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Cronache

Spaccio in carcere: pentito, alla guardia 500 euro a carico

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C’era un fiorente traffico, non solo di droga, ma anche di cellulari, orologi, profumi, cibi pregiati e lettori Mp3, grazie agli agenti della Penitenziaria indagati, nel carcere di Secondigliano. A rivelarlo agli inquirenti e’ un collaboratore di giustizia, Ciro Niglio. Per ogni carico che entrava in carcere “la guardia riceveva 500 euro”. Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip di NAPOLIIsabella Iaselli, ha disposto 28 misure cautelari nell’ambito di un’indagine dei carabinieri e della stessa polizia penitenziaria, coordinata dalla DDA di NAPOLI, che ha consentito di scoprire l’esistenza nel carcere napoletano di una fiorente piazza di spaccio. Sempre secondo il collaboratore di giustizia, inoltre, lo stesso metodo veniva utilizzato anche per trasmettere o ricevere messaggi per e dagli affiliati in liberta’. I servigi di un appuntato, Antonio Napoletano, detto “o’ ninnone”, baby boss del clan Sibillo, se li accaparro’ facendogli un favore: fu proprio l’agente a rivolversi a lui. Gli chiese di intercedere affinche’ “gli uomini di san Gaetano” (piazza nel cuore di NAPOLI dove il clan Sibillo fa i suoi affari illeciti, ndr) convincessero suo figlio (dell’appuntato, ndr) a non vendere piu’ la droga nel rione. Il patto fu onorato e pagato con una “stecca di fumo (di droga, ndr) e da quel momento sia Niglio che Napoletano utilizzarono l’appuntato Luigi per far entrare oggetti in carcere: la consegna avveniva sempre durante il turno di mezzanotte e l’appuntato nascondeva gli oggetti nel giubbino della sua divisa. Anche Ciro Contini, nipote del boss Eduardo, dopo l’arresto per possesso di armi, si e’ servito dello stesso appuntato, sempre secondo il “pentito”, per far entrare la droga. Si trattava di panetti di hashish, gia’ tagliati in dosi, da 250 grammi. Particolarmente ingegnoso era il modo di venderla: l’hashish (procurata dal fratello di Napoletano, quindi dal clan Sibillo, ndr) veniva infilato in piu’ preservativi e poi in palloncini di plastica i quali, a loro volta, venivano introdotti nelle bottiglie di bagnoschiuma “Vidal” di colore nero, uguali a quelle che venivano vendute nello spaccio del carcere. Il fratello di Napoletano le consegnava all’appuntato che, sempre attraverso il turno di mezzanotte, le recapitava nascondendole nelle maniche del giubbotto di ordinanza. L’agente Luigi, sempre in virtu’ del favore ricevuto, non prendeva soldi per questa collaborazione. Ogni tanto, Ciro Contini, gli regalava cinquecento o mille euro. Quando scoppio’ la faida della cosiddetta “paranza dei bambini” ( e quindi la scissione delle famiglie Sibillo, Contini e Amirante dal clan Rinaldi), l’appuntato procuro’ a Ciro Contini e ad Antonio Napoletano, un telefono cellulare con 4-5 sim “pulite” che hanno consentito ai due di comunicare con le rispettive famiglie.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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