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Corona Virus

Aumentano i contagi in età scolare: 48% tra 6-11 anni

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Incidenza elevata dei contagi tra i 6 e gli 11 anni ed efficacia vaccinale che dopo 5 mesi dal completamento del ciclo primario cala rispetto alla trasmissibilita’ della malattia dal 71,5% al 30,1% ma resta sempre efficace contro la malattia grave all’82,2% anche dopo 5 mesi. Queste le due evidenze che arrivano dall’Istituto Superiore di Sanita’ che non nasconde la preoccupazione per il grande numero di nuovi casi registrato in tutte le regioni (in particolare nelle regioni del nord Italia). Da qui l’appello e l’invito degli esperti a rispettare le norme messe in campo alla viglilia delle festivita’ e soprattutto a vaccinarsi “per arrivare alla primavera del 2022 a gestire e declassare il virus”. Questo, dunque, il quadro che si presenta a pochi giorni dal Capodanno fornito dai dati contenuti nell’ultimo Report dell’ Istituto superiore di sanita’ che integra il monitoraggio. In aumento – si legge – l’incidenza di casi Covid in tutte le fasce di eta’ in Italia, in particolare tra gli under 19 (393 tra 0-9 anni e 404 tra 10-19 anni). Inoltre – sottolineano ancora i tecnici dell’Iss – il 50% dei quasi 60mila nuovi casi di postivita’ nella popolazione 0-19 anni rilevati tra il 6 e il 19 dicembre si colloca nella fascia 6-11anni; il 36% e’ tra i 12 e i 19 anni. E ancora: dei 59.605 nuovi casi segnalati in eta’ scolare, 215 sono ospedalizzati, 4 ricoverati in terapia intensiva e 1 decesso. La sfida resta sempre quella sul fronte vaccini: domani partiranno le dosi booster per la fascia 16-17 anni e 12-15 anni per la popolazione di ragazzi fragili. E’ in atto e prosegue la vaccinazione per la fascia 5-11 anni sulla quale, dice il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, “l’adesione e’ buona”. Per i 12-19 anni raggiunto quasi l’80%. Una corsa contro il tempo che ha portato il ministero della Salute ad una raffica di circolari emanate alla vigilia di Natale in una sorta di corsa contro il tempo per attuare misure di protezione. Il ministero, infatti, ha dato il via libera all’ anticipo della dose booster da 5 a 4 mesi dal completamento del ciclo primario di vaccinazione anti-Covid (la data di partenza verra’ decisa dal commissario all’emergenza Figliuolo). E a supportare la decisione appena presa arrivano gli ultimi dati diffusi dall’Iss che parlano, infatti, di efficacia del vaccino in calo dal 71,5% al 30,1% sul fronte della prevenzione dai contagi dopo 150 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, sia nella forma sintomatica che asintomatica. Tuttavia resta elevata – si legge nel Report – l’efficacia vaccinale nel prevenire casi di malattia severa con una perecentuale piu’ alta nei vaccinati con ciclo completo da meno di 5 mesi (92,7%) che scende all’82,2% nei vaccinati che hanno completato il ciclo da oltre 150 giorni. La dose booster si rivela, invece, efficace nel ripristinare alti livelli di protezione nei casi di malattia severa salendo rispettivamente al 71,0% e al 94,0%. Booster che fa rilevare una diminuzione di casi anche tra i sanitari che passano dall’1,6% della settimana precedente all’1,4%. Sempre protetti, dunque, risultano i vaccinati. Viceversa il rischio di terapia intensiva per i non vaccinati rispetto a chi ha la 3/a dose “e’ 85 volte maggiore per gli over 80; 12,8 volte di piu’ per la fascia 60-79; 6,1 volte maggiore per i 40-59enni”. I dati sull’incidenza nazionale (351 su 100mila abitanti) e l’Rt a 1.13 (sopra soglia) rappresentano “un segnale forte di incremento della circolazione del virus”, ha detto Brusaferro illustrando venerdi’ i risultati della cabina di regia. Mentre il direttore generale per la Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha alzato l’attenzione sui livelli raggiunti dai tassi di occupazione dei posti di area medica al 13,9% e di terapia intensiva al 10,7% “con molte regioni che hanno oramai superato la soglia critica”. Da qui l’appello, soprattutto per le festivita’, di rispettare le regole di protezione individuale e ad accelerare sul richiamo. Resta sempre sorvegliata speciale la variante Omicron. “Potrebbe essere forse oltre il 30% visti i contagi che stiamo vedendo in questi giorni”, dice l’immunologo clinico Francesco Le Foche, che pone l’accento sui “grandi numeri dei contagi” con rischi per le persone iperfragili e i non vaccinati. “Usiamo i prossimi tre mesi per gestire il virus”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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