Al mare sì, ma solo in costume da bagno: in acqua non si entra vestiti. Per la sindaca di Monfalcone, a Gorizia, Anna Maria Cisint, è “una questione di decoro”. Il messaggio è rivolto alla comunità musulmana locale. In una lettera aperta le sue parole non lasciano scampo a interpretazioni: tutti “hanno l’obbligo” di rispettare le regole e gli usi del posto, seguiranno provvedimenti ad hoc, per far cessare una pratica inaccettabile “a tutela delle città”. Una presa di posizione netta quella dell’esponente della Lega, che già in passato si era distinta per decisioni controverse. Sullo sfondo una Monfalcone caratterizzata da una forte presenza di stranieri, per lo più bengalesi, trainata dai cantieri navali. Ma mentre a Monfalcone si spinge sull’acceleratore, dalle altre città balneari, da nord a sud, i sindaci frenano. Claudio Kovatsch (Grado) invita a rispettare le altre culture, mentre Enzo Ferrandino (Ischia) ricorda che anche sua nonna faceva il bagno vestita. “Ognuno credo debba essere libero di vivere il mare come meglio si sente di fare”, è il punto di vista di Jamil Sadegholvaad (Rimini), mentre Laura Giorgi (Lignano) non commenta la decisione della collega e si limita a precisare di non aver mai ricevuto segnalazioni in tal merito dalle spiagge locali.
Ma l’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia) promette una battaglia legale. “Rivolgo una domanda alla prima cittadina – polemizza il presidente Yassine Lafram – : ma se un gruppo di finlandesi, bionde e con gli occhi azzurri, arrivasse con una tuta da sub e facesse il bagno sulla spiaggia di Monfalcone, questo rappresenterebbe un problema per il decoro?”. Si infiammano anche altri esponenti politici: “Cisint alimenta tensioni con la comunità musulmana”, osserva la consigliera Fvg Rosaria Capozzi (M5S). “La sindaca si occupi piuttosto degli sversamenti di idrocarburi in mare”, è l’invito del segretario regionale di Si, Sebastiano Badin. Il preambolo da cui parte Cisint è lo slancio turistico che la città sta vivendo. In particolare, sottolinea la prima cittadina, “la spiaggia di Marina Julia è diventata meta di turisti e appassionati di sport acquatici.
Pertanto è inaccettabile il comportamento degli stranieri musulmani che entrano abitualmente in acqua con i loro vestiti”: una pratica che sta determinando sconcerto e che crea insopportabili conseguenze dal punto di vista della salvaguardia del decoro”. E ancora: “Non possono essere accettate forme di ‘islamizzazione’ del nostro territorio”, che “incidono negativamente sull’attrattività”. L’obiettivo della sua lettera, precisa, è scongiurare fratture tra “la grande maggioranza dei monfalconesi e la componente islamica”: no a una “città nella città”, né a “discriminazioni all’incontrario”. “L’Amministrazione sarà rigorosa nel far rispettare le disposizioni comunali e nel pretendere dalle grandi realtà produttive, a cominciare da Fincantieri, un diverso governo dei flussi”, conclude. Cisint è stata riconfermata alla carica di sindaco l’anno scorso con oltre il 70% delle preferenze raggiunte al primo turno. Nel 2018 era stata criticata per aver fissato un tetto del 45% alla presenza di stranieri nelle scuole cittadine, di fatto escludendo 60 bimbi dagli istituti dell’infanzia. Nei mesi successivi, dopo aver tolto dalla biblioteca comunale il Manifesto e Avvenire, aveva avviato una sorta di monitoraggio delle scuole perché troppi professori di sinistra criticavano apertamente le sue ordinanze. E sempre in tema di istruzione, lo scorso marzo aveva scritto al ministro Giuseppe Valditara per ribadire la gravità che durante il Ramadam i bambini dovessero digiunare in mensa e per lunghi periodi.
Le polemiche sul presunto conflitto di interessi del sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato continuano ad alimentare un acceso dibattito. Il caso è esploso dopo un post su Instagram della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha puntato il dito contro la doppia veste di Gemmato: da un lato socio di cliniche private e dall’altro sottosegretario alla sanità pubblica. Secondo Schlein, questa duplice posizione sarebbe un chiaro segnale di come il governo stia favorendo la sanità privata a discapito di quella pubblica, con pesanti conseguenze sui cittadini.
Schlein: “È un insulto per i 4,5 milioni di italiani che rinunciano a curarsi”
La leader del PD ha sottolineato come, a suo dire, la destra italiana stia seguendo un “preciso disegno” per indebolire la sanità pubblica. Schlein afferma: “Lo abbiamo sempre detto. La destra non sta smantellando la sanità pubblica per sciatteria, ma per un preciso disegno. E chi ci guadagna? Solo loro, la destra.” In particolare, ha criticato il fatto che una clinica privata, di cui Gemmato sarebbe socio, pubblicizzi tempi d’attesa ridotti per attrarre pazienti, in un contesto in cui 4,5 milioni di italiani hanno già rinunciato alle cure proprio a causa delle lunghe liste d’attesa nel sistema pubblico. Schlein ha infine chiesto le dimissioni di Gemmato, definendo “inaccettabile” il suo ruolo di amministratore pubblico con interessi diretti nella sanità privata.
Gemmato risponde alle accuse: “Nessun conflitto di interessi”
Non si è fatta attendere la risposta del sottosegretario Marcello Gemmato, che ha respinto fermamente le accuse di conflitto d’interessi, pubblicando un post su Facebook. Gemmato ha specificato di possedere solo il 10% delle quote della clinica in questione, senza avere alcuna responsabilità gestionale o, tantomeno, legami diretti con i contenuti pubblicati dal sito della clinica. Ha inoltre dichiarato che il Garante della concorrenza avrebbe già confermato l’assenza di un vero conflitto d’interessi.
Nel suo post, Gemmato ha attaccato duramente la sinistra, descrivendola come “bugiarda e rancorosa”. Secondo il sottosegretario, il problema delle liste d’attesa è il risultato di anni di “mala gestione” della sanità pubblica da parte dei governi di sinistra. Ha ribadito che il governo Meloni, in collaborazione con il ministro della Salute Schillaci, sta lavorando per affrontare questo problema e migliorare l’efficienza della sanità pubblica.
Una manovra “inadeguata”: Cgil e Uil scendono in piazza, di nuovo senza la Cisl, e contro le scelte messe in campo dal governo Meloni. E per chiedere di cambiare la legge di Bilancio tornano a proclamare insieme lo sciopero generale: la data è quella di venerdì 29 novembre. Una decisione che incide con un’ulteriore frattura sul fronte sindacale, cristallizzando posizioni assai diverse, e che riaccende lo scontro con la maggioranza. “Direi che c’è un piccolissimo pregiudizio”, ironizza la premier Giorgia Meloni, che intervistata da Bruno Vespa indica i temi in manovra che ai sindacati dovrebbero piacere e sottolinea che la protesta arriva prima della convocazione prevista per martedì a Palazzo Chigi.
La Lega, poi, non usa mezzi termini e respinge ai mittenti le ragioni della protesta: “Sindacati ridicoli, scioperano contro l’aumento dei redditi”. La mobilitazione potrebbe, al contrario, trovare la sponda dell’opposizione, come già successo più volte, anche nelle ultime piazze. Otto ore di stop e manifestazioni territoriali accompagneranno lo sciopero generale mentre la politica inizia ad immaginare le modifiche alla legge di Bilancio che, per ora, sembrano riguardare le criptovalute e l’introduzione dei rappresentanti della Ragioneria nelle società che ottengono aiuti pubblici.
Arriveranno con gli emendamenti entro l’11 novembre con l’obiettivo di chiudere la manovra prima di Natale. Ma i temi delle modifiche sembrano davvero distanti da quelli dello sciopero generale, il quarto consecutivo di Cgil e Uil contro la manovra: lo avevano fatto a dicembre 2021 quando c’era il governo Draghi, e poi a dicembre 2022 e a novembre 2023 con il governo Meloni. Ora di nuovo a fine novembre. La piattaforma è una sfilza di critiche su fisco, salari e pensioni, sanità, sicurezza sul lavoro. Si chiede di cambiare la manovra che non risolve i problemi del Paese, anzi lo “porta a sbattere”.
Pierpaolo Bombardieri Segretario Generale Uil, Maurizio Landini Segretario Generale Cgil. Foto imagoeconomica
Si dice no ai tagli e si rivendica l’aumento del potere d’acquisto, il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali. Bisogna prendere “i soldi dove sono”: extraprofitti, rendite e grandi ricchezze, evasione. Non è sufficiente inoltre la conferma del taglio del cuneo fiscale.
“Due sindacati di estrema sinistra scioperano contro l’aumento dello stipendio per 14 milioni di dipendenti fino a 40mila euro di reddito?”, è la replica della Lega. Risponde anche la premier che parla di riduzione del precariato’, aumento dei salari”, taglio del cuneo e soldi sui redditi più bassi, aumento dell’occupazione femminile e di 3,6 miliardi presi dalle banche. E potrebbe non bastare la convocazione a Palazzo Chigi per martedì 5 novembre.
Da lunedì 4 partono le audizioni alla Camera, che si chiudono il 7 con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Una convocazione considerata tardiva e che rischia di essere solo “una informativa”, attaccano ancora Landini e Bombardieri (nella foto imagoeconomica in evidenza) che vedono pochissimi margini di cambiamento e ovviamente – dice il leader Uil – si è pronti a rivedere la decisione dello sciopero se il governo dovesse accettare le proposte. All’opposto il giudizio della Cisl, che con il leader Luigi Sbarra rimarca i punti positivi: gran parte dei 30 miliardi della manovra è concentrata su “interventi coerenti con le nostre richieste”.
Non mancano le scintille con Landini. A farle partire le parole del leader della Cgil: “Se altre organizzazioni pensano che il compito sia dire sempre al governo ‘come sei bravo e bello’, io invece penso che bisogna tutelare gli interessi dei lavoratori”. Parole che “offendono” la Cisl, replica Sbarra, consigliandogli “di rivestire i panni del sindacalista e di smetterla di fare da traino ad un’opposizione politica che non ha bisogno di collateralismi”.
I dossieraggi sono “uno schifo che deve finire”. Ma, ancora peggio dell’intrusione nelle banche dati, sono i “funzionari infedeli” che le dovrebbero proteggere. Giorgia Meloni, di fronte a quanto sta emergendo con le inchieste di Milano “e ora forse anche di Roma”, assicura che il governo sarà “implacabile” non solo con chi si presta alla compravendita di dati che era iniziata “da tempo”, ma anche con chi ha la responsabilità del “controllo”.
Contromisure già erano state prese, ricorda la premier da Bruno Vespa, prima a Cinque minuti e poi a Porta a Porta, con un primo decreto legge cui seguiranno “altre iniziative”, sulle quali è al lavoro “un tavolo tecnico ad hoc”. Si continuano a vedere, fa l’elenco la presidente del Consiglio, “casi di ogni genere”, dal “finanziere distaccato alla Direzione Nazionale Antimafia che faceva decine di migliaia di accessi, che dossierava tutti i politici di centrodestra che si pensava potessero andare al governo”, cioè Pasquale Striano, “poi c’è stato il caso del dipendente della banca che entrava nei conti correnti, tutti quelli della mia famiglia ovviamente”.
Ora queste nuove inchieste mettono in luce la situazione “inaccettabile”, non solo del “funzionario che anziché proteggere viola le banche dati”, ma altrettanto del “superiore non si accorge che vengono fatte centinaia di migliaia di accessi abusivi”. Mettere un freno è una “priorità” per la premier, tanto quanto combattere l’immigrazione illegale nonostante le argomentazioni “da volantino propagandistico” del Tribunale di Bologna, che ha rinviato il decreto legge sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea per chiedere quale sia il parametro su cui individuarli.
“L’argomento della Germania nazista è efficace sul piano della propaganda, sul piano giuridico è più debole”, dice la premier, che cita anche il “surreale pronunciamento del Consiglio d’Europa” sul razzismo presente nelle forze di polizia italiane. Di questo passo, il suo ragionamento provocatorio, “anche l’Italia potrebbe non essere un Paese sicuro” e “la faccio io tra un po’ l’istanza perché anche in Italia abbiamo qualche problema in qualche territorio circoscritto”. Si tratta, “per alcuni” – insiste Meloni – di tentativi di “impedire di fermare l’immigrazione irregolare”.
Ma “sono convinta che la ragione per cui si sta facendo qualsiasi cosa possibile per bloccare il protocollo con l’Albania, è che tutti capiscono che è la chiave di volta per bloccare le migrazioni irregolari”, tanto che “è la prima volta – rivela – che ricevo minacce di morte dagli scafisti”. Galvanizzata dal successo in Liguria (“Siamo 11 a 1 per il centrodestra tra Regionali e elezioni nelle Province autonome”), e pronta ad affrontare referendum “su tutto”, la premier in oltre mezz’ora nel salotto tv torna a difendere la manovra contro cui i sindacati hanno – ironizza – un “piccolissimo pregiudizio”, e respinge le accuse di avere imposto “tagli alla sanità”: le risorse aumentano “di 22 miliardi” rispetto al 2019, rivendica la premier che poi sbaglia però i conti, telefonino alla mano, per dimostrare che anche la spesa pro capite aumenta.
Un’accusa la lancia invece lei a John Elkann, per aver disertato l’audizione in commissione: “Questa mancanza di rispetto verso il Parlamento me la sarei evitata”. Un passaggio, di nuovo, anche su Raffaele Fitto, in attesa del test delle audizioni al Parlamento europeo per la conferma del suo incarico come nuovo Commissario e vicepresidente: “Il Pd – dice la premier – dovrebbe farsi sentire di più” perché “io escludo che la posizione” dei Dem sia quella dei socialisti europei che si dicono “chiaramente contrari al fatto che l’Italia abbia una vicepresidenza”.