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Manuel Bortuzzo, la mia storia di rinascita

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“Mi rende felice poter trasmettere speranza ai giovani: ovvero se vuoi, non devi mollare, puoi farcela. Vedo nei ragazzi quando li incontro che vogliono sentirsi dire qualcosa da me. Per il futuro guardo alle paralimpiadi”. E’ la lezione che viene da Manuel Bortuzzo, che ha rischiato di morire a 19 anni per un colpo di pistola alla schiena, per uno scambio di persona. Un agguato che lo ha privato dell’uso delle gambe, ma non del sogno di diventare un campione di nuoto. La sua storia ha commosso l’Italia e ora rivive nel film tv di Umberto Marino, Rinascere (prodotto da Moviheart e RaiFiction), in onda l’8 maggio su Rai 1 tratto dal libro di Bortuzzo. Protagonista Giancarlo Commare  nel ruolo di Bortuzzo, Alessio Boni interpreta il padre del nuotatore, Franco; Gea Dall’Orto e’ Martina la fidanzatina che era al suo fianco al momento dell’agguato davanti a un distributore di tabacchi, David Coco quello del suo mentore, il traumatologo Davide, Salvatore Nicolella e’ l’amico Alfonso, che dal primo momento lo sprona a reagire. Proprio oggi Manuel compie 23 anni (applausi a Viale Mazzini nel corso della presentazione alla stampa). “Quando ho guardato il film mi sono molto emozionato – confessa lo sportivo – sembrava che la storia non mi appartenesse, invece ero io. E’ fedele a quello che sono e quello che ero” Alessio Boni dice: “Ho accettato questo ruolo subito perche’ quando ho visto un’intervista di Manuel mi ha colpito la sua compostezza e dignita’. Sei contento che quelli che hanno sparato hanno preso 17 anni?, era la domanda. E lui ha replicato: ‘Sono le circostanze che li hanno portati a compiere un atto del genere, se fossi cresciuto in quell’ambiente, in quel contesto, forse anche io avrei sbagliato’ qualcosa. Per me interpretare Franco e’ stata una cosa formidabile. Questo padre e’ una roccia, mi ha confessato di aver pianto tre volte, non si e’ mai fatto vedere, perche’ se piangeva lui veniva giu’ tutto. E’ importante ricordare certi momenti e certi esempi: Alex Zanardi, Bebe Vio, Manuel. Vince la vita”. Commare aggiunge: “Il libro di Manuel e’ stato come la mia bibbia. Mi dava forza, era come se lui fosse vicino a me. Non abbiamo lavorato di imitazione, ho visto tutte le interviste che ha fatto, ho voluto cogliere i suoi gesti ma il libro l’ho tenevo sotto il cuscino, mi ha permesso di capire chi fosse veramente, e’ stato un viaggio intimo che mi ha toccato. Volevo rappresentare al meglio i suoi sentimenti e le sue emozioni. La scena che piu’ mi ha segnato e’ stata quella del risveglio”. Franco Bortuzzo: “Ho Manuel qui davanti vivo, altrimenti sarebbero stati tre anni che porto fiori sulla sua tomba”. E’ la notte del 2 febbraio 2019. Manuel, giovane promessa del nuoto, viene colpito alla schiena da un proiettile per uno scambio di persona. Le immagini di quella notte, riprese da una telecamera di sorveglianza, le conosciamo tutti. Poi la corsa in ospedale, le operazioni e una volta scongiurato il pericolo di vita, la diagnosi: lesione midollare completa. Quindi la sedia a rotelle, la riabilitazione, il sorriso di Manuel, nonostante l’assurdita’ di quello che gli e’ accaduto. E sopra ogni altra cosa la forza che ha dovuto trovare dentro di se’, gli insegnamenti che ha saputo riconoscere anche in questa vicenda, la determinazione dello sportivo e del ragazzo speciale che ha dimostrato di essere. In questi mesi il pubblico lo ha visto anche al Grande fratello, educato, generoso. “Quando ho deciso di scrivere il libro l’ho fatto cavalcando l’onda di quello che provavo dopo l’incidente”. Dopo che e’ stato al Gf si e’ molto parlato della fine della sua storia con Lulu’ Selassie’, ora ribadisce: “L’esperienza nel reality e’ stata una sfida, un viaggio interiore molto sentito, mi sono tuffato nei ricordi, un valore aggiunto. In quanto al clamore e’ ovvio che chi ha seguito si e’ affezionato. Vede tutto in un mondo, rimane una parentesi bellissima che non e’ riuscita a trovare riscontro nel quotidiano”.

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Marino: campionato squilibrato da anni, troppa disparità fatturati e ricavi

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“Il nostro campionato non è equilibrato da diversi anni, ci sono disparità di fatturati e ricavi, non è una questione di oggi. Però è stato un bel campionato per quanto riguarda lo spettacolo offerto dalle squadre e anche per certe novità tecnico-tattiche. L’Inter ha ripercorso il campionato del Napoli dell’anno scorso. A volte ci sono anche i demeriti che determinano certi divari in classifica. Demeriti di alcune squadre che dovevano fare e non hanno fatto”. Così ai microfoni di Radio Anch’io Sport su Rai Radio 1 Pierpaolo Marino, decano dei dirigenti sportivi italiani, sul campionato di Serie A ormai alle ultime curve, a quattro giornate dalla fine. Si dovrebbe tornare a un campionato a 18 squadre? “Ho fatto tanti anni con l’Avellino e con il Napoli con campionati a 16 squadre. Sia a 16 che a 18 squadre sono campionati che nella loro brevità non fanno emergere i reali valori tecnici. Una sconfitta determinava una classifica in maniera inappellabile. Sono contrario alla riduzione delle squadre. I format migliori sono la Premier e la Liga, tutti campionati a 20 squadre che non vanno a ridurre l’organico. A mio avviso, quello attuale è il format giusto”.

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Napoli bello, Roma fortunata: è pari al Maradona

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– Napoli e Roma si annullano nella sfida valevole per la 34 giornata di Serie A. Al Maradona finisce 2-2 una bella sfida, accesa ed emozionante soprattutto nella ripresa: apre Dybala su rigore, Olivera e Osimhen (altro rigore) la ribaltano, poi nel finale il prezioso ritorno al gol di Abraham permette ai giallorossi di tornare a casa con un punto abbastanza importante per la corsa alla Champions League. La squadra di De Rossi sale a 59 punti restando a -4 dal Bologna, ma vede accorciare l’Atalanta che ora e’ dietro di sole due lunghezze e con una gara da recuperare. Amaro in bocca invece per gli uomini di Calzona, che scivolano a -5 dal settimo posto della Lazio.

La prima nitida occasione del match capita al 6′ in favore dei giallorossi (sara’ l’unica del primo tempo), quando da corner del solito Dybala arriva una sponda area di Mancini che pesca Pellegrini, il cui colpo di testa termina di poco alto sopra la traversa. Dopo una prima parte di gara giocata a ritmi bassi da ambo le squadre, i partenopei provano a crescere dalla mezz’ora: Osimhen tenta da posizione defilata trovando la respinta di Svilar, graziato invece poco piu’ tardi da Anguissa che sbaglia tutto a tu per tu.

Al 40′ si fa vedere Kvaratskhelia con il suo classico destro a giro, deviato in tuffo ancora da un attento Svilar, mentre a pochi istanti dal riposo un colpo di testa di Di Lorenzo sfila di poco a lato. Nella ripresa il Napoli continua nella propria produzione offensiva, ma al 56′ e’ ancora decisivo un intervento di Svilar ad evitare il possibile vantaggio di Lobotka. Passano un paio di minuti e, dall’altra parte, e’ invece la Roma a trovare l’episodio per sbloccare: Azmoun va giu’ in area a contatto con Jesus, l’arbitro fischia il penalty e Dybala lo trasforma alla perfezione nell’1-0 ospite.

Gli azzurri non ci stanno e al 64′, grazie ad un pizzico di fortuna, la pareggiano con Olivera: l’esterno calcia di mancino da fuori area, Kristensen devia e di fatto mette fuori causa Svilar che stavolta non puo’ nulla. Il match prende ritmo e i partenopei in particolare ritrovano morale, sfiorando il vantaggio al 73′ con Osimhen, che svernicia Mancini in velocita’ ma trova un miracoloso Svilar davanti a se’. Nel finale succede di tutto: Osimhen porta avanti il Napoli grazie ad un calcio di rigore fischiato dopo un contatto tra Renato Sanches e Kvaratskhelia (decisivo intervento del Var), poi all’88’ la Roma trova il nuovo pari con un colpo di testa di Abraham, che segna dopo una sponda aerea da corner di Ndicka ed esulta dopo un altro intervento del Var (gol inizialmente annullato per offside).

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30 anni senza Ayrton Senna, nel mondo saudade senza fine per un mito dell’automobilismo

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“Un giorno che non sarà mai dimenticato dai brasiliani” titolava ‘O Globo’. E non era per celebrare la vittoria in uno dei cinque mondiali conquistati dalla nazionale del paese dove il futebol’ è un’autentica religione. No, era riferito al prossimo 1 maggio, quando saranno 30 anni dalla scomparsa, quel tragico giorno del 1994 a Imola, di Ayrton Senna. Un idolo nel suo paese, ma una icona mondiale il cui mito vive anche nelle generazioni che i prodigi del pilota non hanno potuto ammirare. Per capire cosa significhi tuttora per i suoi connazionali il ‘tricampeao’ del mondo della formula uno, morto a soli 34 anni, basta andare al cimitero di Morumbi (il quartiere dell’alta borghesia di San Paolo, di cui Senna faceva parte) dove è sepolto.

Caro Ayrton, un libro di Anna Maria Chiariello a 25 anni dalla scomparsa del grande Senna

Lì, vicino alla lapide coperta dai fiori, c’è un albero che ‘custodisce’ le testimonianze lasciate dai visitatori in onore del loro idolo scomparso tragicamente e troppo presto, ci sono anche pezzi di carta con preghiere e invocazioni, quasi degli ex voto con scritto “proteggimi” o “fammi trovare un lavoro”. Proprio così, perché Senna per tanti è una divinità, e non è certo un’esagerazione il detto secondo cui non esiste brasiliano dai 40 anni in poi che non si ricordi cosa stesse facendo in quel momento, quando da Imola arrivò la terribile notizia. Ayrton Senna è un sentimento, non solo saudade ma fede, amore, qualcosa, anzi qualcuno, che non potrà mai essere dimenticato, e in Brasile ancora oggi le sue 161 gare disputate vengono analizzate una per una, per capire quale fosse il suo segreto, oltre al talento che Dio, nel quale Ayrton credeva fortemente, gli aveva donato.

Sono giorni che a Rio, San Paolo, Porto Alegre e in ogni altro angolo del Brasile si parla e si scrive di Senna, non solo dei 30 anni dalla sua morte, ma anche, è successo a marzo, dei 40 anni dal suo esordio in F1 con la Toleman, e subito “fu l’inizio di un amore – hanno scritto i giornali locali – e della sua consacrazione”. I grandi network nazionali hanno ricordato che Senna è stato il modello di Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo, che non ha mai nascosto l’amore per il Brasile e per quel fenomenale campione di cui possiede un casco, mentre il fenomeno di oggi, Max Verstappen ha ricordato che “le vetture di allora erano molto differenti, e sono certo che se Senna corresse oggi guiderebbe in modo diverso. Ma vincerebbe ugualmente”.

Al Corinthians, squadra del cuore del pilota è stato chiesto, in vista del trentennale di Imola, per onorare le memoria del suo tifoso così speciale di riutilizzare la maglia di qualche stagione fa, quando al posto della scritta dello sponsor sul petto dei giocatori del ‘Timao’ era stato stampato l’autografo di Senna. Intanto alcuni facoltosi appassionati stanno partecipando all’asta per acquistare la Honda NSX che Ayrton utilizzava per spostarsi nei periodi che trascorreva in Portogallo.

Apparteneva ad una persona di nazionalità britannica, di cui non si è fatto il nome, che ora l’ha messa in vendita, al prezzo base di 500mila sterline, circa 580mila euro. In Brasile non se la vogliono far sfuggire, e sarà una sfida all’ultimo real. Intanto, e soprattutto, rimane quel volto che è anche su tanti murales, amato da tutti e sinonimo di 41 gran premi vinti e tre titoli mondiali. Una striscia che avrebbe potuto continuare chissà fino a quando, ma il destino ha deciso diversamente. Di sicuro Ayrton Senna continua a vincere nei cuori della gente.

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