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Economia

Alta tensione sul superbonus, buco da 38 miliardi

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Alta tensione sul Superbonus. La modifica introdotta dal governo Meloni per “correggere” le “distorsioni” del sistema crea fibrillazioni fuori e dentro l’esecutivo. Nel mirino finisce soprattutto la scelta di cambiare le regole in corsa, con l’affondo del M5s, di cui questa è stata una misura bandiera, ma anche con Forza Italia già pronta a modifiche in Parlamento. Il governo però difende la decisione, dettata dai costi eccessivi di una misura che è andata a beneficio solo dei più ricchi. E prepara modifiche anche sul grande nodo della cessione dei crediti.

A rendere necessario l’intervento, che innanzitutto riduce da gennaio l’aliquota dal 110% al 90%, è il fatto che in questi anni il Superbonus, nato “meritoriamente” per aiutare l’economia, alla fine “ha creato molti problemi”, a partire dall’eccessivo costo per lo Stato: un macigno da 60 miliardi, che ha lasciato “un buco di 38”, spiega la premier Giorgia Meloni difendendo in conferenza stampa la misura contenuta nel decreto aiuti quater appena approvato dal cdm e oggetto già ieri di diversi malumori.

Inoltre, la copertura al 110% ha “deresponsabilizzato chi la usava”, favorendo di fatto “prevalentemente i redditi medio alti”, spiega ancora la premier, all’avvio di una lunga giornata che l’ha vista impegnata in un nuovo confronto con le parti sociali sulla manovra. Per la quale la premier si augura di liberare nuove risorse proprio con scelte come quella sul superbonus. Accanto a lei il titolare dell’economia Giancarlo Giorgetti, sintetizza: “Non si è mai visto nella storia una misura che costasse così tanto a beneficio di così pochi”.

Il governo difende anche l’urgenza dell’intervento, arrivato con decreto, anziché in manovra: c’era la necessità di fare chiarezza al più presto, spiega Giorgetti, che annuncia interventi (“stiamo definendo una via d’uscita”) anche sulla cessione dei crediti, che sta mettendo a rischio tante imprese. Ma una cosa deve essere chiara: si è creata l’idea che il credito di imposta sia “sostanzialmente moneta”, ma “non è così”; e anche “la cessione del credito è una possibilità, non un diritto”.

Con le nuove modifiche, che riaprono anche anche le porte alle villette, con un tetto ai redditi e con un primo accenno di quoziente familiare, si punta dunque a “concentrare in modo selettivo” gli aiuti a favore dei redditi medio-bassi. E’ una “scelta politica”, rimarca Giorgetti, assicurando che la modifica “non è retroattiva” e salvaguarda chi ha già deliberato i lavori.

La misura tuttavia agita gli animi, fuori e dentro la politica. L’associazione dei costruttori avverte che “cambiare le regole in 15 giorni significa penalizzare” le fasce deboli. Mentre dall’Abi agli artigiani si moltiplicano gli appelli perché si acceleri sullo smobilizzo dei crediti. “Il governo cambia le regole in corsa e rompe il patto con famiglie e imprese, danneggiando chi aveva già programmato investimenti”, attacca il capo dei pentastellati Giuseppe Conte che chiede al governo di fermarsi prima di “dare un ulteriore colpo ai cittadini”.

E da dentro la maggioranza Forza Italia, dopo i mal di pancia di ieri, annuncia un emendamento per spostare almeno di un mese la fine del 110%. Al di là del superbonus, col decreto arrivano altri aiuti fino a fine anno contro il caro-energia: “stanziamo i primi 9,1 miliardi” per dare “immediata risposta a famiglie e imprese”, sottolinea la premier, passando in rassegna le varie misure: la rateizzazione delle bollette per le imprese, l’estensione del tetto dei fringe benefit che sarà come una “tredicesima detassata” per i lavoratori, il tetto al contante sale a 5mila euro che ci allinea alle media Ue, l’aiuto di 50 euro ai piccoli commercianti per acquistare il Pos, la proroga al 2024 del mercato tutelato del gas.

E ancora, risorse aggiuntive per le Rsa e sul gas nuove concessioni e prezzi calmierati per mettere “in sicurezza il tessuto produttivo italiano”. Aiutiamo l’eccellenza del made in Italy, aggiunge il ministro dell’industria Urso, citando le vetrerie di Murano, la ceramica di Sassuolo, la carta, la siderurgia.

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Economia

Nozze Ita-Lufthansa, rischio veto Ue senza modifiche

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Parte una settimana decisiva sul futuro di Ita-Lufthansa. Le due compagnie dovranno presentare all’Antitrust Ue un nuovo pacchetto di impegni con i dovuti miglioramenti per arrivare alle tanto agognate nozze. Le proposte messe sul piatto finora sullo scalo di Milano-Linate, sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale e sui collegamenti a lungo raggio da Fiumicino verso Stati Uniti e Canada sono state ritenute insufficienti da Bruxelles. In caso di modifiche, la Commissione europea, impegnata al momento nel market test che si concluderà lunedì, valuterà i nuovi rimedi e la sua decisione potrebbe “consolidarsi” già a inizio giugno. Senza miglioramenti, a quanto si apprende da fonti comunitarie, l’operazione è destinata ad essere bocciata. L’annuncio ufficiale è atteso entro il 4 luglio.

Tra le sue richieste, la Commissione chiede di cedere molti più slot a Milano Linate: il 30%, 60 voli giornalieri, secondo quanto scrive il Corriere della Sera, e in questo modo la quota di mercato combinata sullo scalo passerebbe dal 66 al 46%. Ita e Lufthansa propongono invece di rilasciare l’11-12% degli slot. La compagnia tedesca dovrebbe, poi, rinunciare ai ricavi che realizza sui voli tra l’Italia e il Nord America. L’idea avanzata dai tedeschi, ossia congelare per due anni l’alleanza con Ita sui lunghi collegamenti da Fiumicino con Usa e Canada non ha convinto la Commissione in quanto Lufthansa detiene già un’ampia quota di mercato attraverso le joint venture formate con United Airlines e Air Canada. Qualche giorno fa il presidente di Ita Airways, Antonino Turicchi, ha sottolineato che “questa è un’operazione a favore del mercato, non compromette la concorrenza”.

E in difesa dell’operazione Italo-Tedesca si è espresso anche l’amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Marco Troncone. La fusione “significa molto per il Paese e per l’Europa, nonostante i dubbi che la Commissione solleva”, ha detto il numero uno di Adr, evidenziando come “i profili di concentrazione di questa operazione siano oggettivamente marginali nel contesto del mercato rilevante”. Una eventuale bocciatura dell’operazione Ita-Lufthansa da parte della Commissione europea aprirebbe scenari molto foschi per il futuro della newco, nata dalle ceneri di Alitalia. L’amministratore delegato del gruppo Ryanair, Michael O’Leary, non ha dubbi: senza Lufthansa la compagnia italiana “andrà in bancarotta e scomparirà “.

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Economia

Banche, utili record: in tre mesi a 6,3 miliardi

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Il sistema bancario “continua a macinare record”. Numeri in crescita anche nel primo trimestre dell’anno con i primi sette gruppi bancari del Paese (IntesaSanpaolo, Unicredit, Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio e Credem) che hanno fatto registrare utili pari a 6,3 miliardi, per un +25,6% sui primi tre mesi del 2023. Lo rileva un report condotto dall’Ufficio studi & ricerche della Fisac-Cgil sui risultati di bilancio dei primi sette gruppi bancari nazionali nel primo trimestre del 2024.

“Dopo i risultati da record per i grandi gruppi bancari nel biennio passato – commenta la segretaria generale della Fisac-Cgil, Susy Esposito – molti si attendevano un rallentamento, complice l’attesa discesa dei tassi di interesse. Il ritardo della Bce a diminuire i tassi di riferimento, e di conseguenza la trasmissione di questo ai tassi attivi praticati dalle banche, insieme alla perdurante politica di scarsa remunerazione dei depositi, ha mantenuto elevato il livello dei ricavi dalla gestione del danaro”. Risultati che, aggiunge, “a fronte di un contenimento sul versante della spesa del personale, nonostante il rinnovo del contratto, così come delle spese amministrative, deve indurre il sistema bancario per intero a investire sull’occupazione e sul radicamento nel territorio”.

Il margine di interesse, si rileva nel report della Fisac-Cgil, sale ancora, per il campione, di quasi il 7% nei primi tre mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2023. La dinamica delle commissioni, per quasi tutti i gruppi, ha accelerato (+5,3%) e spesso deriva dalla spinta alla vendita di prodotti assicurativi ma anche da quelle relative all’amministrazione dei titoli. Il prodotto delle due componenti più significative dell’attività caratteristica bancaria ha spinto ulteriormente verso l’alto i ricavi totali (17,8 miliardi di euro per un +9,8%). Sul versante dei costi del personale, che hanno registrato un aumento del +2,5% derivato anche dal rinnovo del contratto Abi, si mantengono mediamente più elevati rispetto allo stesso periodo del 2023 seppur in maniera contenuta, così come le spese amministrative, sottolinea il rapporto della Fisac.

Questa dinamica dimostra, dal lato dei costi per il personale, “la capacità delle banche di agire gestionalmente per mantenere sotto controllo questi ultimi, anche e purtroppo attuando politiche di riduzione degli organici come di mancato turn over”, prosegue il report. Dal lato delle spese amministrative (-0,5%), la previsione di investimenti in nuova tecnologia, spiega inoltre la Fisac-Cgil, come previsto da quasi tutti i piani di impresa, “farebbe pensare ad un incremento di queste ultime anche a scapito della erosione dei margini, fenomeno che non si è ancora verificato. Viceversa il contenimento delle spese, anche attraverso la politica della chiusure delle filiali, a beneficio della redditività a disposizione della distribuzione di utili, può rallentare il processo di innovazione tecnologica, così come confermare la dinamica di riduzione di dipendenti e sportelli”.

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Economia

Abi, tasso medio dei conti corrente sale allo 0,59%

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In aprile il tasso medio praticato dalle banche italiane sui nuovi depositi a durata prestabilita (cioè certificati di deposito e depositi vincolati) è stato il 3,63%. A marzo 2024 tale tasso era in Italia superiore a quello medio dell’area dell’euro (Italia 3,67%, area dell’euro 3,50%). Rispetto a giugno 2022, quando il tasso era dello 0,29% (ultimo mese prima dei rialzi dei tassi Bce), l’incremento è stato di 334 punti base.

Lo afferma il rapporto mensile dell’Abi. Il rendimento delle nuove emissioni di obbligazioni bancarie a tasso fisso ad aprile 2024 è stato il 3,81%, con un incremento di 250 punti base rispetto a giugno 2022 quando era l’1,31%. In aprile il tasso medio sul totale dei depositi (certificati di deposito, depositi a risparmio e conti correnti), è stato l’1,05% (1,04% nel mese precedente, 0,32% a giugno 2022). Il tasso sui soli depositi in conto corrente è salito allo 0,59% (0,57% nel mese precedente), tenendo presente che il conto corrente “permette di utilizzare una moltitudine di servizi e non ha la funzione di investimento”, conclude l’Abi.

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