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Economia

Giorgetti a Bruxelles, ‘approccio prudente, realista’

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La prossima manovra italiana avrà un “approccio prudente e realista”. Quanto al debito “ognuno deve fare la propria parte e l’Italia la farà”: sono i messaggi di grande prudenza del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, al debutto all’Eurogruppo a Bruxelles da titolare di via XX Settembre. Nessun problema, ha garantito, anche con il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, già incontrato nei giorni scorsi a Berlino, e ritenuto in pressing sul debito italiano soprattutto in vista della riforma della governance Ue: “Tutti siamo preoccupati per il debito però basta spiegare la situazione – ha garantito Giorgetti -. Anche con Lindner è stato un bell’incontro, quindi i rapporti sono positivi”.

“Lo scambio con il nuovo ministro italiano è stato estremamente positivo – ha detto il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe -. Ritengo ci sia ampia possibilità di lavorare a stretto contatto in maniera produttiva con il nuovo governo. Ho notato un fortissimo impegno a gestire le finanze italiane adeguatamente”.

“Non potrei essere più d’accordo con Paschal”, ha aggiunto il commissario Ue agli Affari Economici Paolo Gentiloni. L’esecutivo europeo, ha anche spiegato Gentiloni che ha incontrato a Roma nei giorni scorsi Giorgetti, si aspetta “un atteggiamento di grande cautela” sulla prossima manovra italiana, visto anche l’alto debito del Paese, senza dimenticare la possibilità di “eccezioni per misure di sostegno legate all’emergenza energetica, il più possibile mirate”. Con il passaggio al collegio dei commissari mercoledì a Bruxelles prenderà il via l’iter per arrivare a una riforma del Patto di Stabilità e crescita.

La proposta della Commissione, che secondo le attese avrà la forma di una comunicazione, dovrebbe aprire a una nuova flessibilità, grazie all’adozione del modello Recovery, pur mantenendo i parametri del 3% nel rapporto deficit/Pil e del 60% nel rapporto debito/Pil. Sulla riforma del Patto, ha detto Giorgetti, stando alle indiscrezioni “qualche passo in avanti dovrebbe esserci. Però qualsiasi ipotesi deve avere dei requisiti: la semplicità prima di tutto, che sia comprensibile a tutti non soltanto agli addetti ai lavori, e la fattibilità, perché viviamo tempi particolarmente complicati e dobbiamo essere pronti in qualche modo a essere reattivi, flessibili alle circostanze avverse, prima la pandemia oggi la crisi dell’energia”.

Il ministro tedesco Lindner, intanto, ha ribadito come accanto alle “grandi preoccupazioni” per l’inflazione considera “fondamentale la solidità della pubblica amministrazione” e della riduzione del debito, dicendosi quindi “ansioso” di ascoltare la presentazione delle linee programmatiche dell’Italia. Giorgetti ha anche confermato a Bruxelles l’impegno dell’Italia a ratificare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il controverso (in Italia) ex Fondo salva-Stati.

“Mi attesto sulle posizioni del precedente Governo di cui facevo parte: aspettiamo le decisioni della Corte tedesca e poi decideremo”, ha detto dapprima riferendosi all’attesa che la Consulta in Germania si pronunci su un ricorso dei liberali dell’Fdp contro il Mes. “Appunto, confermiamo la stessa cosa, nel frattempo aspettiamo”, ha aggiunto rispetto al fatto che il Governo Draghi aveva confermato di voler ratificare il Mes. Dal vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis è stato intanto anticipato che nelle “previsioni che presenterà l’11 novembre confermerà un ulteriore rallentamento dell’economia, confermando l’alta inflazione”.

A fronte della crisi energetica e inflattiva, ha segnalato Gentiloni, “dobbiamo garantire collettivamente tre cose: che le misure siano fiscalmente sostenibili, che siano mirate ai soggetti più vulnerabili, che preservino le indicazioni sui prezzi”. “Circa il 70% delle misure adottate finora dagli Stati membri non sono mirate”, possono “essere fatti ulteriori progressi”.

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Bpm incalza Unicredit, ‘dica se va avanti o no’

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Banco Bpm sbotta e chiede a Unicredit, in termini perentori e con malcelata insofferenza, di chiarire che cosa intenda fare dell’offerta su Piazza Meda, di fatto congelata dopo che il governo, brandendo il golden power, ha imposto alla banca guidata da Andrea Orcel una serie di onerosi paletti. “Ci sono condizioni di efficacia che non si sono realizzate e che non si realizzeranno più” e dunque “chiediamo a Unicredit” di prenderne atto e decidere “se rinunciare alle condizioni o se rinunciare all’offerta”, ha detto in assemblea il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, facendo riferimento al rialzo del prezzo su Anima, alla mancata concessione del Danish Compromise e al golden power. Concetto ribadito dall’ad Giuseppe Castagna (foto in evidenza Imagoeconomica): “dicano se l’offerta va avanti o si ferma”. Per Tononi “non ci sono altre opzioni. Prendano un punto di vista definitivo, ce lo comunichino e lo comunichino anche al mercato che ha bisogno di maggiore chiarezza”.

“A prescindere dalla passivity rule, questa situazione di incertezza che dura da diversi mesi inizia onestamente ad essere poco apprezzabile e poco ragionevole”, si è lamentato il banchiere. Dopo l’esercizio del golden power – con cui il governo ha chiesto tra l’altro l’uscita dalla Russia e il mantenimento per alcuni investimenti di Anima su emittenti italiani – Unicredit ha chiesto udienza al governo, al momento senza riscontro, affermando di non essere in grado di assumere una “decisione definitiva” sull’offerta. Nel corso dell’assemblea – che ha approvato bilancio e dividendo con oltre il 99% dei voti – sono state ribadite le ragioni per cui l’ops non conviene.

“E’ un’operazione che va a vantaggio solo degli azionisti di Unicredit e a scapito di quelli del Banco”, ha detto Castagna ricordando che l’offerta implica “un importante trasferimento di valore” a favore dei soci di Unicredit, ai cui utili Banco Bpm contribuirà per il 18% vedendosi però riconoscere solo il 14% del capitale e delle sinergie del gruppo post-fusione. Con l’effetto di “una perdita di valore di circa 2,4 miliardi” per i suoi soci e “una creazione di valore di circa 7,5 miliardi” per Unicredit. Oltre agli aspetti finanziari, che includono anche l’assenza di un premio, ci sono quelli industriali: dal pericolo “di decapitare di un terzo” i circa 20 mila dipendenti di Bpm al “rischio significativo” della presenza in Russia di Unicredit, che potrebbe costare fino a 5,5 miliardi di svalutazioni, dall’assenza di un piano industriale congiunto all’incertezza sul destino di Anima, per finire con le ricadute del golden power.

“E’ Unicredit che deve dire se queste decisioni in qualche modo rendono possibile o non possibile” la loro offerta e come “impattano il valore che loro attribuiscono alla nostra banca”, ha detto Castagna senza entrare nel merito delle richieste del governo ma invitando anche a non fare “strumentalizzazioni” sui paletti relativi ad Anima imposti a Unicredit e non al Banco. “Nessuno si pone la domanda se Anima, in una banca al 100% in Italia, continui a investire in Italia” mentre “non si pensa lo stesso” di Unicredit che “ha il 65% delle attività sull’estero” e dunque “interessi che non sono al 100% coincidenti con quelli del nostro Paese”, ha spiegato Castagna.

Tra i possibili ostacoli sul cammino di Orcel c’è anche il Credit Agricole, primo socio del Banco con il 19,8% del capitale, che deciderà “nelle prossime settimane” se aderire all’ops, ha detto il ceo Philippe Brassac. “Ci sentiamo su un percorso che è stato apprezzato dall’Agricole” ha assicurato Castagna mentre i rumor danno i francesi sempre più freddi verso Unicredit e le crescenti difficoltà dell’operazione si traducono in uno sconto di quasi 800 milioni dell’ops rispetto ai corsi di Borsa. Dove, per le banche, è stata una giornata di vendite: Unicredit e Mps hanno perso il 2,8%, Mediobanca il 2,1%, il Banco l’1,9%, Bper l’1,7% e Intesa l’1,5%.

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Il Pil accelera a +0,3%. Giorgetti: noi meglio di altri

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L’economia italiana cammina. Non ancora a passo svelto, ma con un movimento che c’è e si vede, tanto da sorpassare anche i principali partner economici europei. Nei primi tre mesi dell’anno, ancora immuni dall’effetto panico scatenato dai dazi a livello globale all’inizio di aprile, il Pil è cresciuto dello 0,3%. Un buon inizio, considerando gli abituali ritmi di crescita italiani. L’accelerazione del primo trimestre 2025 rispetto al +0,2% di fine 2024 ha permesso all’Italia di superare la crescita più modesta di Germania e Francia, rispettivamente +0,2% e +0,1%, e di piazzarsi appena sotto la media dell’Eurozona, che nello stesso periodo ha messo a segno un +0,4%.

La Spagna continua a registrare percentuali invidiabili (+0,6% trimestre su trimestre), ma aver scavalcato Berlino e Parigi non ha lasciato indifferenti gli esponenti del governo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato il primo a rivendicare il risultato, sottolineando “la crescita migliore rispetto ad altri paesi europei”, oltre che “la correttezza delle previsioni e l’efficacia delle politiche economiche del governo”. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, lo ha seguito a ruota evidenziando la crescita dei comparti produttivi, ovvero industria e agricoltura. La maggioranza ha poi fatto eco, parlando di dati incoraggianti e di successo del governo Meloni. Ma per l’opposizione la chiave di lettura è ribaltata: il M5S definisce la crescita “misera”, mentre il Pd torna a puntare il dito sui bassi salari.

A soffiare sul fuoco arrivano infatti i dati dell’Ocse sul cuneo fiscale: per i single senza figli ha raggiunto in Italia il 47,1% del costo del lavoro, confermandosi largamente sopra la media del 34,9%. Rispetto al 2023, il 2024 ha registrato un aumento di 1,61 punti, il più significativo tra i Paesi aderenti all’organizzazione. I salari italiani, al centro proprio in questi giorni dell’attenzione anche di Sergio Mattarella, devono peraltro fare i conti anche con un’inflazione che torna a farsi sentire. La prima fotografia dell’Istat sul mese di aprile vede infatti un rialzo dell’indice generale dall’1,9% al 2% e un ancora più marcato aumento del cosidetto carrello della spesa dal 2,1% al 2,6%, trascinato dai prezzi degli alimentari. Sul piano macro, l’inflazione potrebbe in realtà aiutare la riduzione del debito ma più di tutto, per tenere sotto controllo i conti, è la crescita che serve.

Grazie alla mini-spinta del 2024 e al risultato del primo trimestre, il Pil acquisito per il 2025 si attesta allo 0,4%, percentuale poco al di sotto il +0,6% delle previsioni del Documento di finanza pubblica presentato dall’esecutivo a metà aprile. Mantenendo la via ufficiale della prudenza, d’obbligo considerata l’incertezza geopolitica, commerciale e finanziaria a livello internazionale, Giorgetti ha aperto pochi giorni fa uno spiraglio di fiducia, non escludendo la possibilità di una revisione addirittura al rialzo delle stime. Ma le incognite restano, a partire dall’effetto dazi, che per ora risulta evidente solo sull’economia americana, e dalle spese per la difesa. Il governo italiano ha chiarito più volte che per il momento non intende attivare la clausola di salvaguardia Ue per aumentare la spesa in armamenti.

Ma la Bce già avverte sui potenziali rischi. Nei Paesi Ue ad alto debito, fra cui l’Italia, in caso di attivazione di una maggiore flessibilità, il calo del rapporto fra debito e Pil, previsto a partire dal 2027-2028 in base alle stime della Commissione europea, slitterebbe di quattro anni al 2031. Complessivamente, secondo la Banca centrale “la messa in pratica della nuova governance economica è circondata da significativa incertezza”, che rende “fondamentale” una piena realizzazione degli impegni presi nei Psb nazionali e in particolare “l’effettiva implementazione delle riforme e degli investimenti” previsti per rilanciare la crescita.

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I ricavi di Prada crescono ancora spinti da Miu Miu

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Prada continua a muoversi controcorrente nella moda e del lusso in uno scenario che Patrizio Bertelli, presidente e amministratore esecutivo del gruppo, definisce “sempre più turbolento e incerto”. Non tanto tuttavia da avere impedito alla casa di moda di comprare Versace, come ha annunciato una ventina di giorni fa. In attesa del closing nella seconda metà del 2025, e del lungo lavoro per rilanciare il brand della Medusa, nel primo trimestre il gruppo milanese ha visto crescere i ricavi a due cifre, +13% a 1.341 milioni. Anche le vendite retail sono salite del 13% a 1.216 milioni con il marchio Prada rimasto stabile mentre Miu Miu (+60%) ha confermato di essere il vero motore dell’azienda grazie alla sua estetica, definita irriverente e anticonvenzionale, che piace ai giovani.

L’area Asia Pacifico, quindi la Cina, ha registrato una crescita del 10%, nonostante una base di confronto impegnativa e condizioni di mercato sostanzialmente invariate. Il Giappone ha segnato +18%, seppur con un rallentamento che continuerà. Bene l’Europa (+14%), sostenuta dai consumi domestici e dal turismo, anche quello cinese. Le Americhe hanno registrato un +10% nonostante la crescente volatilità, supportate dalla domanda locale. I riflettori restano ora puntati sugli Stati Uniti dove il gruppo Prada ha investito molto, anche di recente, e dove “rimaniamo positivi” malgrado i cambi di direzione giornalieri della politica di Donald Trump sui dazi. La casa di moda – ha indicato l’ad Andrea Guerra – non ha ancora deciso se alzare i prezzi negli Usa: lo valuterà da giugno quando il quadro sarà più chiaro. In ogni caso, non solo negli States, “disciplina e precisione esecutiva saranno più importanti che mai nel contesto attuale e per confermare l’ambizione di generare una crescita solida, sostenibile e superiore alla media di mercato”, ha detto il manager.

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