alla questione salariale per tutti i lavoratori quanto s sottolinea che il tasso di copertura della contrattazione collettiva che in Italia “si avvicina al 100%, di gran lunga superiore all’80%”, richiesto da Bruxelles. Inoltre cita dati Istat del 2019 secondo il salario medio orario è di 7,10 euro e quello mediano di 6.85 euro, in linea con i parametri europei.

Le distanze restano evidente tra i sindacati, con la Cgil e la Uil che si sono espresse a favore dell’introduzione di una soglia minima di 9 euro per la Cisl contraria perché teme un aumento del lavoro nero e un appiattimento delle retribuzioni medie. Il segretario della Cgil ha ribadito la sua posizione, dicendo che “siamo di fronte a un’emergenza salariale fondamentale”. Landini ha definito “un errore” scaricare sul Cnel il tema e sollecitato il governo a dire quello che vuole fare. Una richiesta che presto potrebbe essere accolta. Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto (FdI) ha detto di star valutando di “intervenire con delle proposte di maggioranza che non siano il salario minimo garantito” tout court, sulla base delle proposte del Cnel.

Un intervento di questo tipo potrebbe di fatto fermare di nuovo l’iter della legge proposta dalle opposizioni (con l’esclusione di Iv) alla Camera che, dopo la sospensione decisa dalla maggioranza in estate, è prevista andare in aula il 17 ottobre. Di fatto sarebbe un rinvio. Per esaminare la nuova proposta, il testo tornerebbe infatti all’esame della Commissione e finirebbe così in coda alla sessione di bilancio per la manovra, che impegna il Parlamento fino alla fine dell’anno. La segretaria del Pd, Elly Schlein non si arrende: “continueremo la battaglia per un salario minimo”, ha detto, serve a quei tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori che in Italia sono poveri anche se lavorano e “non è un destino accettabile”.

Per la ministra del Lavoro, Marina Calderone, il punto centrale è la qualità della contrattazione per un salario dignitoso. Questo è, secondo la ministra, ben più del salario minimo e il concetto a cui si richiama la corte di cassazione, con la sentenza dove ha affermato che a fronte del lavoro povero il magistrato può individuare un “salario minimo costituzionale”. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha definito questi temi “molto importanti”, “vanno affrontati ma vanno affrontati con serietà”, ha detto chiedendo un’operazione verità sui contratti e ribadendo che quelli di viale dell’Astronomia sono sopra i 9 euro l’ora.

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Economia

Giorgetti da Vestager, Ita-Lufthansa ancora in salita

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Un’altra fumata grigia. Al termine del faccia a faccia tra Giancarlo Giorgetti e Margrethe Vestager, la Commissione europea non usa nemmeno le formule di facciata che di solito descrivono i colloqui politici. Tanto basta a lasciar intravedere una strada ancora in salita per il placet alle nozze tra Ita e Lufthansa. Il governo, si è limitato a dire il titolare del Tesoro all’uscita da Palazzo Berlaymont, ha “ribadito” la sua posizione all’Ue. E adesso aspetta “il verdetto”, in arrivo entro il 4 luglio. Nel mezzo però ci sono ancora quasi due mesi: l’ultimo pacchetto di impegni su slot e rotte presentato la scorsa settimana, nel giudizio che trapela a Bruxelles, “non è ancora sufficiente”.

Tuttavia, è la sollecitazione, le parti hanno ancora tempo per apportare miglioramenti. Lasciato l’Ecofin, il ministro dell’Economia si è presentato a Palazzo Berlaymont per la seconda volta nel giro di quindici giorni. Sul tavolo, i persistenti timori dell’antitrust che da qualche giorno ha avviato il market test. Il caso è “complesso”. E il negoziato, stando alle indicazioni offerte da alcune fonti vicine al dossier, resta incagliato sui tre fronti più problematici. Davanti al rischio di posizione dominante di Ita e Lufthansa a Milano-Linate, nel giudizio della squadra di Vestager manca ancora una soluzione solida che permetta di far subentrare un vettore capace di stabilirsi come presenza “credibile”.

Le proposte di compromesso messe sul piatto dalla compagnia di Carsten Spohr e dal Mef per aprire alle rivali sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale restano poi da perfezionare. E, allo stesso modo, non convince del tutto l’idea di congelare soltanto in via temporanea – per due anni – l’alleanza tra la compagnia della gru e la newco sorta dalle ceneri di Alitalia sui lunghi collegamenti da Fiumicino con destinazione Stati Uniti e Canada, dove Lufthansa detiene già un’ampia porzione di mercato con la sua joint venture formata con United Airlines e Air Canada. Per capire se sia possibile raggiungere un punto di caduta prima del 4 luglio servirà altro tempo. “E’ sempre complicato, bisogna sempre avere tanta pazienza”, ha osservato Giorgetti. A Bruxelles però l’avvertimento che circola è chiaro: c’è ancora tempo per lavorare. A patto che ci sia “la volontà delle parti”, Lufthansa in testa.

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Economia

Guerra spinge la Difesa, boom in Borsa e ricavi record

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La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente hanno fatto aumentare la domanda e la spesa per il settore della Difesa nel 2023 ha toccato il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari (+6,8%), quanto il 2,3% del Pil mondiale. L’impatto sui bilanci dei big del comparto e sulle loro quotazioni in Borsa è la diretta conseguenza. Per il 2024 gli analisti dell’Area Studi Mediobanca, hanno previsto un ulteriore incremento dei ricavi (+6%). Nel quadriennio 2019-2023 il rendimento azionario dei big della Difesa è cresciuto del 68,7%, il doppio del +34,8% segnato dall’indice azionario mondiale ed è proseguito nel primo trimestre di quest’anno (+22,8%), un rendimento tre volte superiore al +7,1% dell’indice azionario mondiale, con i gruppi europei (+42,3%) di gran lunga davanti a quelli statunitensi (+8,6%).

Il panorama resta però dominato dai big statunitensi con una quota del 74% del totale, seguiti dai gruppi europei con il 22% e da quelli asiatici con il 4%. Gli Stati Uniti, con 15 player, si aggiudicano il primato anche a livello numerico davanti alla Francia, distanziata con tre società; due gruppi ciascuno per Germania, Gran Bretagna, India e Italia che conta per il 19% del giro d’affari europeo e per il 4,2% di quello mondiale. Lockheed Martin (55 miliardi di ricavi) è la regina del settore ma nella Top 10 entra anche Leonardo (in ottava posizione con 11,5 miliardi) e in 25esima Fincantieri (2 miliardi). L’Italia nel 2023 ha speso nel 2023 “35,5 miliardi di euro per la Difesa, pari a 97 milioni al giorno, con incremento del +5,5% atteso per il 2024”. Nella classifica globale è 12esima (con l’1,5% della spesa mondiale) mentre il 37,5% fa capo agli Stati Uniti (916 miliardi), seguiti da Cina con il 12,1% (296 miliardi), Russia (4,5%), India (3,4%) e Arabia Saudita (3,1%).

La classifica cambia se si considera l’incidenza sul Pil della spesa: di gran lunga al primo posto si colloca l’Ucraina con il 36,7%, la Russia è in settima posizione (5,9%), gli Stati Uniti in 22esima (3,4%), la Cina in 69esima (1,7%) e l’Italia in 75esima (1,6%, era 1,4% nel 2013 e 2,8% nel 1963). “Come richiesto dalla Nato nel 2014, l’Italia sta progressivamente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del Pil entro il 2028” ricorda la ricerca. La conclusione è che l’industria europea è sostanzialmente subalterna a quella americana per inferiori spese degli Stati membri, frammentazione istituzionale delle politiche di Difesa nazionali e scarsa propensione a cooperare. “Rendere più competitive le imprese comporta un consolidamento industriale e un incremento dei progetti congiunti, i cui vantaggi si misurano in termini di maggiore efficienza ed economia di scala e migliore interoperabilità – concludono gli analisti dell’Area Studi Mediobanca – Investire nella Difesa ha un ritorno non solo in termini di sicurezza, ma anche in termini di resilienza, competitività industriale e di presidio delle verticali tecnologiche.”

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Usa, Boeing viola accordo per evitare accuse incidenti 737 Max

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Boeing ha violato il patteggiamento che le aveva consentito di evitare un procedimento penale dopo i due incidenti del 737 Max che hanno causato oltre 300 morti: il Dipartimento di Giustizia americano ha detto a una corte federale del Texas che l’azienda aeronautica statunitense non ha effettuato le modifiche necessarie per evitare la violazione delle leggi antifrode, uno dei requisiti del patteggiamento del 2021. Il Dipartimento di Giustizia dovrà ora decidere se presentare accuse o meno. “Il governo ha stabilito che Boeing ha infranto gli obblighi non attuando un programma di compliance per prevenire e individuare violazioni alle leggi anti frode americane”, ha detto il dicastero Usa.

 

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