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Cronache

Caso pm Milano: Davigo va a processo a Brescia

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Trent’anni fa con l’arresto di Mario Chiesa, a Milano, prendeva il via l’inchiesta Mani Pulite e oggi uno dei magistrati che allora era in prima linea e’ stato rinviato a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio. Si aprira’ infatti il prossimo 20 aprile a Brescia il dibattimento nei confronti di Piercamillo Davigo, l’ex consigliere del Csm finito nei guai per la vicenda dei verbali di Piero Amara su una fantomatica Loggia Ungheria, caso che ha sollevato una bufera tra le fila della magistratura e che ha sullo sfondo le vicende di Eni e il modo (diverso) di condurre le indagini. A deciderlo e’ stato il gup bresciano Federica Brugnara proprio nel giorno del trentennale di Tangentopoli, occasione per cui Antonio Di Pietro, la toga simbolo di quella pagina di storia, ha consegnato a un post apparso sui social le sua amare riflessioni. Il giudice ha disposto che dovra’ essere un collegio a stabilire se – come hanno ipotizzato i pm Donato Greco e Francesco Milanese, con il procuratore Francesco Prete – Davigo abbia davvero rassicurato il pm milanese Paolo Storari, che chiedeva di essere tutelato rispetto alla lamentata inerzia dei suoi capi, di essere persona autorizzata a ricevere quei verbali cosi’ delicati e coperti dal segreto istruttorio. Atti che a Davigo sono stati consegnati dal pubblico ministero nell’aprile 2020 e che poi “violando i doveri” legati alle sue funzioni e “abusando delle sue qualita’” avrebbe diffuso ad altri componenti di Palazzo dei Marescialli in modo “informale e senza alcuna ragione ufficiale”, si legge nel capo di imputazione. Un’accusa condivisa da Sebastiano Ardita, ancora consigliere del Csm e che, ritenendosi danneggiato da quella diffusione, e’ parte civile nel procedimento ed e’ pronto a chiedere i danni. “Davigo si difendera’ in dibattimento essendo certo della propria innocenza”, ha detto il suo legale, Francesco Borasi. Per Storari invece, il suo coimputato che ha scelto il processo con rito abbreviato, e’ stata chiesta una condanna a 6 mesi, il minimo della pena prevista dal codice. Mentre la difesa, rappresentata dall’avvocato Paolo Della Sala, ha ribadito la “legittimita’” della sua condotta compatibile pure con il compendio normativo e “avallata nei comportamenti di altre persone” al Csm, nessuna delle quali “ha sollevato obiezioni formali”. In sostanza nessuno ha invitato a formalizzare la pratica Storari. Per lui si decidera’ il prossimo 7 marzo. E proprio oggi, giorno dedicato all’anniversario di Mani Pulite, dopo mesi e mesi di silenzio, ha parlato chi con Davigo e Gherardo Colombo, ha indagato sul malaffare fin dalla prima ora. Antonio Di Pietro, adesso avvocato, sulla sua pagina Facebook ha scritto un messaggio che suona un po’ come una sconfitta: “Non e’ un giorno di festa 30 anni dopo. Sono 30 anni passati ma mi pare che aprendo il giornale ogni mattina sia tutto uguale a prima. Prima di andarmene vorrei mettere tutto in Rete affinche’ qualcuno un giorno possa leggere, per vedere quella diversa verita’ rispetto a quel che e’ stato raccontato”. “Sono una vergogna per il Paese – si chiede l’ex magistrato – i ladri, i corrotti, gli evasori fiscali, i mafiosi o chi, come me, li ha scoperti con l’inchiesta Mani Pulite?” “Ci volevano fermare – ricorda ancora -. Si sono messi in azione appena hanno capito che stavamo per arrivare ai piani alti del potere. Mani Pulite e’ stata fermata, anche perche’ mentre stavamo indagando sui ‘bauscia’ del Nord, siamo andati a toccare quelli che avevano contatti con la mafia al Sud”. Di quel periodo ha parlato lo stesso Davigo, oggi all’Universita’ di Pisa per una tavola rotonda sui 30 anni di Mani pulite: “Tangentopoli emerse non perche’ arrivarono i magistrati ma perche’ quel sistema politico fondato sulla corruzione non resse dal punto di vista economico”, ha detto. E poi, con un riferimento anche al suo caso personale, ha aggiunto: “nel nostro ordinamento non esiste un efficace deterrente alla corruzione. Io stesso sono sotto processo, ma a parte che sono innocente, non ho alcuna preoccupazione, perche’ ho compiuto 70 anni e quindi resterei a casa”.

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Cronache

Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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