È “una menzogna” dire agli italiani “che se non fornissimo armi all’Ucraina si potrebbero aumentare le pensioni o ridurre le tasse”, inviarle serve a “tenere la guerra lontana dal resto d’Europa e da casa nostra”. E il governo non cela l’intenzione di aumentare gli stanziamenti militari, anzi “ci mette la faccia”, perché “la libertà ha un prezzo”. Giorgia Meloni si presenta a muso duro davanti al Senato, per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, in vista del quale ha avuto un colloquio con l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, e un altro con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, con cui ha condiviso “l’urgenza di agire a livello europeo sulla migrazione”. Tema su cui però a Bruxelles ci sarà solo un aggiornamento. Al Consiglio la premier si presenterà forte delle risoluzioni di maggioranza che la impegnano a proseguire nel sostegno a Kiev, favorendo ogni iniziativa per una risoluzione del conflitto. Dietro il voto compatto, resta però agli atti la frenata della Lega sulla “corsa ad armamenti sempre più potenti, con il rischio di un incidente da cui non si possa tornare indietro”.
Le risoluzioni misurano poi le distanze fra Pd e M5s, visto che il Movimento puntava e escludere ulteriori impegni su forniture di armi. E l’ordine sparso delle opposizioni è rimarcato dal Terzo polo: Azione/Iv e maggioranza hanno sostenuto a vicenda le rispettive risoluzioni nelle parti sull’Ucraina e sulla rimodulazione della transizione ambientale. Il centrodestra però non ha votato il resto di quella del Terzo polo, su governance economica europea, ratifica del Mes (mai citato da Meloni), concessioni balneari e migranti. La crisi ucraina sarà comunque il dossier più caldo a Bruxelles, in particolare dopo l’incontro fra Vladimir Putin e Xi Jinping. Palazzo Chigi non mette in discussione il sostegno militare all’Ucraina. “Continueremo a farlo – garantisce la premier – senza badare all’impatto che può avere nel breve periodo sul consenso della sottoscritta, del governo, delle forze di maggioranza”. I sistemi di difesa aerea forniti dall’Italia servono a “proteggere la vita dei civili”, il resto è “propaganda”, taglia corto Meloni, quasi brusca nella risposta al M5s che la accusa di andare in Ue a prendere ordini: “Preferisco dimettermi piuttosto che presentarmi a un omologo europeo come fece Conte con Merkel”. La voce italiana in Europa, assicura la premier, “sarà sempre più forte”. Intanto lei la alza contro le opposizioni: “Criticate ferocemente il governo, me, le nostre scelte ed eventuali mancanze ma, vi prego, fermatevi un secondo prima di danneggiare l’Italia”. Il riferimento è alle polemiche mai spente sul naufragio di migranti a Cutro.
“Sono una madre, conteniamo i toni del dibattito”, e alla dem Tatjana Rojc che cita Pierpaolo Pasolini (“Tutti sappiamo ma non abbiamo ancora le prove”), replica: “Lo Stato non poteva fare di più”. La presidente del Consiglio ha “la coscienza a posto”, mentre è l’Europa che deve fare di più su “un’emergenza che sta diventando strutturale”. Bene, sottolinea, la responsabilizzazione degli Stati di bandiera delle Ong. Ma chiede per il Mediterraneo gli stessi stanziamenti usati per la rotta turca: “Non possiamo aspettare inermi il prossimo naufragio”. Per fermare i movimenti secondari, ribadisce, vanno arrestate a monte le partenze irregolari dal Nord Africa. “Il ragionamento comincia finalmente a fare breccia tra i nostri partner”, sottolinea rivendicando l’input italiano al dibattito. E a muso duro va anche verso chi, dal suo punto di vista, non coglie i rischi di default della Tunisia, che genererebbe un esodo: “Un problema enorme, che non si riesce ad affrontare perché il Fmi ha bloccato la trattativa per sostenere la Tunisia. E il commissario Gentiloni, che aveva immaginato già all’inizio di questo mese di recarsi là per affrontare la vicenda, poi ha rimandato”.
Un altro commissario socialista, Frans Timmermans, è nel mirino del governo: è inaccettabile, gli scrivono i ministri Salvini, Pichetto e Urso, nel regolamento sulle emissioni di Co2 per i veicoli leggeri, “un’interpretazione indebitamente ristretta del concetto di carburanti neutri”, con l’esclusione dei biocarburanti. “L’Europa può stabilire gli obiettivi, ma non dirmi come raggiungerli”, la linea di Meloni, che insiste sulla neutralità energetica, fa muro alla direttiva case green e non cede nel negoziato sul Patto di stabilità. “Il tempo dell’austerità è finito”, avverte la premier, chiarendo che il negoziato si accompagna con “la flessibilità sull’utilizzo dei fondi, Pnrr compreso”.