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Economia

La Bce e il dilemma dei tassi. E la Fed frena sui rialzi

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La prima crisi innescata anche – ma non solo – dai rialzi dei tassi d’interesse, spinge le banche centrali sull’orlo della crisi esistenziale: innestare la retromarcia, per paura che il sistema bancario non regga il ritmo degli aumenti del costo del denaro, oppure andare avanti sulla strada già tracciata per contenere l’inflazione il più rapidamente possibile? Anche se la crisi è partita dagli Stati Uniti, il dilemma non attanaglia solo la Fed, con i mercati che già la vedono dismettere i panni del falco fin dalla prossima riunione del 22 marzo. Sempre se il nuovo dato sull’inflazione Usa, in arrivo domani, non costringa ad altre riflessioni. Anche la Bce è chiamata, se non ad un cambio di rotta, quantomeno ad un supplemento di riflessione, tanto che il mercato non dà più per certo nemmeno il rialzo da 50 punti atteso per questo giovedì e annunciato dalla stessa presidente Christine Lagarde nella riunione di febbraio. La crisi improvvisa della banca della Silicon Valley ha colpito anche l’Europa, con i titoli bancari sprofondati alla riapertura delle Borse dopo il weekend, nonostante l’intervento senza precedenti del governo americano per tranquillizzare gli investitori. E’ un segnale che la Bce non può ignorare, destinato ad infiammare il dibattito tra falchi e colombe all’interno del board.

Un confronto che già si era scaldato nello scorse settimane: dopo una serie di uscite dei banchieri centrali del Nord a favore di rialzi prolungati, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha fatto sapere di non apprezzare i continui commenti sulle mosse della Bce, ed ha invitato i suoi colleghi ad attenersi alle decisioni annunciate nelle riunioni mensili, senza dare altre indicazioni che rischiano di orientare i mercati su decisioni future, non ancora prese. Con la crisi della SVB, l’ala delle colombe ha ora una nuova, solida argomentazione per chiedere un percorso più morbido verso l’obiettivo, che resta sempre far calare l’inflazione. Il problema è che il dato di partenza non aiuta le loro intenzioni: l’inflazione core, cioè al netto degli elementi più volatili come alimentari ed energia, ha accelerato al 5,6% a febbraio, segnalando che l’aumento dei prezzi non solo si è esteso a tutti i settori, ma sta proseguendo senza ostacoli. Per questo la presidente Lagarde non aveva escluso rialzi successivi, che per il mercato – fino alla settimana scorsa – avrebbero potuto portare fino ad un tasso terminale del 4%, dal 2,5% attuale. Oggi, per la prima volta da un mese, le attese sul picco dei tassi si sono abbassate sotto il 3,70%. E per i trader c’è solo il 50% di possibilità che giovedì la Bce decida una stretta da 50 punti. Secondo alcuni analisti potrebbe limitarsi a 45 punti. Sarebbe un segnale forte, la svolta delle colombe, o la paura che il sistema finanziario europeo non sia poi così immune al contagio come i suoi ministri affermano.

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Zes unica, già 630 investimenti approvati per 12 miliardi: boom di richieste anche da Francia, Germania e Usa

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La Zes unica, la nuova Zona economica speciale che abbraccia tutto il Sud Italia, si conferma un attrattore formidabile di investimenti. Sono già 630 le autorizzazioni concesse per progetti che valgono complessivamente circa 12 miliardi di euro, metà dei quali finanziati tramite credito d’imposta, come previsto dalla Legge di Bilancio. Un dato che evidenzia il successo di una misura diventata in pochi mesi un vero e proprio volano per l’economia meridionale.

Efficienza e semplificazione: tempi di approvazione record

Dall’inizio del 2024 sono già 180 le autorizzazioni uniche concesse, e l’obiettivo di superare quota mille entro l’annosembra realistico. Merito anche dell’accelerazione impressa dalla Struttura di missione di Palazzo Chigi, guidata da Giosy Romano, nominato lo scorso anno dal ministro Fitto. Tempi record per l’approvazione: in media 30-34 giorni. Un cambio di passo netto rispetto al passato.

Interesse anche dall’estero: dalla Germania agli USA

Il nuovo modello Zes ha attirato l’attenzione di investitori internazionali, non solo europei. Presentazioni ufficiali in Francia, Germania e, soprattutto, Stati Uniti, dove l’iniziativa è stata inclusa persino nel comunicato congiunto Trump-Meloni al termine della visita della premier a Washington. Il messaggio è chiaro: il Mezzogiorno è una terra di opportunità per le multinazionali, soprattutto americane.

L’esempio De Matteis: l’export al centro dell’espansione

Tra i progetti più rilevanti figura l’ampliamento della De Matteis Agroalimentare, colosso della pasta secca con sede a Flumeri (Avellino) e un fatturato da 223 milioni, l’80% generato all’estero. L’azienda ha ottenuto l’ok all’ampliamento produttivo grazie alla Zes, che ha consentito una variante urbanistica semplificata. Si stima un investimento tra i 25 e i 30 milioni di euro.

E-commerce e innovazione: la Zes unica punta anche al digitale

A cogliere le opportunità offerte dalla Zes unica è anche la Deghi di Lecce, leader nell’e-commerce di arredamento con oltre 350 dipendenti e 1.300 spedizioni al giorno. Il nuovo investimento produttivo conferma la centralità del Sud anche nei settori digitali. Non mancano poi manifestazioni d’interesse da parte di gruppi internazionali per la costruzione di Data Center, uno in Puglia, l’altro in Sicilia.

Controlli rigorosi e trasparenza nella procedura

Ogni proposta viene attentamente valutata dalla Struttura di missione per verificare il rispetto delle norme. L’obbligo di permanenza per almeno cinque anni dopo l’investimento è la condizione per mantenere i benefici fiscali. Il metodo è chiaro: velocità, legalità, trasparenza. Nessun miracolo, ma un Sud che cambia passo e guarda finalmente oltre i propri confini.

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Obbligo polizze anche per immobili abusivi in sanatoria

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Anche gli immobili su cui è in corso una sanatoria o un condono dovranno essere assicurati contro le catastrofi. Per gli immobili in affitto, invece, l’indennizzo che spetta al proprietario andrà usato per ripristinare il bene danneggiato o distrutto. Sono alcune delle principali modifiche del decreto polizze catastrofali che, incassato il primo via libera in commissione, sarà da domani in Aula alla Camera. Nulla di fatto invece per l’ipotesi di rendere i costi delle polizze deducibili: la richiesta bipartisan non è passata, ma il governo non esclude di valutarla in manovra. Con una seduta lampo di circa un’ora, la commissione Ambiente di Montecitorio ha iniziato e concluso l’esame degli emendamenti, votando il mandato al relatore Gianpiero Zinzi (Lega).

Le modifiche approvate (due emendamenti del relatore e quattro riformulati) al decreto, che proroga l’obbligo di assicurarsi al primo ottobre 2025 per le medie imprese e al primo gennaio 2026 per le piccole e micro imprese, mirano soprattutto a chiarire alcuni dubbi sollevati dalle imprese. Uno riguarda la questione degli immobili con abusi edilizi, che la norma esclude dall’obbligo di assicurazione: la modifica stabilisce che vadano assicurati “esclusivamente” gli immobili costruiti o ampliati con “un valido titolo edilizio”, ma anche quelli “oggetto di sanatoria o per i quali sia in corso un procedimento di sanatoria o condono”. Per gli immobili non a norma, che risultano quindi non assicurabili, viene quindi specificato che non avranno diritto ad indennizzi e contributi pubblici. Per gli immobili di proprietà di terzi, che vanno assicurati dall’imprenditore, si stabilisce che l’indennizzo spettante al proprietario vada utilizzato “per il ripristino dei beni danneggiati”.

In caso di inadempimento il proprietario ha comunque diritto a “una somma”, per compensare il mancato profitto nel periodo di inattività dell’impresa, “nei limiti del 40% dell’indennizzo percepito”. Un emendamento del relatore chiarisce poi che il valore dei beni da assicurare venga determinato considerando “il valore di ricostruzione a nuovo dell’immobile” o “il costo di rimpiazzo dei beni mobili” o il costo “di ripristino delle condizioni del terreno interessato dall’evento calamitoso”. Vengono inoltre esclusi dallo scoperto o franchigia fino al 15% del danno le grandi imprese che “stipulano un programma assicurativo globale valido per tutto il gruppo”. E’ infine previsto il coinvolgimento del Garante per la sorveglianza dei prezzi che, insieme all’Ivass, svolgerà “la funzione di controllo e verifica”, per evitare speculazioni sui premi assicurativi.

Nulla di fatto invece per la richiesta avanzata sia dalla maggioranza che dall’opposizione di prevedere una deducibilità dei costi. Un tema che non può essere trattato in un provvedimento di proroga, spiega il sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che però non chiude: il tempo c’è, “magari troverà spazio nella prossima legge di bilancio”.

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Corte Conti Ue dura su Pnrr: scollegato dai risultati

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Duro bilancio della Corte dei conti europea sul dispositivo per la Ripresa e la resilienza, soprattutto per lanciare un avvertimento sul prossimo Bilancio Ue e l’ipotesi di legare di nuovo fondi europei a riforme o risultati. “Sebbene il Pnrr abbia svolto un ruolo cruciale nella ripresa post-pandemica dell’Ue, abbiamo riscontrato diverse debolezze in termini di performance, responsabilità e trasparenza”, ha spiegato Ivana Maletić, membro della Corte. “I finanziamenti di futuri strumenti basati sulla performance dovranno essere meglio collegati ai risultati e disciplinati da regole chiare – ha aggiunto il coautore Jorg Kristijan Petrovič -: altrimenti, questo sistema non andrebbe utilizzato”.

Secondo gli auditor europei, in particolare, il Recovery “non è realmente uno strumento che eroga finanziamenti sulla base della performance”, perché “pone maggior enfasi sui progressi”. Anche se i pagamenti sono legati a traguardi e obiettivi, si riferiscono più spesso a output (come edifici ristrutturati o chilometri di ferrovie) che a risultati concreti, rendendo difficile valutare l’efficacia delle misure. La Commissione però non ci sta: pur dicendosi “lieta” che sia stato riconosciuto l’impatto positivo del Pnrr, afferma che “non sembra basato su alcun riscontro” il giudizio che il Recovery non è basato sulla performance.

Lo è “chiaramente”, rivendica. “Incentivando gli Stati membri ad affrontare le loro sfide strutturali, ha accelerato l’attuazione di riforme vitali in aree come occupazione, istruzione e ambiente imprenditoriale”, ha anche segnalato il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto (Nella foto Imagoeconomica in evidenza). L’analisi degli auditor europei è comunque impietosa, anche se riprende giudizi già espressi dalla Corte dei Conti a Lussemburgo in più occasioni: “Le informazioni sui risultati sono modeste”, afferma, e “l’efficienza della spesa e il rapporto costi-benefici non possono essere misurati”. La Commissione “non raccoglie dati sui costi effettivi”, accusa. E di conseguenza, “non è chiaro quello che i cittadini ottengono in concreto grazie a questi fondi”.

La Corte lamenta anche che “non esiste un quadro completo su chi siano i destinatari finali dei fondi”. L’erogazione agli Stati membri non garantisce che il denaro abbia raggiunto l’economia reale. In alcuni casi, i fondi sono rimasti presso istituzioni intermedie, come la Banca europea per gli investimenti. Nonostante alcuni miglioramenti recenti, “i sistemi di controllo del Recovery non sono ancora abbastanza robusti”. Sono affidati ai singoli Stati, ma ci sono debolezze e la Commissione “non può imporre rettifiche finanziarie” per singole violazioni, salvo casi gravi, e “alcuni Paesi hanno ricevuto consistenti finanziamenti ancor prima di avere completato i progetti”. E ancora, “solo la metà circa delle misure ha prodotto risultati concreti”. E “l’assenza di indicatori adeguati limita in modo significativo la possibilità di valutare l’impatto delle riforme”. Ci sono metodologie su traguardi e obiettivi diverse per ogni Stato con un “rischio di disparità di trattamento”.

A fine 2024 erano state presentate 128 delle 151 richieste di pagamento previste (85%), ma con forti disparità tra Paesi. Mentre il 42% dei fondi è stato erogato, solo il 28% dei traguardi e obiettivi è stato raggiunto: “una quota significativa dei finanziamenti è stata versata senza che le misure corrispondenti fossero state completate”. Insomma, l’invito è quello di evitare di ripetere in futuro un modello che “non garantisce informazioni sui risultati, sui costi effettivi e sui beneficiari finali”. Per strumenti così è necessario che “i finanziamenti siano chiaramente collegati ai risultati” e che vi siano “regole chiare e comuni per tutti gli Stati membri”. “Una semplice copia e incolla non è un’opzione”.

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