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Politica

Ferrandino lascia il Pd e va con i suoi amici Renzi e Calenda: scelta sofferta ma necessaria

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L’europarlamentare Giosi Ferrandino lascia il Pd di Enrico Letta, di cui aveva condiviso poco o nulla quanto a iniziative politiche e gestione della campagna elettorale, è va con i suoi amici di sempre Matteo Renzi e Carlo Calenda. La notizia era nell’aria, oggi è stata solo ufficilizzata. Ferrandino, che è tra i parlamentari europei più attivi, lascia il gruppo socialista e passa nell’area politica Renew Europe.

Quella che segue è la lettera con cui Ferrandino spiega i motivi per cui lascia il Pd.

I motivi di una scelta molto sofferta ma come sempre sincera.

A cosa è servito lo sfogo di Zingaretti al momento delle sue drammatiche dimissioni? A cosa sono serviti gli applausi che ha scatenato quell’accorato appello? A cosa è servito il lavoro di sintesi per dare una guida al Partito nel momento di maggiore crisi degli ultimi anni? A nulla. È come se non fosse mai accaduto. Come se nella stanza dei bottoni del PD ci sia una sorta di formula alchemica che, come per magia, accelera o rallenta il tempo con sempre un unico e solo intento, quello di cancellare ogni cosa passata in modo che tutto rimanga uguale a se stesso, immobile in maniera gattopardesca. 

Eppure questa volta io mi ero illuso che dopo la sonora sconfitta alle Politiche di settembre ci sarebbe stato uno scatto di reni, una reazione orgogliosa di rilancio, che avrebbe consentito al nostro popolo di riacquistare fiducia e fiato per riempire le piazze contro questo governo. Era necessario per far capire che la lezione (finalmente) era stata assimilata, che si voleva una svolta. Il mio “schema” personale era: Congresso immediato, nuova guida del partito e soprattutto nuova linea politica. Ragionevole, no?

Invece no, la pozione alchemica ha fatto il suo lavoro: si è preso tempo impantanando tutto. Si è analizzata la sconfitta, ragionando su come, tutto sommato, il risultato non era proprio una sconfitta e che era colpa degli altri se avevamo perso. 

Per non andare troppo lunghi, lo spirito di autoconservazione dei pochi ha messo a tacere il grido dei tanti.

Si è deciso di tergiversare, di fare melina. Un insulto all’intelligenza di molti solo per far decantare la sconfitta e permettere ai pochi di non perdere le redini del partito. 

Mi sono chiesto spesso, in queste settimane, cosa mi accomunasse al PD, a questo PD. Anche alla luce della mia storia, della mia provenienza politica. 

La risposta, alla fine, è stata disarmante: a parte i suoi militanti, quelli che ogni giorno alzano le serrande delle poche sezioni rimaste aperte, a parte i suoi amministratori, in trincea ogni giorno per difendere gli interessi dei cittadini per dare risposte ai mille problemi del quotidiano, non ho più nulla da condividere con questo Partito.

Qual è la linea su temi come Giustizia, Ambiente, Lavoro, Scuola? 

Banalmente: non c’è alcuna linea, ognuno ha la sua!

Ci si limita a rincorrere le posizioni di altri, a cominciare dal M5S. 

Questi maestri del camufflage neanche ci vogliono stare con noi, ma chissà per quale strano motivo noi li abbiamo trasformati da movimento populista a espressione del riformismo, modello a cui tendere per vincere! 

Ma su di me la pozione alchemica non fa effetto e io non dimentico. Non dimentico le umiliazioni subite dal segretario Bersani, sbeffeggiato in diretta streaming. 

Non dimentico la violenza verbale contro di noi, non dimentico i suoi principali esponenti felici di averci rappresentato come una piovra.

Non dimentico il fango e le accuse, le continue bullizzazioni mediatiche. Non dimentico Di Maio fuori il tribunale di Napoli inveire contro il PD, lo stesso Di Maio che, nonostante non avesse abolito la povertà, poi mi sono trovato candidato nelle liste del PD. 

Oggi sento dire che solo alleandoci con il M5S riusciremo a governare. Capite?

Il punto è, cari amici, che non si deve governare per forza, ma questo PD sembra non capirlo, anzi non sembra proprio accettarlo. 

Si governa quando le idee, le prospettive, convincono l’elettorato a darti la maggioranza, punto. 

Vocazione maggioritaria vi ricorda qualcosa?

Abbiamo perso contatto e affinità con l’elettorato perché oggi il PD non è più custode di nessuno dei valori su cui è stato fondato. 

Ecco, per queste ragioni io ho deciso di andare via. 

Aderisco al Terzo Polo, quel laboratorio messo su da Calenda e Renzi e che oggi offre una prospettiva nuova a chi, come me, crede nel riformismo come strumento di trasformazione della società. 

È una sfida nuova, stimolante, che mi farà ritornare l’entusiasmo che il PD mi ha fatto perdere. 

C’è un partito da costruire, soprattutto al Sud, e sarà questa la mia missione nei prossimi mesi. Abbiamo una classe dirigente composta da amministratori che non trova più riferimenti ed è con loro che proverò a costruire un dialogo, affinché il Terzo Polo possa diventare la loro nuova casa. 

Saluto con affetto e ringrazio dal profondo del mio cuore i tanti amici del PD con i quali in questi anni ho condiviso tante battaglie. 

Chissà, magari presto potremo continuare a lavorare insieme, ma per me, è arrivato il momento di andare avanti e di provare a scrivere una nuova storia personale e di popolo. Con l’Europa ed il Sud nel cuore.

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Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli

Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.

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Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.

Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.

L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica

Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.

Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola

Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.

La sfida canora con Umberto Eco

Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».

Il rimpianto dello ius soli

Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».

I 101 e la caduta di Prodi

Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».

Il rapporto con la morte

Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».

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Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza

In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.

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In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.

Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.

Nessun vertice politico ai funerali del Papa

Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.

La sfida: riavvicinare Usa ed Europa

Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.

L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale

Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.

Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.

L’Italia sulla pace in Ucraina

Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.

Nuove misure per la sicurezza sul lavoro

In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.


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Politica

Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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