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Lavoro

Occupati al massimo storico, 352mila in più in un anno

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Gli occupati ritoccano il record storico e a febbraio con 10mila unità raggiungono la cifra di 23 milioni 313mila unità, il dato più alto dal 2004 dall’inizio delle serie storiche Istat. A crescere anche il tasso di occupazione, di 0,1 punti, che si è attestato sul 60,8%, sempre sui massimi, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto stabile rispetto a gennaio all’8% e si è ridotto di mezzo punto rispetto a febbraio 2022. Gli occupati, rispetto all’anno precedente sono aumentati su base tendenziale soprattutto grazie al lavoro a tempo indeterminato (515mila unità in più) mentre frena l’occupazione a termine (-143mila) e quella indipendente (-20mila). Rispetto a gennaio è aumentata l’occupazione maschile (+54mila) mentre è diminuita quella femminile (-44mila) ma a livello annuale sono cresciute entrambe (+221mila i maschi, +131mila le femmine).

La tensione nel mercato del lavoro preoccupa le imprese per le difficoltà soprattutto in alcuni settori di trovare il personale necessario. La Confesercenti ha lanciato un allarme per il turismo sottolineando che tra Pasqua e la primavera mancheranno ai pubblici esercizi circa 50mila lavoratori. La concorrenza tra le imprese sul personale fa sì che si riduca il lavoro precario e si stabilizzino i contratti ma soprattutto che si riduca la disoccupazione giovanile.

Il tasso è sceso al 22,4%, 2,1 punti in meno rispetto a febbraio 2022 e 6,4 punti in meno rispetto a febbraio 2020, all’inizio della pandemia. Il mercato del lavoro però, continua a invecchiare e sono ormai 9 milioni 237mila gli over 50 occupati, 360mila in più rispetto a febbraio 2022 e quasi il doppio rispetto a gennaio 2004 (oltre 4,45 milioni in più rispetto ai 4,78 milioni dell’inizio delle serie storiche). Il dato è legato all’andamento demografico e all’introduzione di norme più restrittive sul pensionamento. Nella fascia tra i 35 e i 49 anni lavorano 8 milioni 741mila persone, 933mila in meno dell’inizio del 2004 ma è la fascia tra i 25 e i 34 anni che ha subito un vero e proprio tracollo negli anni con 4 milioni 157mila persone al lavoro, 1,85 milioni in meno rispetto all’inizio del 2004.

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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Economia

Fumata nera su contratto infermieri, fermi anche medici

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Dopo 13 mesi di stallo, ancora una fumata nera sul contratto del comparto Sanità 2022-24, che riguarda oltre 580mila lavoratori del Servizio sanitario nazionale tra infermieri – che rappresentano oltre la metà del totale – tecnici e personale non medico. Sul tavolo ci sono 172 euro di aumento mensile ma i sindacati di categoria sono divisi e varie sigle reputano insufficienti le risorse stanziate e carente la parte normativa. L’incontro di oggi all’Aran per la ripresa delle trattative, dopo che alcune sigle avevano già fatto saltare l’accordo nei mesi scorsi, si è dunque chiuso con un nulla di fatto. Un nuovo incontro è previsto il 22 maggio.

Intanto, anche per il contratto dei medici è stallo: attendono ancora l’atto di indirizzo e chiedono di avviare subito le trattative. Nell’incontro di oggi, i sindacati degli infermieri e di categoria confermano posizioni differenti. Da un lato il sindacato Nursind, favorevole ad una chiusura. “Anche oggi – rileva il segretario Andrea Bottega – abbiamo ribadito la nostra disponibilità a sottoscrivere il Ccnl, ma soprattutto sollevato un problema di tempi perché i fondi, seppure pochi e insufficienti a compensare l’inflazione degli ultimi anni, vanno spesi entro fine anno come previsto dal Documento di finanza pubblica. Oppure sarà meglio poi doversi piegare a quanto sarà deciso unilateralmente dal governo? Questa sì che sarebbe una sconfitta per le relazioni sindacali”. Riferendosi quindi alle sigle che insistono sul nodo dei fondi, Bottega sottolinea che “la questione delle scarse risorse non è da porre al tavolo Aran. Non è in quella sede che può essere affrontata e risolta. Per disporre di nuovi stanziamenti, infatti, serve una legge”.

Per il Nursing up, l’incontro “si è rapidamente trasformato nell’ennesimo muro contro muro, senza uno spiraglio di soluzione”. E pur chiedendo di chiudere il contratto al più presto, il sindacato chiede a governo e regioni “da che parte stanno: basta teatrini, i professionisti sanitari non sono marionette”. E’ netta invece l’opposizione di Fp Cgil e Uil Fpl: “Non è emersa alcuna novità sostanziale, né sul piano economico né su quello normativo. Ancora una volta – affermano – il confronto si è rivelato privo di contenuti in grado di rispondere concretamente alle attese dei lavoratori e lavoratrici del settore. Ribadiamo con fermezza l’indisponibilità a sottoscrivere una pre-intesa che non riconosca il valore del personale sanitario attraverso tutele reali, diritti esigibili e un adeguato incremento salariale”. Insomma, avvertono, “in assenza di un cambio di rotta non esistono le condizioni per la chiusura positiva della trattativa”. Da parte sua, l’Aran sottolinea che, anche se restano distanti le posizioni delle parti, “il confronto ha permesso di entrare nel merito di alcune questioni specifiche, offrendo l’occasione per un dialogo più concreto. Per continuare il confronto e verificare se ci sono le condizioni per arrivare a un’intesa”.

Ricorda quindi che si prevede un aumento medio mensile di 172,37 euro per tredici mensilità, pari al 6,8% in più rispetto agli stipendi attuali, e le risorse stanziate ammontano a 1,784 miliardi. Oltre agli aspetti economici, il contratto introduce inoltre “maggiore tutela contro le aggressioni al personale, riorganizzazione degli incarichi professionali, potenziamento della formazione e nuove misure per migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro”. Intanto, medici e dirigenti sanitari ancora attendono l’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il loro contratto 2022-24, dunque già scaduto. “Non solo non siamo disponibili ad aspettare, perchè è inaccettabile dover attendere la conclusione del contratto del comparto Sanità per poter iniziare a discutere di quello dei medici – affermano i leader dei sindacati Anaao e Cimo, Pierino Di Silverio e Guido Quici – ma anzi chiediamo di fare un ulteriore passo avanti accorpando i trienni contrattuali 2022-24 e 2025-27, una decisione che sarebbe storica”. Questo, concludono, per “garantire ai colleghi adeguamenti retributivi accettabili e bloccare l’intollerabile tradizione di firmare solo contratti già scaduti”.

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Economia

Intelligenza artificiale e HR: il futuro è umano, ma potenziato dalla tecnologia

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L’intelligenza artificiale smette i panni salvifici per diventare uno strumento concreto al servizio delle persone e della produttività aziendale. È quanto emerge dal nuovo report Zucchetti HR 2025, che ha intervistato oltre 1.200 professionisti delle risorse umane, fotografando le nuove priorità delle imprese italiane.

Dall’euforia tecnologica alla strategia concreta

Dopo anni di entusiasmo quasi mitico attorno all’IA, oggi la tecnologia torna a essere mezzo e non fine. Le imprese puntano su soluzioni a valore aggiunto, ancorate alle esigenze reali: automazione dei processi (30%), comunicazione interna (20%), benessere del personale (19%), formazione (16%) e recruiting (15%).

«Le tecnologie non devono sostituire l’essere umano, ma potenziarlo», sottolinea Domenico Uggeri, vicepresidente Zucchetti. È questo il principio del nuovo modello HR, che diventa data-driven, flessibile e centrato sulla persona.

Intelligenza artificiale e selezione del personale

Il 70% degli intervistati crede che l’IA cambierà profondamente il proprio lavoro. E in effetti machine learning e algoritmi sono già protagonisti nell’analisi dei CV e nella selezione dei candidati. Tuttavia, nelle PMI manca ancora un’applicazione integrata e proattiva. Il rischio? Perdere il vantaggio competitivo.

HR sempre più strategico

La funzione risorse umane è oggi chiamata a un ruolo centrale nell’impresa: agente del cambiamento, partner del business, guida nei processi di innovazione. Secondo Uggeri, l’HR è il nodo tra produttività, digitalizzazione e benessere. Un equilibrio delicato da mantenere con consapevolezza tecnologica, empatia e visione sistemica.

Welfare, talent retention e dialogo con la Gen Z

La carenza di talenti e la difficoltà a trattenere i collaboratori richiedono nuove politiche di welfare. Fringe benefit, anticipo stipendio, incentivi per le famiglie: tutto contribuisce a contrastare fenomeni come Grandi Dimissioni e Quiet Quitting.

«Il ruolo HR è sempre più leva strategica e garante della centralità della persona», afferma Maristella Di Raddo, Direttore Full Service Gruppo Conad Nord Ovest.

Per Alessandro Premoli, Head of HR di F&B Italy (gruppo Autogrill), «serve agilità nel raccogliere le sfide, adattarsi ai cambiamenti e semplificare la vita delle persone con soluzioni tecnologiche intuitive».

Ma la partita vera si gioca con la Generazione Z. Come spiega Andrea Arrighi di Lagardère Travel Retail Italia, trattenere i giovani talenti sarà una sfida epocale. Se non affrontata con progettualità rapide e mirate, potrà mettere a rischio lo sviluppo industriale.

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