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Quarta rata del Pnrr a rischio, governo cambia obiettivi

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Una revisione preliminare degli obiettivi, per evitare lungaggini nelle verifiche e limitare i rischi che incombono sul Pnrr. Da oltre sei mesi in attesa della terza rata, il governo vara un “cambio di metodo” e sceglie questa soluzione per la tranche successiva, da 16 miliardi di euro. Il ministro Raffaele Fitto la annuncia come una svolta dopo la cabina di regia convocata d’urgenza dall’oggi al domani, non appena trovata l’intesa informale con la Commissione europea sulle modifiche a 10 dei 27 obiettivi previsti per il primo semestre 2023. E coglie l’occasione per ribattere agli attacchi delle opposizioni, chiarendo che sui ritardi non ci sono “riferimenti oggettivi imputabili” a questo esecutivo e promettendo di presentarsi martedì prossimo in Parlamento per la relazione semestrale. “Siamo all’emergenza nazionale: Azione è pronta a collaborare in ogni modo ma per favore smettiamola con il ‘tutto bene'”, dice Carlo Calenda, proponendo di usare il “suo” meccanismo di Industria 4.0 per far diventare il Pnrr il nostro Inflation Reduction Act.

Da Fitto “inutili giri di parole”, taglia corto il M5s. Mentre Avs e Pd chiedono che Giorgia Meloni “riferisca urgentemente al Parlamento sulle revisioni al Pnrr”, con accuse di “approssimazione” al governo, legate anche ai tempi incerti della quarta rata. Fitto respinge gli attacchi. “Al momento tre Paesi hanno chiesto il pagamento della terza rata, Spagna, Italia e Grecia, e nessuno ha chiesto quello della quarta. Se noi siamo in ritardo, gli altri che situazione hanno?”. Se tutto andrà come lui si augura, aggiunge, “saremmo il primo Paese a chiedere la quarta”. E verrà richiesta “intera, non immaginando un definanziamento”, assicura smentendo che l’Italia avrebbe potuto ottenere la terza rata rinunciando a una parte dei fondi. Il ministro, però, deve ammettere che l’intesa con la Commissione Ue su queste modifiche non è accompagnata dalla promessa di liquidare le risorse entro fine anno: “Sono garanzie che non può dare nessuno”. “Fare velocemente, ma non in fretta, perché si rischiano errori decisivi”, il refrain del ministro fedelissimo della premier che, alle prese con l’ultimo nodo per ricevere i 19 miliardi della terza rata (i posti per gli studentati), intanto ottiene da Bruxelles una prima apertura sulla flessibilità del Piano.

Nel report dei lavori diffusa alla stampa dallo staff del ministro ci sono “alcune modifiche tecnico-amministrative, altre di merito” nel documento inviato a stretto giro alla Commissione Ue (ora serve il via libera formale) e sotto forma di informativa al Parlamento. C’è l’allungamento dei tempi per nuovi bandi per gli asili nido, che soddisfa i sindaci, rappresentati in Cabina di regia dal presidente dell’Anci Antonio Decaro: “Abbiamo aggiudicato in soli quattro mesi il 91,4% delle gare, mi sono sincerato che i soldi dei Comuni restano”. Altre variazioni riguardano, fra l’altro, il progetto Cinecittà, l’investimento sulla tecnologia satellitare, l’obiettivo dell’Ecobonus per le caldaie, e la possibilità di nuove gare per le colonnine sulle aree extraurbane. Con questa verifica preventiva, confida Fitto, “supereremo eventuali problematiche che sicuramente sarebbero emerse in modo chiaro”. Le modifiche a monte dovrebbero rendere più snella l’istruttoria sui progetti, mentre restano immutati i controlli a campione.

“Così manteniamo fede al percorso stabilito”, e possiamo “chiedere la quarta rata nei prossimi giorni”, aggiunge Fitto. Se anche dovessero servire tempi più lunghi per la richiesta formale, chi segue il dossier Pnrr, tanto a livello tecnico quanto a quello politico, si augura che sia una svolta. Sarà un banco di prova la presentazione del Piano rivisto con il capitolo RepowerEu. “Rispetteremo il termine del 31 agosto”, promette il ministro per gli Affari europei, negando nel frattempo che il ritardo nell’ottenere le rate generi problemi per i conti pubblici. E messaggi rassicuranti arrivano anche dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “Quello che auspico è, chiaramente, che queste risorse arrivino. Se non arrivano, al momento siamo in grado di gestire la situazione”. Intanto, in una riunione fra il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e i capi di gabinetto dei ministeri, è emerso l’input di dare priorità all’adozione di provvedimenti in grado di liberare risorse utili al sostegno del tessuto economico-produttivo, delle famiglie e delle persone più fragili.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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