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Scandalo sulle tasse a Londra, trema il ministro Zahawi

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E’ sempre più in bilico Nadhim Zahawi, ministro senza portafoglio del governo britannico di Rishi Sunak e presidente del partito conservatore, finito al centro di un grave scandalo che può segnare la fine della sua carriera politica e avere ricadute sull’intera compagine Tory. L’esponente di spicco della maggioranza è infatti protagonista di una controversia fiscale multimilionaria, risoltasi con un concordato col fisco di sua maestà e il pagamento da parte di Zahawi di una sanzione proprio mentre ricopriva l’incarico di cancelliere dello Scacchiere sotto un dimissionario Boris Johnson. Le sue scuse – ha parlato di un “errore incauto ma non intenzionale” riferendosi alle tasse non pagate correttamente – non gli hanno risparmiato l’avvio di una inchiesta, ordinata proprio da Sunak, in un certo imbarazzo per un caso che può intaccare la promessa di trasparenza e professionalità fatta al suo insediamento a Downing Street dopo due esecutivi Tory segnati da scandali e polemiche.

Il primo ministro si è rivolto a Sir Laurie Magnus, consigliere indipendente incaricato di sorvegliare il rispetto dei codici etici da parte dei membri del governo, per far luce sullo scandalo. In base all’esito “decideremo i prossimi passi appropriati”, ha affermato il premier. E ha aggiunto: “L’integrità e la responsabilità sono molto importanti per me e chiaramente in questo caso ci sono domande a cui bisogna rispondere”. Parole che non fanno presagire nulla di buono per Zahawi, anche perchè della gestione di questo caso spinoso ne risentirà lo stesso esecutivo. Secondo la Bbc, la controversia sulle tasse è stata risolta tra luglio e settembre dello scorso anno, nel periodo in cui Zahawi era titolare del ministero delle Finanze, da cui dipende il fisco, e l’importo totale pagato alle casse dello Stato dal membro del governo sarebbe di circa 5 milioni di sterline. Il leader laburista Sir Keir Starmer rivolgendosi a Sunak ha chiesto di “mostrare un po’ di leadership” e di silurare Zahawi, oltre a fare chiarezza sull’intera vicenda. Dal canto suo, il premier assicura di averlo scelto come ministro lo scorso ottobre dopo che non erano emersi particolari impedimenti sul suo conto. Poco conta però rispetto all’impatto di uno scandalo del genere che avviene mentre i britannici sono alle prese con una grave crisi del caro vita e c’è nel Paese un diffuso malcontento sociale.

Lo stesso Sunak, noto per l’ingente ricchezza di famiglia, era stato l’anno scorso al centro di una polemica in materia fiscale riguardante la moglie, l’ereditera e businesswoman Akshata Murty, figlia di uno dei maggiori industriali e miliardari d’India, che per un certo periodo aveva goduto (legalmente) di uno scudo contro il pagamento delle tasse nel Regno Unito sui redditi milionari accumulati all’estero. Intanto un’altra bufera cresce sul partito di maggioranza e in questo caso riguarda Johnson, che difficilmente esce dal radar dei media. Viene accusato di conflitto di interessi nella nomina avvenuta all’inizio del 2021, quando era premier, del presidente della Bbc, Richard Sharp. Poco prima di ricevere l’incarico, Sharp, ex banchiere e munifico donatore dei Tory, avrebbe aiutato l’allora primo ministro nell’ottenere una linea di credito da 800 mila sterline mettendolo in contatto con un “vecchio amico”, l’uomo d’affari canadese Sam Blyth, tra l’altro un lontano cugino di BoJo. Anche questa vicenda ha avuto ricadute sul governo, che ha avviato una inchiesta sulla nomina di Sharp, mentre lo stesso ‘chairman’ dell’emittente pubblica ha chiesto alla Bbc una revisione interna negando ogni accusa contro di lui.

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Hamas accetta l’accordo ma Israele bombarda Rafah

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Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani a Rafah, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra.

Ma lo Stato ebraico per ora frena, e anzi ha aumentato la pressione militare sulla città al confine egiziano con “attacchi mirati”, aerei e di artiglieria, nella parte orientale della città al sud della Striscia, mentre fonti palestinesi hanno riferito di “un improvviso ingresso via terra” nell’est. In serata, il gabinetto di guerra ha infatti “deciso all’unanimità di continuare la sua operazione a Rafah”, e al tempo stesso di inviare una delegazione al Cairo martedì per continuare ad “esplorare la possibilità di raggiungere un accordo a condizioni accettabili”. Anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi. Poi l’annuncio di Hamas, giunto dopo la telefonata tra i due leader.

“Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione. Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo.

Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo e le famiglie dei rapiti hanno lanciato un nuovo disperato appello al governo a dare seguito “al suo impegno nei confronti dei suoi cittadini”, accettando la proposta di Hamas. Prima degli intensi bombardamenti notturni, a Rafah la notizia era stata inizialmente accolta da urla di gioia e spari in aria. Ma fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana.

Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa. Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”.

Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto.

“E’ disumano”, ha dichiarato l’Onu. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”. L’Idf ha lanciato volantini in arabo, affiancati da sms, telefonate e avvisi sui media per spiegare i motivi dell’evacuazione e l’invito a lasciare l’area che sarà interessata dai combattimenti, quelle da evitare, come Gaza City e i passaggio a nord di Wadi, e anche il divieto di avvicinarsi alle recinzioni di sicurezza est e sud con Israele.

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Putin: esercitazioni nucleari a truppe vicino a Ucraina

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Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato esercitazioni nucleari che coinvolgono truppe posizionate vicino all’Ucraina: lo ha reso noto l’esercito.

Le esercitazioni coinvolgono la Marina e le truppe di base vicino all’Ucraina, ha affermato oggi il ministero della Difesa russo. “Durante le esercitazioni verranno adottate una serie di misure per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di armi nucleari non strategiche”, secondo il ministero.

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Israele spegne Al Jazeera, fumata nera sulla tregua

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Israele spegne Al Jazeera nel Paese mentre una nuova fumata nera al Cairo allontana l’agognata tregua a Gaza, nonostante l’ottimismo dei giorni scorsi, e avvicina invece l’operazione a Rafah, nel sud della Striscia. Da oggi l’emittente del Qatar non è più visibile in Israele. Il governo Netanyahu ha infatti votato la chiusura delle attività e la confisca delle attrezzature della tv, accusata di essere “il megafono” di Hamas a Gaza e di “istigare” contro Israele. Una decisione respinta da Al Jazeera, che l’ha definita “criminale”. L’approvazione da parte del governo è avvenuta all’unanimità, con qualche mal di pancia – per la concomitanza con le trattative in Egitto – dei ministri centristi del gabinetto di guerra, Benny Gantz e Gadi Eisenkot.

Lo scorso primo aprile la Knesset ha varato una legge per bandire le “emittenti straniere che danneggiano la sicurezza dello stato”. Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha quindi firmato i provvedimenti che comprendono “la chiusura degli uffici, la confisca delle attrezzature del canale, compresi possibilmente i cellulari, e il blocco dell’accesso al sito web della tv”. Il capo del network in Israele e nei Territori Walid Omary ha preannunciato un possibile ricorso in tribunale. Hamas ha accusato Israele di voler così “nascondere la verità” sulla guerra, mentre l’Onu ha chiesto che il provvedimento sia ritirato. Frattanto la trattativa tra Israele e Hamas si è consumata in un muro contro muro, sebbene sul tavolo – secondo una fonte araba – ci fosse “la migliore bozza di accordo” elaborata finora.

I colloqui in serata sono stati dichiarati conclusi e la delegazione di Hamas – dopo aver fornito la sua riposta ai mediatori di Egitto e Qatar – è tornata a Doha “per consultazioni con la leadership” del movimento. Secondo i media egiziani, tornerà però martedì prossimo al Cairo per riprendere i negoziati mentre a Doha è arrivato in tutta fretta il direttore della Cia William Burns per spingere di nuovo alla ricerca di un’intesa prima che tutto “collassi”. Le posizioni continuano tuttavia a rimanere lontanissime. Il nodo è sempre lo stesso: Hamas insiste sulla fine definitiva del conflitto nella Striscia e il ritiro “totale” dell’Idf da Gaza. Condizioni che il premier Benyamin Netanyahu ha seccamente bocciato, liquidandole come diktat inaccettabili. E’ stato lo stesso leader della fazione islamica palestinese Ismail Haniyeh a ribadire la linea.

“Hamas – ha detto da Doha – vuole raggiungere un’intesa globale che ponga fine all’aggressione, garantisca il ritiro dell’esercito e raggiunga un serio scambio di prigionieri. Che senso ha un accordo se il cessate il fuoco non è il primo risultato?”. “E’ Hamas che impedisce un accordo per il rilascio degli ostaggi”, ha replicato Netanyahu, aggiungendo che “Israele era ed è tuttora pronto a concludere una tregua per liberare gli ostaggi”. Ma “le richieste estreme” di Hamas, ha aggiunto il primo ministro, “significano la resa” di Israele, che “invece continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi”. Per questo ora l’operazione a Rafah, dove ci sono un milione e mezzo di sfollati palestinesi, sembra più vicina: “Comincerà molto presto”, ha assicurato il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Ho affrontato la questione intensamente nell’ultima settimana, compreso oggi”, ha spiegato. La comunità internazionale, Stati Uniti in testa, è fortemente contraria.

E forse non è un caso che per la prima volta dal 7 ottobre l’amministrazione Biden la scorsa settimana abbia deciso di bloccare una spedizione di munizioni in Israele, come riferisce Barak Ravid di Axios. Il presidente Usa si trova ad affrontare aspre critiche in patria da chi si oppone al suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico. A febbraio la Casa Bianca ha chiesto di fornire garanzie che le armi Usa fossero utilizzate dall’esercito israeliano a Gaza in conformità col diritto internazionale, con Israele che ha fornito una lettera di assicurazioni a marzo. Al 212esimo giorno di guerra intanto, Hamas ha rivendicato il lancio di almeno 10 razzi nell’area del valico di Kerem Shalom, quello da dove transitano i camion degli aiuti umanitari, con il motivo che sul posto “si erano radunati soldati”. Per tutta risposta lo Stato ebraico ha chiuso il valico, dove ci sono stati almeno 10 israeliani feriti. Secondo l’Idf, Hamas ha lanciato razzi da Rafah “a circa 300 metri da un’area usata come rifugio dagli sfollati”. Gli scontri proseguono anche al confine nord di Israele: Hezbollah ha rivendicato il lancio di “decine di razzi dopo la morte di tre civili a seguito di un attacco israeliano nel sud del Libano”.

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