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Cronache

Omicidio Sacchi: quattro condanne, anche Anastasiya

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Tre condanne per concorso nell’omicidio volontario di Luca Sacchi, tre anni di reclusione per Anastasiya Kylemnyk, l’ex fidanzata accusata di violazione della legge sugli stupefacenti. E’ quanto deciso dai giudici della prima Corte d’Assise di Roma in merito all’omicidio del personal trainer finito con un colpo di pistola alla testa la notte tra il 23 e 24 ottobre del 2019 nel corso di una rapina. I giudici hanno accolto sostanzialmente l’impianto accusatorio infliggendo 27 anni a Valerio Del Grosso, la persona che sparo’ a bruciapelo a Sacchi, e 25 anni a Paolo Pirino, che partecipo’ all’azione omicidiaria. Stessa condanna a Marcello De Propris, che consegno’ l’arma usata per sparare. Assolto Armando De Propris, padre di Marcello, accusato della detenzione della pistola. I giudici, dopo oltre 10 ore di camera di consiglio, hanno disposto una provvisionale di oltre 1 milione di euro in favore della famiglia Sacchi e una multa di 30 mila per Anastasiya. “Ci riteniamo soddisfatti, non c’e’ stato l’ergastolo ma 27 anni sono tanti – ha commentato a caldo Alfonso Sacchi, padre della vittima -. E’ stata fatta giustizia. Di Anastasiya non so piu’ che dire, da lei mai una parola. In aula con noi si e’ scusato solo Armando De Propris, lei no”. La madre di Sacchi, Tina Galati, si e’ limitata a dire, visibilmente commossa, che “l’ergastolo lo hanno dato a noi a vita, Luca e’ morto per aiutare Anastasiya e questo dovrebbe ricordarselo a vita”. L’omicidio di Sacchi si e’ consumato nell’ambito di una trattativa intercorsa tra Luca Princi, amico di Sacchi e condannato in abbreviato a 3 anni in via definitiva per violazione della legge sulla droga, e un gruppo di pusher del quartiere San Basilio. Princi avrebbe infatti messo nello zainetto che quella notte Anastasiya aveva con se’ i 70 mila euro necessari all’acquisto di droga. Denaro e sostanza stupefacente mai trovate. Anche per questo il pm nel corso della requisitoria ha affermato di non sapere perche’ Sacchi e’ stato ucciso. “Il motivo a me ad oggi sfugge. Lo zaino era nelle mani di Pirino. Il grilletto e’ stato premuto da Valerio Del Grosso con gratuita violenza… non c’era motivo – ha detto il pm Giulia Guccione nel corso della requisitoria nel corso della quale aveva chiesto un ergastolo e due condanne a 30 anni . Il proiettile ha trapassato la testa di Luca e non gli ha lasciato scampo”. Per l’accusa Princi e Anastasiya – quest’ultima e’ comparsa anche come parte lesa nel processo – hanno tenuto “un comportamento ostativo all’accertamento della verita’ dei fatti” e in particolare la giovane “ha mentito e cambiato versione piu’ volte” ma “per fortuna i depistaggi non hanno colto nel segno e oggi si e’ potuto chiarire il contesto in cui e’ maturato l’omicidio”. Dopo la sentenza la ragazza non ha rilasciato dichiarazioni. Il suo difensore Giuseppe Cincioni lasciando piazzale Clodio ha affermato che l’esito del processo “non ci puo’ soddisfare ma con altrettanta chiarezza dico che le sentenze vanno lette prima di essere commentate. Siamo pronti a fare valere le nostre considerazioni nella sede naturale dell’appello”.

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Sophie Codegoni: «Ho denunciato il mio ex compagno, ma sto vivendo un inferno»

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Sophie Codegoni, 23 anni, influencer da oltre un milione di follower e volto noto del Grande Fratello Vip, racconta per la prima volta con dolore e coraggio il suo calvario. Una storia di violenza psicologica, controllo ossessivo e minacce che l’ha portata a denunciare l’ex compagno Alessandro Basciano, oggi indagato per stalking aggravato.

Un amore nato sotto i riflettori, finito nel terrore

«Tante volte ho pensato: ma chi me l’ha fatto fare di denunciare? È tostissimo. So di aver fatto la cosa giusta, ma sto vivendo un inferno», dice Sophie tra le lacrime. La relazione con Basciano era nata nel 2021 all’interno della casa del GF Vip. Lei aveva 19 anni, lui 31. Dopo il reality, la convivenza a Roma e la nascita della figlia Celine Blue sembravano coronare una storia d’amore. Ma dietro la facciata, si nascondeva un incubo.

La denuncia e il dispositivo anti-stalker

«A dicembre 2023 ho ricevuto l’orologio anti-stalker dai carabinieri. Basta un tasto e arrivano le pattuglie», racconta. Prima, Sophie aveva persino assunto una guardia del corpo per tutelarsi. Ma il vero spartiacque è arrivato con la decisione di tornare dalla sua famiglia, dopo aver scoperto numerosi tradimenti.

Da lì, minacce continue: «Ovunque andassi, lui lo sapeva. Mi scriveva: “Put***, ti tolgo la bambina”». E quando tentava di allontanarsi, le rispondeva con messaggi in cui minacciava il suicidio. Fino all’episodio culminante: «Ha aggredito i miei amici, ha spaccato la loro macchina, poi mi ha chiamata dicendo che avrebbe ammazzato anche me». È stato allora che Sophie ha sporto una seconda denuncia.

Le misure del giudice: divieto di avvicinamento e braccialetto elettronico

Il 30 aprile 2025 la Corte di Cassazione ha confermato il divieto per Basciano di avvicinarsi a meno di 500 metri da Sophie e dalla figlia, e gli ha imposto il braccialetto elettronico. L’inchiesta è ancora in fase preliminare, ma le prove raccolte — comprese tre anni di chat fornite da Sophie — hanno mostrato, secondo la Procura, un quadro «più infernale di quanto sembrava».

La solitudine dopo la denuncia

Nonostante le misure di protezione, Sophie si dice distrutta: «Mi sento svuotata, piango sempre. Devo mostrarmi forte per mia figlia e per il mio lavoro, ma ogni parola è una ferita». Dopo la scarcerazione di Basciano nel novembre scorso, Sophie ha sentito su di sé lo sguardo del sospetto: «È stato durissimo. Ma ora ho trovato la forza di parlare».

Un messaggio alle donne

«Non ero più io, non sono più io», confessa. Il percorso è ancora lungo, ma Sophie Codegoni — con il sostegno dell’avvocata Jessica Bertolina — ha deciso di non rimanere in silenzio. Una testimonianza potente, che contribuisce a rompere il muro dell’indifferenza e dell’incredulità intorno alla violenza domestica.

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Archiviata l’inchiesta sull’aggressione a Iovino: cadono le accuse contro Fedez

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Il gip ha archiviato l’indagine sull’aggressione al personal trainer Cristiano Iovino, avvenuta nell’aprile 2024, scagionando definitivamente il rapper Fedez. Lo ha reso noto la Procura di Milano, che ha chiesto l’archiviazione per assenza di prove a sostegno dell’ipotesi di una rissa.

Nessuna prova, niente rissa

Secondo quanto stabilito dal giudice, non esistono elementi sufficienti a sostenere l’accusa, e la vicenda non può essere qualificata come una rissa, né tantomeno attribuita con certezza a responsabilità personali del cantante.

Il personal trainer Cristiano Iovino non aveva presentato querela e aveva accettato una transazione economica da 10 mila euro, chiudendo così la vicenda in sede civile.

La reazione della difesa

Soddisfatti gli avvocati di Fedez, Gabriele Minniti e Andrea Pietro-lucci, che in una nota dichiarano: «Viene finalmente esclusa ogni responsabilità del nostro assistito. È la miglior risposta al pesante processo mediatico a cui è stato sottoposto da un anno».

Con questa decisione si chiude ufficialmente un capitolo controverso che ha coinvolto il nome dell’artista per mesi, oggetto di speculazioni e attenzione mediatica, senza che vi fosse mai stata una denuncia da parte della persona coinvolta.

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Se non rispetti l’ordinanza del giudice, paghi ogni giorno: a Verona scatta la linea dura nelle cause di separazione

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Una svolta significativa nei casi di separazione e affidamento dei figli arriva da Verona, dove la sezione Famiglia del Tribunale civile ha cominciato ad applicare una misura finora poco utilizzata, prevista dalla riforma Cartabia: sanzioni pecuniarie giornaliere, anche d’ufficio, per i genitori inadempienti.

La novità introdotta dalla riforma Cartabia

La norma, contenuta nell’articolo 473-bis.39 del Codice di procedura civile, permette al giudice di disporre, anche senza richiesta della parte lesa, una somma da versare per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di un provvedimento che riguarda il benessere dei figli, sia sul piano economico che relazionale. È uno strumento pensato per garantire l’effettività delle decisioni giudiziarie in materia familiare, contrastando inadempienze gravi.

Due i casi applicati a Verona

Nel primo caso, un padre che si rifiutava di pagare i 300 euro mensili stabiliti per il mantenimento dei figli, sostenendo di avere già sostenuto altre spese, è stato condannato a pagare 100 euro per ogni giorno di ulteriore inadempienza. La minaccia ha funzionato: dopo cinque giorni, e quindi dopo una multa complessiva di 500 euro, l’uomo ha versato quanto dovuto.

Nel secondo caso, ancora più delicato, una madre che tiene il figlio all’estero impedendo gli incontri con il padre è stata condannata a pagare 200 euro al giorno finché non rispetterà l’ordinanza di far collocare il minore anche presso il padre. A nulla sono valse finora una condanna a 3.000 euro di risarcimento e una sentenza del tribunale stranieroche le intima di rimpatriare il figlio: la donna, pur rientrando saltuariamente in Italia, continua a ignorare l’ordinanza del settembre 2024.

Un cambio di passo nei tribunali

Queste misure — spiega il giudice Massimo Vaccari, estensore di una delle ordinanze — servono a tutelare i minori e a far rispettare l’autorità giudiziaria. Non si tratta di strumenti nuovi in assoluto: già esistevano, ma erano applicabili solo su richiesta delle parti. Con la riforma, invece, il giudice può intervenire direttamente quando ravvisa danni o pregiudizi per i figli.

Il messaggio ai genitori separati è chiaro: disattendere le decisioni del giudice costa caro, giorno dopo giorno. E ora il sistema giudiziario sembra pronto a far valere davvero queste regole.

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