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Pm archivia violenza per ‘silenzio vittima’, gip dice no

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Il silenzio di una vittima che subisce abusi non può essere ritenuto un consenso, nemmeno implicito, perché questo, se c’è, deve essere “inequivoco”. E per accertare una violenza non serve che si dimostri che chi ha subito gli atti sessuali abbia manifestato il suo dissenso. Facendo leva sui paletti fissati dalla Cassazione, ma anche su elementi agli atti dell’indagine, il gip di Milano ha respinto la richiesta di archiviazione, avanzata dalla Procura milanese, di un fascicolo per violenza sessuale a carico di un 32enne accusato di aver abusato nella sua abitazione di una 27enne con fragilità psichiche, nel 2019, dopo averla fatta salire in auto con la scusa di offrirle un passaggio. “L’indagato potrebbe avere ‘frainteso’ il silenzio della ragazza per l’ora tarda, per la stanchezza”, aveva spiegato il pm per motivare l’istanza, poi bocciata dal giudice che ha ordinato alla Procura di formulare la richiesta di processo a carico dell’uomo (si arriverà in udienza preliminare). La giovane è morta suicida lo scorso marzo e i suoi genitori si sono opposti alla richiesta del pm. Il giudice, nel disporre l’imputazione coatta, chiarisce che lei “non ha mai espresso il consenso al compimento degli atti sessuali”.

E che nella “fattispecie” di violenza sessuale non si richiede “affatto un manifesto dissenso” della vittima, “quanto piuttosto, come ribadito dalla Suprema Corte, il consenso”, se c’è, deve essere “espresso o, se tacito”, deve essere inequivoco. La Procura, invece, riassume il gip, parlava di “fraintendimento” da parte dell’indagato sul “silenzio” della ragazza. E ciò, a detta del giudice, equivale “a sostenere la necessità della manifestazione del dissenso”, che non serve. E il silenzio, in sintesi, non può essere equiparato al consenso. Il 32enne avrebbe avvicinato la giovane, verso le 3 del mattino del 13 maggio 2019 in zona Abbiategrasso, dopo che lei aveva litigato con un’amica e stava piangendo “accovacciata a terra”. Le avrebbe offerto un passaggio e poi si sarebbe diretto verso la sua abitazione “prendendola per un braccio per condurla a casa” dove avrebbe abusato di lei. Il fascicolo era già passato per una richiesta di archiviazione respinta, prima che venisse individuato il presunto violentatore. Nella seconda istanza il pm scrive che, quando l’uomo la prese per un braccio, “non risulta che” la giovane “urlò o si dimenò”. E che in relazione ai presunti abusi lei non ha riferito di un “manifesto dissenso, con gesti o voce”.

Il 24 giugno 2019, la 27enne si era presentata in Questura per denunciare quello “sconosciuto”, mai visto prima. Per il gip il suo racconto è attendibile. La ragazza ha detto nell’incidente probatorio anche di aver cercato “di opporsi quando la stava trascinando dal furgone all’interno del palazzo”. E ancora: “Ero in stato di shock, avevo paura, non riuscii né a parlare né a muovermi”. Del tutto inattendibile la versione dell’uomo che ha sostenuto si trattasse di rapporti consenzienti. Per il gip, il 32enne sapeva pure che la giovane era “omosessuale”. Lei, come ha messo a verbale il 32enne, gli aveva raccontato “di avere litigato con la sua ragazza”. Quel “silenzio”, conclude il gip, “non poteva essere affatto frainteso”, dato che la ragazza “è stata costretta a scendere dal furgone e salire le scale di casa”. E pure le condizioni “di possibile stato d’ebbrezza”, che il pm “evidenzia per ‘giustificare’ un possibile fraintendimento”, assumono, invece, per il gip, “rilevanza per affermare la condizione di fragilità” della vittima.

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Chico Forti in Italia: tra buona condotta e benefici, ipotesi libertà vigilata

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In Italia Chico Forti potrebbe ottenere la libertà condizionale. Lo conferma l’avvocato Alexandro Tirelli, già consulente dello zio di Forti e presidente delle Camere penali internazionali. Un beneficio che si può concedere “dopo 26 anni dall’applicazione dell’ergastolo e se il condannato resipiscente ha dimostrato condotta irreprensibile”. L’ordinamento italiano, spiega Tirelli, “non prevede il ‘fine pena mai’ per un omicidio volontario, ovvero l’ergastolo ostativo e Forti negli Stati Uniti è stato condannato al ‘lifetime without parole’, corrispondente appunto al fine pena mai.

Lì ha già scontato tra i 24 e i 25 anni di detenzione, quindi allo scadere del 26/o anno di prigionia (ergastolo nominale, ndr) potrebbe chiedere di essere liberato e ottenere la libertà vigilata”. Dunque, “potrebbe uscire dal carcere e cominciare il periodo di cinque anni di libertà vigilata al termine del quale, se non avrà commesso ulteriori reati, potrà ottenere la piena libertà, cioè il fine pena”. Il surfista e produttore televisivo trentino, fu condannato nel 2000 all’ergastolo “lifetime without parole” da un tribunale della Florida per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano, quindi, “avendo già scontato ormai 24 anni, ritengo che il Tribunale di sorveglianza debba riconoscergli i benefici di legge: uno sconto di pena di tre mesi per ogni anno di pena sofferta in prigione”, spiega il legale.

E ricorda che “se l’amministrazione Trump, come quella di Biden, sono sempre state favorevoli, per quanto riguarda il caso Forti, all’applicazione del trattato tra i due Paesi in base al quale una persona condannata in Italia o negli Stati Uniti può scontare una parte residuale della pena in patria, Ron DeSantis, governatore della Florida, è sempre stato contrario”. In punta di dottrina, Forti non è stato estradato, gli è soltanto stato concesso di venire in Italia per scontare il residuo della pena. “Gli americani quando decisero di consegnarlo all’Italia – spiega Tirelli – imposero la condizione che venisse rispettata la sentenza americana. Condizione, come dicevo, dal mio punto di vista irrealizzabile: non si può irrogare una pena non prevista dal codice. In Italia l’ergastolo ostativo è inflitto solo per omicidi di mafia o fatti internazionali”.

C’è un’altra eventualità: in caso di “problemi di salute potrebbe anche arrivare un provvedimento clemenziale”. Il legale è convinto che uno degli ostacoli superati nelle trattative per il rilascio, sia stato che Forti accettasse il verdetto della giustizia americana e “non diffamasse il sistema di giustizia americano”. Condizione quest’ultima da rispettare anche una volta giunto in Italia. “Credo questa sia stata la chiave di volta ed infatti Forti, che fino a dicembre si dichiarava innocente, ha poi accettato il verdetto della giustizia americana. Oggi è finalmente in Italia”, conclude il legale.

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Atti di bullismo su una carabiniera, la denuncia alla procura militare

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Un presunto atto di bullismo in caserma a Modena, ai danni di una giovane carabiniera, è stato segnalato dal sindacato Nsc. “Auspichiamo una ferma indagine della Procura ordinaria e militare”, dice il segretario generale dell’Emilia-Romagna Giovanni Morgese su Facebook. Il sindacato Nsc non fornisce dettagli su quanto avvenuto, parla di “gesto intollerabile” e dice già che valuterà la costituzione di parte civile.

L’episodio oggetto della segnalazione, secondo quanto si è potuto apprendere, sarebbe avvenuto nei giorni scorsi, all’ingresso di una caserma, quando un superiore avrebbe apposto dei tratti di penna con un “visto”, sulla fronte della carabiniera. Un gesto che sarebbe emerso in un contesto ancora da definire, ma sarebbe circolato con foto in chat e che è stato oggetto di una relazione all’Autorità da chi l’ha saputo.

La Procura Militare, informata nell’immediatezza dall’Arma, avrebbe nei giorni scorsi disposto gli indispensabili approfondimenti investigativi per comprendere le esatte circostanze e le motivazioni del riferito gesto mentre l’Arma ha già avviato le procedure interne per la valutazione disciplinare del personale coinvolto nella vicenda e il suo trasferimento in altre sedi. Anche la Procura ordinaria di Modena si sarebbe attivata, aprendo un fascicolo e disponendo indagini.

Anche il sindacato Unarma è intervenuto, con il segretario provinciale Antonio Loparco: “Pensavamo subito ad uno scherzo, oppure ad una scena di un film comico. Pensiamo che la cosa, come riportata, sia davvero molto grave. Da genitori e coniugi, non immaginiamo l’effetto che può provocare ai familiari della carabiniera appena hanno appreso la notizia. Una cosa inaudita senza precedenti. Che provoca un discredito irreparabile all’Arma dei Carabinieri”.

L’avvocato Luca Camaggi, difensore dell’ufficiale in questione, in una nota ha detto che pur non volendo entrare nel merito, il suo assistito “intende precisare che la narrazione che degli stessi è stata data è quanto di più distante dai principi e dai valori che hanno sempre guidato il suo agire. Siamo certi che nelle sedi opportune ci sarà modo di offrire una ricostruzione veritiera dell’episodio, da non potersi certo ricondurre a gesti ridicolizzanti o offensivi della collega del comandante”. Sempre a Modena, è di ieri la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per il tenente colonnello Giampaolo Cati, accusato di stalking ai danni di 11 sottoposti al centro ippico dell’Accademia militare, con condotte sessiste e umilianti. A marzo, ancora nella città emiliana, due ufficiali dell’Arma sono stati trasferiti dopo il caso dei video del brigadiere che picchiava persone fermate.

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Ucciso a 5 mesi dal pitbull, procura apre un’inchiesta

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Per il neonato ucciso ieri dal cane di casa, un pitbull, la procura di Vercelli ha aperto un fascicolo per appurare eventuali responsabilità. Il piccolo Michele, 5 mesi, era stato azzannato dall’animale nel tardo pomeriggio, mentre era nel cortile di casa a Palazzolo (Vercelli) con la nonna che lo accudiva, mentre i genitori si erano allontanati come accadeva ogni tanto, per la spesa o per seguire dei lavori di risistemazione di un’altra casa. La nonna ora è in ospedale a Vercelli, per lievi ferite riportate durante l’aggressione avvenuta da parte del cane, ma soprattutto perché sotto shock per l’accaduto.

Il bambino era stato improvvisamente assalito dal cane di proprietà dei genitori: l’animale aveva puntato più volte alla parte posteriore del collo e al cranio. Titolare dell’indagine è il sostituto procuratore Michele Paternò e al momento è stato disposto il sequestro del cane, Nerone, un pitbull di otto anni, per motivi di sicurezza e per verificare un’eventuale indole pericolosa. L’animale ora si trova quindi in un canile della zona. L’inchiesta è indirizzata anche all’accertamento di eventuali negligenze da parte dei proprietari del cane e ieri sera sarebbero stati portati via dall’abitazione dove la coppia viveva con bebè e nonna, altri due cani di proprietà della famiglia.

Erano stati gli stessi genitori, una volta rientrati in casa, a lanciare l’allarme e a portare il figlio in fin di vita verso l’elisoccorso, atterrato nel campo sportivo del paese per un tentativo estremo di salvarlo. Animalisti e associazioni dei consumatori hanno reagito chiedendo nuovamente di regolamentare “con urgenza la detenzione di determinate razze o simil-razze” come sottolinea ad esempio l’Oipa. I casi simili infatti si ripetono, dal bambino di un anno morto a Eboli, ad altre due aggressioni finite senza conseguenze estreme nel Foggiano, ai danni di una bimba e di un’adolescente, di cui era stata data notizia proprio ieri.

Viene inoltre evidenziato dal Codacons come “l’aver eliminato la lista delle 17 razze di cani a rischio introdotta dall’ ex ministro Sirchia ha di fatto cancellato qualsiasi obbligo per i loro proprietari, con conseguenze negative sul fronte della sicurezza”, chiedendo un “patentino per i cani potenzialmente pericolosi”. Dall’Aidaa, che esprime vicinanza alla famiglia, arriva intanto un appello anche per il pitbull: “Annunciamo fin da ora che faremo tutto il possibile per garantire salva la vita di quel cane, che in fondo si è solo comportato come il suo istinto gli ha suggerito”.

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