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Biden pronto alla guerra: Putin ha deciso di attaccare l’Ucraina, anche Kiev nel mirino

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“Sono convinto che Vladimir Putin abbia preso la decisione di attaccare l’Ucraina, mettendo nel mirino anche Kiev, nei prossimi giorni o nelle prossime settimane. Abbiamo ragione di crederlo”: Joe Biden gela la platea di giornalisti, e il mondo intero, quando parla dalla Casa Bianca dopo aver discusso per 45 minuti in conference call con gli alleati europei. La Russia, spiega con tono drammatico citando l’intelligence Usa, “sta cercando di provocare” l’Ucraina e di creare “false giustificazioni” per una guerra ma in caso di invasione, assicura, “gli Usa, la Nato e la Ue saranno uniti e risoluti, nonostante i tentativi di Mosca di dividerci”, e imporranno “costi massicci”. “La diplomazia resta sempre una possibilita”, aggiunge, lasciando aperta la porta del negoziato, ma sconsigliando al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di lasciare il Paese per andare sabato alla conferenza di Monaco sulla sicurezza. Poche ore prima dirigenti del consiglio nazionale per la sicurezza avevano accusato pubblicamente il governo russo degli ultimi cyber attacchi in Ucraina e avvisato che se Mosca attacca “diventera’ un paria per la comunita’ internazionale, sara’ isolata dai mercati finanziari mondiali e privata degli apporti tecnologici piu’ sofisticati”. Il Donbass e’ gia’ una polveriera gia’ in fiamme. “Quello che sta accadendo” nell’Ucraina dell’est “e’ molto preoccupante e potenzialmente molto pericoloso”, ha ammonito il portavoce del Cremlino. “La situazione si sta deteriorando”, ha rincarato Vladimir Putin, convinto che gli occidentali troveranno “una scusa” per infliggere sanzioni a Mosca senza rispondere alle sue istanze sulla sicurezza europea, che Berlino ha liquidato come “richieste da Guerra Fredda”. La tensione oggi e’ esplosa quando i leader delle due repubbliche separatiste, al suono delle sirene, hanno ordinato l’evacuazione dei civili in Russia e lanciato un appello alle armi sotto l’intensificarsi dei bombardamenti dell’artiglieria, lo scoppio di un’autobomba vicino al palazzo del governo di Donetsk e di un gasdotto a Lugansk, seguiti dal reciproco scambio di accuse tra secessionisti e ucraini. Putin, che ha offerto 10.000 rubli (circa 120 euro) per ogni evacuato, continua a gonfiare i muscoli e a far sentire sempre di piu’ i tamburi di quello che per gli Usa e’ un attacco imminente, dopo la mossa “cinica e crudele” di sfollare i residenti del Donbass e le “provocazioni” dei tiri di artiglieria. Nonostante il Cremlino continui a parlare di parziale ritiro, l’ambasciatore Usa presso l’Osce Michael Carpenter ha stimato che Mosca abbia ammassato sino a 190 mila effettivi “vicino e dentro” l’Ucraina, considerando anche le repubbliche secessioniste. Non solo. Sabato Putin supervisionera’ le manovre delle sue forze strategiche nucleari insieme al suo piu’ stretto alleato in questa crisi, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, a coronamento dei loro ‘war games’ comuni. Le esercitazioni russe, ha spiegato il ministero della difesa di Mosca, “coinvolgeranno forze ed equipaggiamenti appartenenti alle Forze Aerospaziali, al Distretto Militare Meridionale, alle Forze Missilistiche Strategiche, alla Flotta del Nord e alla Flotta del Mar Nero”, con l’obiettivo di verificare la preparazione dei comandi militari e degli equipaggi dei sistemi missilistici, delle navi da guerra e dei bombardieri strategici per svolgere le loro missioni, nonche’ di verificare l’affidabilita’ delle armi delle forze strategiche nucleari e convenzionali. Manovre che, alla luce di quanto sta succedendo, sembrano a molti la prova generale di un attacco a breve, senza piu’ temere di irritare il presidente cinese Xi Jinping che ormai sta concludendo i suoi Giochi di Pechino. Di fronte all’escalation, Joe Biden ha radunato l’Occidente. Il commander in chief sta tenendo aperta la via del negoziato diplomatico sulla sicurezza europea e giocando l’unica altra carta a disposizione: l’unita’ con gli europei e la minaccia di sanzioni rapide e severe in caso di invasione. Per questo ha deciso di risentirli tutti insieme in una video-chiamata e fare il punto della situazione: Mario Draghi, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Boris Johnson, Justin Trudeau, il polacco Duda e il presidente della Romania Johannis, oltre al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e, per la Ue, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Charles Michel. Biden aveva gia’ parlato giovedi’ col premier italiano, anche in vista del suo viaggio a breve a Mosca (“su richiesta di Putin”, ha specificato il premier), dove intende contribuire a portare “tutti allo stesso tavolo”. Draghi ha ribadito oggi “l’unita’ della Nato senza sfumature” e “la posizione ferma” di fronte ad un attacco russo, ma ha auspicato che le eventuali sanzioni siano “efficaci e sostenibili”, escludendo l’energia, ovvero il gas, che penalizzerebbe in modo particolare l’Italia. Una mobilitazione, quella di Biden, parallela a quella del G7, con una riunione dei leader giovedi’ prossimo, preceduta sabato da un incontro dei ministri degli Esteri a margine della conferenza di Monaco sulla sicurezza, dove la vice presidente Kamala Harris esordisce sul dossier ucraino mentre i capi della diplomazia e della difesa americani tengono aperti i contatti con i loro omologhi russi. Fu proprio da una Conferenza di Monaco – dove oggi dopo tanti anni la Russia e’ assente e sul banco degli imputati – che Putin lancio’ nel 2007 la sua sfida all’Occidente e contro l’allargamento della Nato.

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Lukashenko sta costruendo una mega residenza in Russia

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Una società privata legata al presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, sta costruendo un’enorme residenza con un hotel, ristoranti e chalet sulle montagne vicino a Sochi, in Russia: lo riporta The Insider, che cita un’inchiesta congiunta dei giornalisti dell’emittente polacca Belsat e dell’associazione delle ex forze di sicurezza bielorusse Belpol. Secondo quest’ultima, il nuovo complesso – che sorgerà su un terreno di oltre 97.248 metri nel villaggio di Krasnaya Polyana – è destinato al leader bielorusso. Dall’inchiesta è emerso infatti che il progetto coinvolge i suoi più stretti collaboratori e viene finanziato con fondi riconducibili a Lukashenko.

Secondo i giornalisti di Belsat il presidente bielorusso si trasferirà in questa proprietà dopo aver lasciato l’incarico: Lukashenko avrebbe deciso di costruire una residenza fuori dalla Bielorussia dopo le elezioni e le successive proteste del 2020. Nel villaggio di Krasnaya Polyana ci sono alcune tra le più esclusive ed eleganti stazioni sciistiche del Paese, tra cui quella di Roza Khutor, che ha ospitato alcune gare delle Olimpiadi invernali 2014. E la nuova residenza promette di non essere da meno, con piscine, una “sicurezza armata” e maniglie delle porte placcate in oro. Il progetto prevede la costruzione di 12 immobili – tra cui un hotel e diversi chalet – con una superficie totale di 7.374 metri quadrati. L'”edificio principale”, destinato al proprietario, dovrebbe occupare un terzo della superficie edificabile totale.

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Re Carlo torna in pubblico e sorride, ‘sto bene’

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Un ritorno a mezzo servizio sulla scena degli impegni pubblici che non scioglie tutte le incognite, ma certo fa tirare un sospiro di sollievo al Regno Unito. Re Carlo III riavvolge il film di questo inizio d’anno maledetto per la monarchia britannica e si ripresenta alla platea dei sudditi per il primo appuntamento ufficiale fra la gente da oltre tre mesi, dopo la diagnosi di cancro svelata urbi et orbi a febbraio e i risultati “molto incoraggianti” (parola dei suoi medici) d’una prima fase di terapie tuttora in corso. Una rentrée all’insegna dei sorrisi e del contatto umano per il monarca 75enne, affiancato dall’inseparabile regina Camilla, pilastro della sua vita. Ma pure un momento altamente simbolico, vista la meta prescelta per la visita d’esordio di questa sorta di nuovo inizio, nel rispetto di quanto preannunciato da Buckingham Palace venerdì: l’University College London Hospital e l’annesso Macmillan Cancer Centre, istituto oncologico d’eccellenza sull’isola dove la coppia reale si è soffermata a parlare fitto fitto con medici, infermieri e soprattutto pazienti, non senza far rilanciare dalla viva voce di Sua Maestà un accorato messaggio a favore della prevenzione, dei controlli, delle cure “precoci” come armi “cruciali” per affrontare una malattia che non fa distinzioni fra teste coronate e non.

Accolti già fuori dall’ospedale da fan e curiosi, e poi fra le corsie da mazzi di fiori e auguri, Carlo e Camilla hanno cercato in tutti i modi di dare un’immagine incoraggiante, se non proprio da business as usual. “Non sei solo”, hanno fatto sapere al monarca alcuni dei presenti, in uno scenario in cui a tratti il primogenito di Elisabetta II – da oggi neo patrono del Cancer Research UK – è parso scambiare confessioni intime, persino qualche inusuale contatto fisico fatto di strette di mani prolungate con i malati: quasi come un paziente tra i pazienti. “Sto bene”, ha detto fra l’altro a una di loro, Asha Miller, in chemioterapia, rispondendo all’affettuoso “come si sente?” che la donna gli aveva rivolto stando a quanto da lei stessa raccontato più tardi ai giornalisti. Mentre vari testimoni hanno riferito di aver visto un re emozionato, ma “pieno di energia”. Parole che suggellano gli spiragli di ottimismo alimentati in queste ore dai vertici politici del Paese come da diversi commentatori dei media mainstream dopo le congetture allarmistiche di certa stampa scandalistica Usa.

Anche se sullo sfondo restano gli elementi di prudenza suggeriti dagli stessi comunicati di palazzo, che per i prossimi mesi si limitano per adesso ad evocare una ripresa parziale dell’attività pubblica di rappresentanza dinastica del sovrano: “calibrata con attenzione” e soggetta a conferme da formalizzare di volta in volta in relazione a eventi chiave quali la tradizionale parata di giugno di Trooping the Colour, l’agenda della visita di Stato a Londra della coppia imperiale del Giappone, o quella d’un viaggio in Australia di due settimane fissato orientativamente per ottobre. Già dalla settimana prossima, intanto, a rubare la scena in casa Windsor sarà un fugace rientro in patria del principe ribelle Harry, in arrivo entro l’8 maggio dall’autoesilio americano per partecipare al decimo anniversario degli Invictus Games, giochi sportivi riservati ai militari mutilati che egli patrocina sin dalla fondazione. Anche se non si sa se nell’occasione vi sarà spazio per un nuovo faccia a faccia fra padre e figlio, dopo la visita fatta di getto dal duca di Sussex al genitore a febbraio all’indomani della notizia della diagnosi di un cancro la cui natura resta per ora imprecisata.

Viaggio in cui del resto il principe cadetto – come confermato da una sua portavoce – non sarà accompagnato da Meghan, né dai figlioletti Archie e Lilibet, salvo ricongiungersi con la consorte in una successiva missione in Nigeria, Paese del Commonwealth. E che tanto meno sembra poter preludere a un disgelo col fratello maggiore William. Il tutto mentre rimane ad oggi ignota qualsiasi scadenza su un potenziale ritorno in pubblico anche della 42enne principessa di Galles, Kate, moglie dell’erede al trono, colpita a sua volta da un cancro di tipo non specificato reso noto nel toccante video alla nazione di marzo, due mesi dopo una delicata operazione all’addome. E reduce da una celebrazione privatissima, strettamente familiare, del suo 13esimo anniversario di matrimonio: il più difficile, in una favola regale divenuta dolorosa realtà.

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Netanyahu: entreremo a Rafah con o senza accordo

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Rafah resta nel mirino di Benyamin Netanyahu, con o senza accordo con Hamas per una tregua di lunga durata. Nonostante l’ottimismo per un’intesa che nelle prossime 48 ore si dovrebbe concretizzare nelle trattative al Cairo, il premier israeliano insiste – almeno a parole – nel rivendicare la necessità dell’operazione militare nella città più a sud di Gaza, piena di sfollati palestinesi. Durante un incontro con i rappresentanti delle famiglie dei circa 130 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas dal 7 ottobre scorso, Netanyahu ha ribadito che “l’idea di porre fine alla guerra prima di raggiungere tutti i nostri obiettivi è inaccettabile”. “Noi – ha spiegato – entreremo a Rafah e annienteremo tutti i battaglioni di Hamas presenti lì, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale”.

Una mossa tuttavia che deve fare i conti con la netta opposizione degli Stati Uniti, che non vogliono l’operazione di terra, oltre che dell’Onu (“sarebbe un’escalation intollerabile”, secondo il segretario generale Guterres), e con lo spettro di possibili mandati di arresto per crimini di guerra da parte della Corte penale internazionale dell’Aja sia per il premier sia per altri membri della leadership politico-militare di Israele. Non a caso Netanyahu ha denunciato che la Corte non ha “alcuna autorità su Israele” e che gli eventuali mandati sarebbero “un crimine d’odio antisemita”.

Spetta ora al segretario di Stato Usa Antony Blinken alla sua ennesima missione, da stasera, in Israele spingere sull’accordo che sembra in dirittura d’arrivo e fare della ventilata iniziativa della Cpi il grimaldello con Netanyahu per rimuovere dal tavolo l’operazione militare a Rafah, per la quale l’Idf ha già i piani pronti. Le indiscrezioni sull’intesa riportate dal Wall Street Journal prevedono due fasi: la prima con il rilascio di almeno 20 ostaggi in 3 settimane per un numero imprecisato di prigionieri palestinesi; la seconda include un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali Hamas e Israele si accorderebbero su un rilascio più ampio di ostaggi e su una pausa prolungata nei combattimenti che potrebbe durare fino a un anno. Un obiettivo così importante, a quasi 7 mesi dall’inizio della guerra, che ha spinto Blinken a rivolgersi direttamente ad Hamas per chiedere alla fazione palestinese di accettare “senza ulteriori ritardi” la proposta.

Lo spettro dell’Aja per Israele sta assumendo intanto contorni sempre più netti visto che gli investigatori della Cpi, secondo la Reuters, hanno raccolto testimonianze tra il personale dei due maggiori ospedali di Gaza. “Le fonti, che hanno chiesto di non essere identificate per la delicatezza dell’argomento, hanno riferito che gli investigatori della Cpi hanno raccolto testimonianze dal personale che ha lavorato nel principale ospedale di Gaza City, l’Al Shifa, e nel Nasser, il maggior nosocomio di Khan Younis”. “La possibilità che la Cpi emetta mandati di arresto per crimini di guerra contro comandanti dell’Idf e leader di Stato, è uno scandalo su scala storica”, ha ribattuto Netanyahu.

“Sarà la prima volta che un Paese democratico, che lotta per la propria esistenza secondo tutte le regole del diritto internazionale, verrà accusato di crimini di guerra. Se dovesse accadere – ha tuonato il primo ministro israeliano – sarebbe una macchia indelebile per tutta l’umanità. Un crimine d’odio antisemita, che aggiungerebbe benzina all’antisemitismo”. Al 207esimo giorno di conflitto intanto, si comincia a intravedere la concretezza della continuità degli aiuti umanitari a Gaza. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza americana John Kirby ha fatto sapere che “il molo temporaneo per l’ingresso di aiuti a Gaza sarà completato nei prossimi giorni” dato che i lavori di costruzione stanno procedendo “molto velocemente”. Il Centcom ha anche diffuso le immagini del molo costruito al largo della costa della Striscia. Le foto mostrano l’equipaggio di diverse navi militari impegnato nella costruzione della piattaforma, che avrà un costo di circa 320 milioni di dollari.

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